giovedì 23 marzo 2017
martedì 21 marzo 2017
"L’unità non è uniformità”
Quale occasione migliore, se non i 500 anni dalla riforma di Lutero, per un dialogo ecumenico? Questo è ciò che si è svolto il 14 marzo 2017 al teatro del collegio. Conferenza che ha interessato insegnanti e studenti, per la maggior parte ignari, fino a quel momento, dell’attualità del discorso. È infatti Francesco il primo Papa così impegnato nel riallacciare i rapporti con tutte le Chiese cristiane, affermando che "l’unità non è uniformità” e
che le differenze sono "una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa”. Per risolvere un problema però, bisogna prima rilevarne la causa: questo lo scopo dell’intervento di Umberto Mazzone. Il professore di Storia del Cristianesimo e delle Chiese ha così introdotto i ragazzi al contesto storico cinquecentesco che ha portato alla prima fondamentale divisione della Chiesa. Arrivando poi a parlare, ripercorrendo la storia, del cammino di unione che si è oggi intrapreso. Dopo la certezza dei fatti storici è toccato a Patrizio Foresta, responsabile del Reformation Research Consortium, mettere in dubbio l’intero percorso della riforma demistificandone il simbolo: l’affissione delle 95 Tesi. La causa scatenante è in realtà una leggenda. Dimostrato grazie a documenti, ma a noi spiegato per immagini, si è potuto vedere lo sviluppo dell’iconografia di Lutero(Il primo disegno pervenutoci, rappresentante l’affissione, appare almeno un secolo dopo la reale data). Più cambiavano i secoli e più la sua immagine cambiava con loro, fino ad assomigliare, nel 1900, ad un soldato tedesco pronto a partire per il fronte; un pupazzo dei Lego ai giorni nostri. È così stato possibile vedere la nascita e lo sviluppo di un mito trasformato oggi in un Playmobil. È il pastore evangelico valdese Luca Baratto a ricordare che non tanto l’affissione delle Tesi, ma quanto il contenuto di queste stesse, abbia portato avanti la riforma. Ha poi spiegato il ruolo del pastore nella Chiesa valdese e le differenze sostanziali tra Evangelismo e Cristianesimo. Nel primo si ha il sacerdozio universale dei credenti, ciò indica che il pastore è un primus inter pares, laico tra laici. Per poi parlare dei grandi passi avanti che si stanno compiendo verso l’unione con i vari viaggi apostolici di Papa Francesco. Ha infine preso parola Franco Bruzzi, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, facendo notare come la riforma sia stata, in realtà, un evento molto positivo per la Chiesa cristiana. Senza di essa infatti, mai avrebbe avuto luogo il Concilio di Trento e la Controriforma, grazie la quale ci fu un rinnovamento spirituale, teologico, liturgico ed istituzionale della Chiesa. Il tutto magistralmente moderato da Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire. Con il pensiero che “il piano di Dio si manifesta in diversi modi” il direttore frère Alessandro Cacciotti conclude la conferenza (molto più dialogo ecumenico) grato del passato e fiducioso nel futuro.
che le differenze sono "una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa”. Per risolvere un problema però, bisogna prima rilevarne la causa: questo lo scopo dell’intervento di Umberto Mazzone. Il professore di Storia del Cristianesimo e delle Chiese ha così introdotto i ragazzi al contesto storico cinquecentesco che ha portato alla prima fondamentale divisione della Chiesa. Arrivando poi a parlare, ripercorrendo la storia, del cammino di unione che si è oggi intrapreso. Dopo la certezza dei fatti storici è toccato a Patrizio Foresta, responsabile del Reformation Research Consortium, mettere in dubbio l’intero percorso della riforma demistificandone il simbolo: l’affissione delle 95 Tesi. La causa scatenante è in realtà una leggenda. Dimostrato grazie a documenti, ma a noi spiegato per immagini, si è potuto vedere lo sviluppo dell’iconografia di Lutero(Il primo disegno pervenutoci, rappresentante l’affissione, appare almeno un secolo dopo la reale data). Più cambiavano i secoli e più la sua immagine cambiava con loro, fino ad assomigliare, nel 1900, ad un soldato tedesco pronto a partire per il fronte; un pupazzo dei Lego ai giorni nostri. È così stato possibile vedere la nascita e lo sviluppo di un mito trasformato oggi in un Playmobil. È il pastore evangelico valdese Luca Baratto a ricordare che non tanto l’affissione delle Tesi, ma quanto il contenuto di queste stesse, abbia portato avanti la riforma. Ha poi spiegato il ruolo del pastore nella Chiesa valdese e le differenze sostanziali tra Evangelismo e Cristianesimo. Nel primo si ha il sacerdozio universale dei credenti, ciò indica che il pastore è un primus inter pares, laico tra laici. Per poi parlare dei grandi passi avanti che si stanno compiendo verso l’unione con i vari viaggi apostolici di Papa Francesco. Ha infine preso parola Franco Bruzzi, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, facendo notare come la riforma sia stata, in realtà, un evento molto positivo per la Chiesa cristiana. Senza di essa infatti, mai avrebbe avuto luogo il Concilio di Trento e la Controriforma, grazie la quale ci fu un rinnovamento spirituale, teologico, liturgico ed istituzionale della Chiesa. Il tutto magistralmente moderato da Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire. Con il pensiero che “il piano di Dio si manifesta in diversi modi” il direttore frère Alessandro Cacciotti conclude la conferenza (molto più dialogo ecumenico) grato del passato e fiducioso nel futuro.
di Gemma Feri
domenica 19 marzo 2017
Il Rock siamo noi - “Walk the Line” - Johnny Cash
Dopo aver parlato di una delle pietre fondanti del rock n’roll, Elvis Presley, non posso non parlare di un’altra figura altrettanto rilevante della storia del rock: Johnny Cash. Egli è sicuramente uno degli emblemi del country-rock n’roll assieme a Willie Nelson.
Cash aveva una voce ed uno stile molto particolare che lo caratterizzava e lo distingueva dagli altri cantanti. Il suo stile inconfondibile nell’interpretare gospel, blues, country e rockabilly ispirate alla vita ed al lavoro quotidiano lo rendono indubbiamente unico nel suo genere.
Nato da una povera famiglia dell’Arkansas, dopo la guerra e vicissitudini con le droghe, Cash inizia ufficialmente la sua carriera nel 1955 quando ottiene un contratto con la Sun Records ed incide “Cry,Cry,Cry” e “Folsom Prison Blues”. A seguire due anni dopo, sempre con la Sun, pubblica “Johnny Cash with his hot and blue guitar”. Influenzato inoltre dallo stile gospel incide “Hymns by Johnny Cash” che lo devasterà psicologicamente portandolo ad abusare di droghe e di sonniferi per superare le difficoltà, lo stress dei tour e per riuscire a dormire. In più avrà persino dei problemi giudiziari, verrà infatti arrestato nel 1965 ad El Paso per spaccio di anfetamine. Nel 1967 rischia addirittura la vita per overdose.
Tutto cambia nel 1968 con l’incontro e il matrimonio con June Carter. Con la moglie, Cash scrive una delle sue canzoni più famose: “Ring of Fire”.
Nel 1969 approda in un programma televisivo ABC. Nel 1971 interpreta “A Gunfight”, compare inoltre in un episodio del “Tenente Colombo” con Peter Falk.
Nel 1975 pubblica la sua autobiografia: “Man in Black” ottenendo una vendita di 1.300.000 copie. Negli anni a seguire sebbene inizi a perdere lo splendore di sempre, molti artisti, come Bruce Springsteen, continuano ad elogiarlo ed a considerarlo il Top.
Il 15 maggio 2003 muore la moglie June all’età di 74 anni. Nel settembre dello stesso anno viene ricoverato nel Baptist Hospital di Nashville per complicazioni dovute al diabete. Il 12 settembre vi muore. È sepolto accanto alla sua consorte nel cimitero Hendersonville Memory Gardens a Hendersonville, nel Tennessee. È ricordato nella Hollywood Walk of Fame.
mercoledì 15 marzo 2017
martedì 14 marzo 2017
A Cinquecento anni dalla Riforma di Lutero - Il cammino di dialogo fra luterani e cattolici
Cari
compagni,
martedì 14 marzo, noi ragazzi del triennio abbiamo partecipato ad una
interessante conferenza su Martin
Lutero: abbiamo ascoltato diversi punti di vista su un argomento di grande
importanza. I relatori erano Patrizio Foresta responsabile del Reformation Research Consortium, monsi-gnor Franco Buzzi prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Luca Baratto pastore della chiesa evangelica valdese, Umberto Mazzone professore di storia del cristianesimo e delle chiese e Mimmo Muolo giornalista dell’Avvenire,
che era il mediatore. All’inizio della conferenza abbiamo visto un video che
riassumeva una parte della storia del luteranesimo, in particolare sull’affissione delle novantacinque tesi. Su quest’ultimo argo-mento si è concentrato molto
il relatore Patrizio Foresta che, secondo me e i miei compagni, è stato il più
interessante. Ha saputo catturare la nostra attenzione e mantenerla nel tempo
con una presentazione molto originale che si concentrava principalmente sulla
veridicità del mito dell’affissione e della sua data. Foresta ci ha spiegato
che all’epoca era normale porre comunicazione sulle porte delle chiese e che
dopo l’affissione delle tesi di Lutero non ci fu subito una grande affluenza, come
spesso è rappresentato in opere d’arte, tutt’altro; la popolarità è dovuta in
parte alla stampa (inventata nel 1456 da Johann Gutenberg). Inoltre con una
simpatica immagine di Martin Lutero sotto forma di giocattolo lego che affligge
le tesi, ci ha dimostrato quanto questo mito sia tutt’oggi sentito in Germania.
Le attuali ricadute del Luteranesimo ci sono state spiegate dal pastore che
principalmente, confrontandosi con il monsignor Buzzi, ci ha illustrato le
differenze fra un pastore luterano e un prete cattolico. Il suo intervento ci è
piaciuto particolarmente perché ci ha dimostrato una delle tante differenze fra
il luteranesimo e la nostra religione. I due relatori che vi ho citato sono
quelli che hanno colpito di più me e i miei compagni, senza togliere nulla al
professor Mazzone che ha spostato la questione su un punto di vista
storico e al monsignor Buzzi che, essendo l’ultimo, ha tratto le fila dei
discorsi fatti precedentemente. Inoltre voglio citarvi anche il mediatore che è
stato molto bravo: ha saputo dare a tutti i relatori il giusto spazio e i
giusti spunti di argomentazione.
Questa conferenza è stata molto utile e
interessante perché ci ha aiutato a capire ancora meglio un argomento di grande
importanza, ci ha mostrato una parte delle conseguenze pratiche di ciò che
abbiamo studiato sui libri e ci ha dato molti strumenti per capire meglio il
Luteranesimo, corrente religiosa ancora oggi molto presente in Italia.
di Valeria
Villani
mercoledì 8 marzo 2017
mercoledì 22 febbraio 2017
Caro diario 3
Caro diario,
oggi, avevo proprio voglia di scriverti, sai? Tutti hanno bisogno di qualcuno a cui raccontare la verità senza essere giudicati, senza avere paura di quanto crudele quel dannato giudizio possa essere; raccontare solo così, lentamente, senza neanche aspettarsi una risposta. Sì, perché quasi sempre la risposta me la sussurra il mio buonsenso o, peggio, la mia natura, solo che io non ho il coraggio di ascoltarla, finché non l’ho detta tutta, la verità, che continuo a negare persino a me stesso, perché troppo brutta o troppo evidente.
Sì sì, lo so, tutti dicono che meglio dirsela, quella verità, che tanto prima o poi esce e ti fa soffrire ancora di più.
Cazzate.
Avrei preferito non dirmele certe verità; avrei preferito non sapere che per i miei sono solo un fallimento, che per gli altri sono solo un ragazzino, che per i miei amici sono solo uno del gruppo, che per le ragazze sono solo uno fregno. Avrei preferito non sapere quanto male fa sentirsi dei perfetti coglioni davanti a quel quattro al compito e fare finta che non me ne frega un accidente. Avrei preferito non provare il terrore di rimanere solo, intrappolato e in un vicolo cieco, nessuno a difendermi, tra i miei dubbi e le mie insicurezze, così, solo, solo e al buio, senza possibilità, essendo troppo fortunato per poter dire di essere stato sfortunato e poter dare tutta la colpa dei miei fallimenti al mio stato sociale, ma, nello stesso tempo, sentendomi troppo perso in quel mare di amicizie false, di baci dati senza motivo, di parole dette senza anima.
Ieri ero lì, che la guardavo, lei, la mia ex ragazza, ex di due giorni, s’intende, ex senza un motivo preciso, senza una ragione abbastanza convincente, solo cosi, ex. Rideva con le amiche e io la guardavo, impalato. Non credere che io stia per dire una di quelle cazzate da film: “Ti accorgi di amarla, solo quando la lasci andare” e roba simile; no, niente del genere. Non la amo, quella. In realtà, me la sono fatta talmente tante volte che neanche mi intriga più fisicamente, tanto di lei ho visto tutto, la conosco a memoria, come casa mia, difetti e imperfezioni, con i soliti mobili di famiglia e i quadri dall’aria tetra. Non so neanche perché la guardavo, ora che ci penso. Forse mi aspettavo qualcosa di più? Forse mi aspettavo che stesse male per me, che piangesse o che smettesse di ridere in quel modo un po’ da modella con quelle cesse leccapiedi delle sue amiche o che la piantasse di fare la scema con ogni maschio in giro per la scuola… Forse volevo solo, per una volta, lasciare un segno. Forse volevo solo che, per un attimo, per un momento, qualcuno si ricordasse che io non sono solo un fallimento, un ragazzino, uno del gruppo o un fregno. Volevo che qualcuno vedesse me. Volevo che qualcuno amasse me.
Forse mi aspettavo che lei fosse diversa. Me lo aspetto sempre, ci spero, anche se ho imparato che la speranza serve solo a creare ancora più emozioni da nascondere. E io di cose da nascondere ne ho fin troppe, ho tutto me stesso da proteggere dagli sguardi degli altri, che riflettono nei loro occhi di giudici la verità: sono solo me.
Lei si girava di tanto in tanto, non per qualche motivo preciso, ma perché c’eravamo appena lasciati e doveva approfittarne per conquistarsi un po’ di popolarità, guardandomi male, lamentandosi con le sue BFF di quanto fossi stronzo e dicendo a gran voce, in modo che tutti potessero sentirla, ovviamente: “Ma come si permette di guardarmi, quello stronzo!?”. Sì, come se poi le desse fastidio che io la guardassi. I miei amici, quelli soliti, ridevano per solidarietà, scuotendo un po’ la testa e agitando il loro ciuffo al sole del cortile, dandomi di tanto in tanto qualche pacca sulla spalla ed esclamando “Bona è bona, eh, però che carattere de merda!”. Io avevo cominciato a ridere insieme a loro, non mi era proprio passato per la testa di sembrare il coglione di turno che un po’ ci aveva creduto o,peggio, di darle la soddisfazione di farsi dire dalle amiche che secondo loro un po’ mi mancava. Non che non lo faranno, sia chiaro, ma almeno così tutti le prenderanno come cavolate dette da delle sfigate invidiose e nessuno mi romperà le palle.
Quanto le invidio quelle sfigate. Giudicano senza sentirsi giudicate. O forse li sentono i giudizi degli altri, chi lo sa, ma non se ne fregano, perché la loro natura di sfigate non gli impone di pensare, di sentire, di vivere. Loro sfiorano la vita con le loro piccole mani dalle unghie smaltate, camminano sul bordo del baratro con le loro scarpette firmate, senza mai caderci dentro, restandone sempre fuori, cogliendo quell’attimo di popolarità ora con un pettegolezzo, ora con una storia finita male, ora con una scopata, accontentandosi di ogni singolo momento della loro non-vita.
Io, invece, nel baratro ci sono nato, non caduto, e ora ci vivo dentro, anche se non mi ci sono ancora abituato, perché impossibile: non è come casa mia o la mia ex ragazza, sempre uguali, immutabili, arredate sempre nello stesso modo, no, il baratro cambia di continuo e, anche se i cambiamenti dipendono da me, io non riesco a starci dietro, non riesco a rimanere fermo in questo turbinio di voci, parole, sentimenti, emozioni, vite.
Vado. La mia ricerca di riprovare l’Emozione non è ancora terminata e stasera esco con quegli amici, per sbavare su qualche altra ragazza, mentre balla, reprimendo la solita speranza di ritrovare quella giusta, quel punto fermo capace di mostrarmi la chiave per capire la Vita, capace di insegnarmi come si fa a guardare un giudice negli occhi e a gridare il mio nome, capace di darmi ciò di cui ho più bisogno, ciò che cerco da sempre: la speranza di poter sperare.
H.C.
martedì 14 febbraio 2017
L’Istituto De Merode riconosciuto “House of life”
Ci uniamo alle celebrazioni per il nostro grande passato, fatto di umanità e cooperazione. In ricordo di tutti coloro che hanno creduto nell'uomo e nel valore della vita.
Il nostro istituto riconosciuto "House of life"
Sono i testimoni come Gianni Polgar, all'epoca delle persecuzioni un bambino di sette anni, a ricordare come nell'ottobre del 1943 abbia trovato rifugio e protezione nel Collegio. Tanta è la commozione mentre rivolge la sua gratitudine ai frères che hanno salvato la vita a lui e a suo fratello.
Tra i presenti alla cerimonia Ruth Dureghello Presidente della Comunità Ebraica di Roma, e Sandro Di Castro, Presidente del B’nau Brith di Roma. «L’Istituto De Merode è sempre stato un centro di crescita culturale, attento soprattutto alla cura delle persone e quindi aperto a tutti. Ottimi i rapporti di stima ed amicizia da sempre con la Comunità ebraica di Roma», ha sottolineato il nostro direttore fratel Alessandro Cacciotti, ricordando tra gli studenti annoverati nel Collegio anche Carlo Lizzani e Davide Limentani. «Anche oggi esistono discriminazioni e persecuzioni, da quelle più brutali a quelle più sottili, come le varie forme di bullismo. Schierarci con coraggio con i più deboli ed indifesi». «Possa la testimonianza di Fratel Sigismondo e dei freres – ha concluso fratel Robert Schieler, Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane – ispirare tutti noi ad essere strumenti di pace».
houses-of-life-roman-catholics-who-saved-jews
venerdì 10 febbraio 2017
MALDIVE-Alimathà
Le Maldive
sono composte da 1200 isole riunite in 26 atolli. Bisogna fare una distinzione
tra isola e atollo poiché, l’atollo corrisponde alla nostra regione
mentre se si parla d’isola s’intenda la nostra città. In precedenza ho detto che vi
sono 1200 isole, ma in realtà sono considerate terre emerse perché sono ritenute
isole solo quelle che hanno più di 7 palme lungo il perimetro, se non vi sono
almeno 7 palme, è considerata lingua di sabbia. Di queste 1200 terre emerse 1000
sono lingue di
sabbia e 200 sono considerate isole. Le 200 isole sono: 97 sono resort turistici
e 103 isole di pescatori. Alimathà è l’unica isola gestita da Italiani, così
chiamata poiché in antichità vista dall’alto, assomigliava al volto di una
donna mentre una corrente di pensiero più letterale dice “in mia assenza ti
raccomando a Dio”.Nelle isole la cosa più importante è la natura. Alimathà possiede più 1200 palme, le palme in
tutte le Maldive sono considerate importantissime perché un’isola più palme ha
e più è costosa; il valore è stabilito dalla quantità di palme sulla
superficie. Pertanto alle Maldive è vietato tagliare le palme tranne che in
casi estremi in cui la palma è gravemente rovinata e ogni due anni è fatto il
censimento perciò ogni isola sa con precisione il numero di palme. Molto
importante è anche il fiore della palma che è molto pesante, ma inodore; e dai
suoi pistilli vengono generati i cocchi. La Curumba è il cocco ancora acerbo,
e da questo ne ricaviamo il latte, che ha un gusto particolare che si distingue
da quello del resto del mondo poiché ha un retrogusto leggermente salato,
dovuto al fatto che ovviamente le palme fondano le proprie radici in mare.
Tutto ciò che riguarda il cocco: latte, polpa, ecc è ipercalorico. Kashi è il
cocco maturo nonché di colore marrone. Il cocco che si mangia ad Alimathà non è
locale perché per legge in tutto lo stato Maldiviano, nelle isole dove vi sono
i resort turistici i cocchi devono essere tolti dalle palme prima che
raggiungano la maturazione, perché deve essere evitato assolutamente che cadano
causando persino la morte della persona colpita. Tutti i cocchi offerti nei
resort provengono dalle isole dei pescatori. Con la buccia del cocco che è
molto filamentosa, si crea la cosiddetta corda di cocco che è lavorata dalle donne, ed è un
procedimento nel quale le bucce del cocco vengono macerate in acqua salata,
essiccate per poi essere annodate per dar vita alle corde di cocco. Le Maldive hanno circa 345'000 abitanti in
tutte le isole, la capitale è Male soprannominata La Miami dell’oceano per i suoi alti palazzi, la lingua officiale è il divehi o dhivehi.
La moneta locale è la rufiyaa, quindici monete locali valgono 1$. Male è
una città molto caotica interamente ed esclusivamente dedicata alla gestione
economica e logistica dello Stato, non vi è infatti turismo e neanche un
spiaggia, ma solo tante barche che trasportano le persone dall’ aeroporto alle
varie isole. Tutto il cibo servito nelle vari isole è importato, poiché alle
Maldive non c’è produzione -tranne il
pesce-. Vi è solo ed esclusivamente una fabbrica in tutto lo Stato che produce
Coca Cola, ed anche questa ha un gusto leggermente salato poiché fatta con acqua
desalinizzata. L’economia Maldiviana al contrario di quel che si pensa non si
basa sul turismo anche perché corrisponde solamente al 20% delle entrate,il
restante 80% dell’ economia locale è basata
sulla pesca. I coralli ora alle Maldive sono bianchi e non colorati come nel
Mar Rosso, questo è dovuto al Niño che nel 1998 che ha surriscaldato le acque
Maldiviane di 4/5 gradi i quali hanno bruciato i coralli e li hanno uccisi. La
bandiera è composta di un rettangolo verde in campo rosso, nel centro del
rettangolo è raffigurata una mezzaluna calante bianca. Il colore rosso
rappresenta il sangue versato dagli eroi
che hanno combattuto per l’indipendenza, il verde simboleggia la vita e
la mezzaluna è simbolo della religione islamica. L’unica religione praticata è
l’Islam Sunnita e una persona può diventare un cittadino maldiviano, solo e
solo se è islamico o si converte all’islam, l’apostasia, ovvero l’abbandono
della fede, è un reato punibile con la morte. Nel codice del diritto Maldiviano
non esiste il reato di violenza sessuale.
di Nahila Foti
mercoledì 8 febbraio 2017
giovedì 26 gennaio 2017
VI FESTIVAL DEMERODIANO DELLA SCIENZA - Vota il tuo gruppo preferito
VOTAZIONI TERMINATE...
Sarà la giuria, composta dal DIRETTORE, dal VICEPRESIDE e dai DOCENTI a stilare la classifica. I risultati ufficiali verranno comunicati nel corso della premiazione che si terrà la prossima settimana. A breve vi indicheremo la data esatta: NON MANCATE!!!
domenica 22 gennaio 2017
Caro diario
22 gennaio 2017
Caro diario,
ogni giorno che passa la voglia di osservare cresce in me come mai prima d’ora. Adesso non guardo più il mondo con occhi pieni di meraviglia, come quando ero piccolino e vedevo il buono dappertutto; no, adesso vedo anche il male che c’è fuori di me e dentro di me; e questo mi spaventa.
Ad esempio, se tu fossi stato quel “tu di sette anni fa”, il mio primo diario in assoluto, regalatomi dalla maestra dopo un meraviglioso dieci al tema sui delfini, avresti contenuto solo storielle su quanto fosse meravigliosa e divertente la vita e su quanto i miei amici ed io ci sentissimo grandi, quando, spinti da quel brutto ceffo nel film Hollywoodiano che avevamo visto di nascosto dai nostri genitori, avevamo giocato a spararci a vicenda.
Ma adesso no. Adesso i miei racconti sono tristi e fanno piangere anche me, quando li scrivo (non ti azzardare ad aprirti in faccia a nessuno, bada bene, perché rovinerebbe del tutto la mia reputazione). Adesso scrivo di una generazione che di sogni infranti ne ha molti e di voglia di vivere ne ha ancora meno di quanto ci si aspetta. Adesso quei dannati racconti parlano di quanto spaventoso sia il mondo per noi, per me, e di come abbiamo imparato a farci forza da soli, gli uni con gli altri, dimenticando talvolta anche di avere un cervello indipendente da quello del nostro Gruppo, fonte di salvezza e dannazione per le nostre sempre più fievoli luci della coscienza.
Qualche settimana fa, mentre guardavo la pioggia fuori dalla finestra in una piovosa giornata d’inverno, mentre i miei amici erano impegnati altrove ed io ero bloccato lì, solo come un cane a deprimermi, ho ricordato di aver avuto un’emozione, una sola volta, un po’ di tempo fa. Non ricordavo benissimo la sensazione, ma credo che implicasse un notevole nodo allo stomaco e un senso di nausea ogni volta che vedevo la ragazza per cui il mio cuore aveva, senza alcun motivo, deciso di produrre ciò che io combattevo da una vita: le emozioni. Sono stato in cerca di qualcuno per cui provare di nuovo quell’emozione sin da allora. E più cerco, più mi convinco che quello problematico non sono solo io: anche le ragazze sono tutte uguali.
Sabato, ad esempio, sono stato ad un diciottesimo: niente di insolito, devo dire, anche perché alla fine eravamo tutti talmente ubriachi che nessuno si ricordava più dove aveva parcheggiato la fottuta macchinetta. Siamo rimasti là, come sette idioti, a farci una canna, l’ultima rimasta dal pomeriggio, e a guardare sotto le minigonne delle ragazze che passavano, aspettando che la sbronza passasse un po’.
Prima di bere per disperazione, tuttavia, ho osservato un po’ gli altri alla festa, prima che arrivassero i miei amici storici e, tra le loro battute e apprezzamenti, perdessi del tutto i freni e mi dessi alla pazza gioia. Erano tutti accatastati a ridosso della parete, formando piccoli gruppi: le ragazze sedute con i piedi doloranti a causa dei tacchi altissimi, che portavano per sembrare meno tozze e nane, e i ragazzi in piedi a cazzeggiare e a indicare l’unica tipa decente nell’intera sala, che però ovviamente faceva finta di non filarseli e continuava a ridere e scherzare con le amiche con quell’aria da troia esperta che a noi ragazzi piace tanto.
Ed io? Beh, io ero tra i ragazzi, ovviamente, guardando di qua e di là come un artista a caccia del soggetto per il prossimo dipinto, osservando, prima, i movimenti sinuosi della tipa sulla pista da ballo; poi, la risata sguaiata di una roscia seduta a pochi metri da me con una profonda scollatura, che, mentre rideva, le metteva ancora più in evidenza le tette; infine, lo sguardo acido che le cretinette giù in fondo scoccavano prima alla tipa e poi alla roscia, mentre seguivano gli sguardi arrapati dei ragazzi, criticando tutto il criticabile senza sosta.
No! Nessuna di loro suscitava in me la benché minima emozione: la tipa era figa, per carità, niente da ridire su culo e tette, ma sarebbe stata l’ennesima di una serie di storie con ragazze solo da guardare, paccare, scopare… No grazie, ne ho fin troppe e non ne vale la pena per una che alla fine piace a tutti e che mi mollerebbe appena ne trova uno più figo e popolare di me. La roscia era carina, ma quel suo modo di ridere mi suggeriva che, in fondo in fondo, stava imitando la tipa e che, quindi, a questo punto tanto valeva farsi l’originale. Sulle cretinette in fondo non avevo nulla da aggiungere: probabilmente erano più piccole, di secondo o giù di lì, ed io, a diciassette anni, non trovavo neanche un motivo valido per filarmele. Sono delle sfigate: non riuscivano ad imitare né l’una né l’altra tipa e quindi criticavano entrambe. Che merda!
Poi, stanco di osservare, sono andato al bar e ho iniziato a bere. Nel frattempo, sono arrivati anche i miei amici, quelli storici che tu conosci bene, e con loro… Beh, diciamo che ero troppo fatto per ricordarmelo e la fame chimica iniziava a farsi sentire. Della serata non ricordo più niente a parte quell’enorme senso di delusione, provato quando per l’ennesima volta non sono riuscito a sentire l’Emozione.
Ora devo andare. Sai com’è, mi aspetta la mia ragazza: sola, a casa, finalmente con i genitori fuori Roma. Non mi posso lasciar scappare questa occasione. Meno male che c’è lei, che mi salva la vita ogni volta che penso troppo.
H.C.
sabato 21 gennaio 2017
venerdì 20 gennaio 2017
Vota il tuo gruppo preferito
In occasione del VI FESTIVAL DEMERODIANO DELLA SCIENZA ti invitiamo a votare il tuo gruppo preferito mettendo un "MI PIACE" sulla nostra PAGINA FACEBOOK.
Il concorso avrà inizio sabato 21 gennaio alle ore 13.00 e terminerà giovedì 26 alle ore 23.59 Ricorda di esprimere solo una preferenza: puoi votare un solo gruppo tra quelli presenti. Tutti i doppi voti verranno annullati.
Buon divertimento e... BUON OPEN DAY!!!
martedì 17 gennaio 2017
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