domenica 22 gennaio 2017

Caro diario

22 gennaio 2017
Caro diario, 
ogni giorno che passa la voglia di osservare cresce in me come mai prima d’ora. Adesso non guardo più il mondo con occhi pieni di meraviglia, come quando ero piccolino e vedevo il buono dappertutto; no, adesso vedo anche il male che c’è fuori di me e dentro di me; e questo mi spaventa.

Ad esempio, se tu fossi stato quel “tu di sette anni fa”, il mio primo diario in assoluto, regalatomi dalla maestra dopo un meraviglioso dieci al tema sui delfini, avresti contenuto solo storielle su quanto fosse meravigliosa e divertente la vita e  su quanto i miei amici ed io ci sentissimo grandi, quando, spinti da quel brutto ceffo nel film Hollywoodiano che avevamo visto di nascosto dai nostri genitori, avevamo giocato a spararci a vicenda. 

Ma adesso no. Adesso i miei racconti sono tristi e fanno piangere anche me, quando li scrivo (non ti azzardare ad aprirti in faccia a nessuno, bada bene, perché rovinerebbe del tutto la mia reputazione). Adesso scrivo di una generazione che di sogni infranti ne ha molti e di voglia di vivere ne ha ancora meno di quanto ci si aspetta. Adesso quei dannati racconti parlano di quanto spaventoso sia il mondo per noi, per me, e di come abbiamo imparato a farci forza da soli, gli uni con gli altri, dimenticando talvolta anche di avere un cervello indipendente da quello del nostro Gruppo, fonte di salvezza e dannazione per le nostre sempre più fievoli luci della coscienza. 

Qualche settimana fa, mentre guardavo la pioggia fuori dalla finestra in una piovosa giornata d’inverno, mentre i miei amici erano impegnati altrove ed io ero bloccato lì, solo come un cane a deprimermi, ho ricordato di aver avuto un’emozione, una sola volta, un po’ di tempo fa. Non ricordavo benissimo la sensazione, ma credo che implicasse un notevole nodo allo stomaco e un senso di nausea ogni volta che vedevo la ragazza per cui il mio cuore aveva, senza alcun motivo, deciso di produrre ciò che io combattevo da una vita: le emozioni. Sono stato in cerca di qualcuno per cui provare di nuovo quell’emozione sin da allora. E più cerco, più mi convinco che quello problematico non sono solo io: anche le ragazze sono tutte uguali. 

Sabato, ad esempio, sono stato ad un diciottesimo: niente di insolito, devo dire, anche perché alla fine eravamo tutti talmente ubriachi che nessuno si ricordava più dove aveva parcheggiato la fottuta macchinetta. Siamo rimasti là, come sette idioti,  a farci una canna, l’ultima rimasta dal pomeriggio, e a guardare sotto le minigonne delle ragazze che passavano, aspettando che la sbronza passasse un po’.  

Prima di bere per disperazione, tuttavia, ho osservato un po’ gli altri alla festa, prima che arrivassero i miei amici storici e, tra le loro battute e apprezzamenti, perdessi del tutto i freni e mi dessi alla pazza gioia. Erano tutti accatastati a ridosso della parete, formando piccoli gruppi: le ragazze sedute con i piedi doloranti a causa dei tacchi altissimi, che portavano per sembrare meno tozze e nane, e i ragazzi in piedi a cazzeggiare e a indicare l’unica tipa decente nell’intera sala, che però ovviamente faceva finta di non filarseli e continuava a ridere e scherzare con le amiche con quell’aria da troia esperta che a noi ragazzi piace tanto.

Ed io? Beh, io ero tra i ragazzi, ovviamente, guardando di qua e di là come un artista a caccia del soggetto per il prossimo dipinto, osservando, prima, i movimenti sinuosi della tipa sulla pista da ballo; poi, la risata sguaiata di una roscia seduta a pochi metri da me con una profonda scollatura, che, mentre rideva, le metteva ancora più in evidenza le tette; infine, lo sguardo acido che le cretinette giù in fondo scoccavano prima alla tipa e poi alla roscia, mentre seguivano gli sguardi arrapati dei ragazzi, criticando tutto il criticabile senza sosta. 

No! Nessuna di loro suscitava in me la benché minima emozione: la tipa era figa, per carità, niente da ridire su culo e tette, ma sarebbe stata l’ennesima di una serie di storie con ragazze solo da guardare, paccare, scopare… No grazie, ne ho fin troppe e non ne vale la pena per una che alla fine piace a tutti e che mi mollerebbe appena ne trova uno più figo e popolare di me. La roscia era carina, ma quel suo modo di ridere mi suggeriva che, in fondo in fondo, stava imitando la tipa e che, quindi, a questo punto tanto valeva farsi l’originale. Sulle cretinette in fondo non avevo nulla da aggiungere: probabilmente erano più piccole, di secondo o giù di lì, ed io, a diciassette anni, non trovavo neanche un motivo valido per filarmele. Sono delle sfigate: non riuscivano ad imitare né l’una né l’altra tipa e quindi criticavano entrambe. Che merda! 

Poi, stanco di osservare, sono andato al bar e ho iniziato a bere. Nel frattempo, sono arrivati anche i miei amici, quelli storici che tu conosci bene, e con loro… Beh, diciamo che ero troppo fatto per ricordarmelo e la fame chimica iniziava a farsi sentire. Della serata non ricordo più niente a parte quell’enorme senso di delusione, provato quando per l’ennesima volta non sono riuscito a sentire l’Emozione. 

Ora devo andare. Sai com’è, mi aspetta la mia ragazza: sola, a casa, finalmente con i genitori fuori Roma. Non mi posso lasciar scappare questa occasione. Meno male che c’è lei, che mi salva la vita ogni volta che penso troppo. 

H.C.

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