lunedì 19 ottobre 2020

Un giallo...tra di noi - Parte prima

 


Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 

Il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è una sola.


Roma, Collegio S. Giuseppe - Istituto de Merode – Ore 17:00

Erano trent’anni che Irma ripeteva gli stessi movimenti. Ogni giorno, dopo che i ragazzi avevano lasciato gli edifici lei apriva la porta dello sgabuzzino, prendeva il carrello delle pulizie e iniziava metodicamente il suo lavoro dal basso. Anche quel giorno aprì la porta in legno e vetro accanto alla guardiola e si diresse a destra nel lungo corridoio che conduceva alla grande sala. Senza neanche guardare cominciò a pulire il pavimento. Il suo era ormai quasi un riflesso involontario eppure qualcosa aveva interrotto quel movimento.

Il silenzio che permeava la scuola fin dentro alle mura fu interrotto dal suo grido.

Roma, Via del Corso - Ore 21:00

Non era certo una serata per perdite di tempo, quella. Il vento spingeva la pioggia contro le vetrine producendo un sordo ticchettio, e la pioggia, allora,  rispondeva a quel suono malinconico con scrosci irregolari. Le  luci dei lampioni si rifrangevano nell’acqua delle pozzanghere creando un’atmosfera chiaramente autunnale, nonostante mancassero alberi dalle foglie caduche a testimonianza del fatto. Ogni cosa in quella via era congelata in quel frammento infinito di tempo. Nello stesso momento quel paesaggio riusciva a rinchiudere la freddezza del passato e il calore bruciante di un presente troppo impegnato, descritto dal muoversi frettoloso dei piedi  dei passanti. Le loro figure si muovevano spedite, senza lasciare tempo ai loro volti di rimanere impressi su queste pagine. Un solo uomo aveva accettato l’inevitabilità di quel temporale, e se ne stava fermo in un angolo. Era alto, col fisico di chi lavora d’ingegno più che di forza, ma comunque con un portamento signorile. Stava dritto, con lo sguardo proiettato lontano, indossando con un’eleganza innata il suo trench di foggia classica e blu notte -portato rigorosamente col bavero alzato, sotto al quale si intravedeva un maglione a collo alto color panna- e il suo borsalino. Quello, in realtà, era forse più un vezzo per mascherare una lieve stempiatura resa evidente dai capelli corvini, che creavano contrasto con la carnagione chiara la quale, però, metteva in risalto gli occhi di un blu profondo sottolineati dalle folte sopracciglia che rendevano il suo sguardo intenso e scrutatore. Nulla infatti sfuggiva alle sue occhiate taglienti e austere, che mettevano a disagio chiunque osasse sfidarlo guardandolo direttamente. Era severo e rigoroso con se stesso e con gli altri e il suo portamento non lasciava adito ad errori di interpretazione nel cercare di individuarne l’indole.

L’irruenza dell’acqua aveva creato un flusso che scorreva ora sul bordo della strada, a pochi centimetri dai piedi dell’uomo che nel frattempo si era riparato sotto l’ingresso  di un negozio per approfittare delle luci delle vetrine  ancora accese . Tirò fuori dalla tasca il suo tagliasigari in argento e la custodia in pelle dei suoi amati Toscani. Ne tagliò uno, se ne  portò alla bocca una metà e la accese con calma e concentrazione, come se nulla potesse in quel momento distrarlo. Accertatosi che tirasse bene, si rilassò.

L’odore acre del fumo si mescolava  a quello dell’asfalto bagnato. Nulla avrebbe potuto disturbare l’uomo che sembrava quasi cercare di nascondersi all’interno di quella nuvola grigiastra che fuggiva verso il cielo unendosi alla pioggia sottile in una danza di spirali, quasi come se volesse negargli il diritto di stare da solo.

L’uomo ebbe il tempo di fare solo la prima boccata, quando lo squillo del suo telefono lo interruppe.

"Pronto" disse, attendendo una risposta. "Edoardo Guenzi?". "Sì…?". "Sono Michele Guarnerio, Frère Michele, ti ricordi di me?. Ho bisogno di te… è successo una cosa all’interno della scuola… avrei bisogno del tuo aiuto, subito".

"Sì, mi ricordo di lei", ebbe un attimo di titubanza.

Mille immagini si accavallarono nella sua mente, mille emozioni si rincorsero nel suo cuore. Quanta amarezza gli era rimasta in bocca per il modo in cui quella scuola aveva dovuto lasciarla, accusato di una colpa non sua, vittima di una decisione che aveva subito con dignità anche se aveva cercato in tutti i modi di dimostrare la sua innocenza. Si era ripromesso che non sarebbe mai più tornato in quel posto, ma la voce disorientata di Frère Michele, l’unico che aveva creduto nella sua innocenza, lo convinse a rispondere a quella richiesta di aiuto.

"Arrivo subito". Disse cercando di nascondere la sua insicurezza con un tono risoluto.

"Entra dall’ingresso secondario, per favore".

"Certamente, mi ricordo…".

Si strinse nel suo trench e cominciò a camminare in modo automatico sotto la pioggia; i pensieri andavano e venivano ad ogni falcata, allontanandosi per poi ritornare veementi come le onde che si infrangono sul bagnasciuga quando il mare è grosso.

Imboccò via del Babuino, arrivò all’incrocio con via Alibert e girò la testa verso il fondo della stradina, dove  lo aspettava il grande cancello in ferro della scuola che per tanti anni lo aveva visto crescere. Quante volte era passato attraverso quel varco, temendo giornate di pena all’ingresso e tirando un sospiro di sollievo all’uscita per un successo ottenuto o un’interrogazione scampata.

Si fermò un attimo prima di chiamare il Frère per farsi aprire.

Ripensò a quando, con la testa bassa per il senso di umiliante impotenza e i pugni chiusi per la rabbia di aver subito una profonda ingiustizia, aveva oltrepassato quello stesso cancello per l’ultima volta, lasciandosi alle spalle un’esperienza che lo aveva formato, nonostante il suo epilogo, come persona e come studente.

Non era un caso che da quel momento in poi tutto il suo percorso di vita era stato mirato alla ricerca della verità, sempre e in ogni caso. Gli studi di giurisprudenza prima, poi la specializzazione in criminologia negli Stati Uniti e la scelta di passare la propria esistenza scrutando in quella degli altri, alla ricerca di elementi e indizi che potessero aiutare i suoi clienti a non subire l’onta di accuse infamanti e difficilmente confutabili senza il suo aiuto. Investigatore. Un mestiere dal fascino d’altri tempi, vintage, demodé. Eppure ancora ricercatissimo da chi non vuole rendere pubbliche le sue difficoltà, da chi vuole condurre le proprie delicate vicende nel massimo della riservatezza. E non c’è dubbio che Edoardo, col suo stile fuori dal comune, era sicuramente divenuto uno dei professionisti più talentuosi in questo settore.

Aveva lasciato che il suo Toscano, che lo aveva consolato per tutto il tragitto, si spegnesse lentamente. Tirò un lungo respiro cercando calma e concentrazione e varcò quella soglia ancora una volta. Il Frère lo aspettava osservando solenne il cancello dalla cima della scalinata principale. "Eccoti, dopo tanto tempo. Avrei sempre voluto chiamarti, ma qualcosa mi ha trattenuto nel corso di questi anni. Ho seguito i tuoi successi passo dopo passo e sono convinto che tu possa aiutarmi a venire fuori da questa tempesta che sta per travolgerci".

"Cosa è successo di tanto grave che non potesse aspettare domattina?", chiese allora Edoardo.

"Vieni".

Le luci erano spente, solo quel fioco bagliore che proveniva dall’esterno attraverso le grandi finestre permetteva di individuare a grandi linee le caratteristiche di quell’ambiente; con quel buio nessuno che non fosse familiare e confidente con quei luoghi e quegli spazi si sarebbe potuto minimamente orientare.

"Non posso accendere le luci , attirerebbero l’attenzione di qualcuno a quest’ora di notte", disse Fr. Michele.

Edoardo, allora si fece luce col telefonino, vagando con lo sguardo per la stanza alla ricerca del qualcosa da notare finché la luce non si spostò in basso.

Un brivido gli corse lungo la schiena, girò istantaneamente lo sguardo verso Michele che ricambiò l’occhiata senza dire nulla.

Ai piedi della tromba delle scale giaceva, riverso bocconi sul marmo, un Frère dai capelli bianchi.

"È Saturnino", disse Michele, "ti ricordi di lui?".

Certo che si ricordava. Era stato il suo insegnante di latino, che gli aveva trasmesso il suo amore incondizionato per il libri antichi. Più erano polverosi e più riteneva che avessero qualcosa da dire, che fossero custodi di segreti da svelare solo a chi li avesse trattati con amore e rispetto, a chi si fosse reso disponibile ad ascoltare le loro storie.

Quell’immagine lo lasciò per un attimo annichilito.

"Perché è ancora così? È stato un incidente? Perché non avete chiamato la polizia o un medico legale?", chiese sbalordito.

"Là per là ho pensato che si trattasse di un incidente. Poi ho trovato tra le sue dita questo", disse Michele porgendogli un pezzo di carta ingiallita.

Sembrava solo un pezzo di una pagina di un libro, nulla che non fosse coerente con l’ipotesi di un incidente vista la passione di Saturnino per i testi antichi.

"Avreste dovuto chiamare la polizia. Io mi occupo di crimini seri, non di banali incidenti".

"Non ti ho detto tutto".

 

Vai alla parte seconda 

 Secondo te Edoardo Guenzi dovrebbe accettare di occuparsi del caso? Rispondi 1 o 2 utilizzando i commenti del blog oppure la nostra pagina Instagram:

1. Accettare il caso e seguire il Frère

2. Rifiutare e andarsene

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