sabato 7 novembre 2020

Sortilegio cromatico: Biden presidente

 

“The king is dead; all hail the king”

È arrivata la lieta novella, il mondo cessa di trattenere il fiato, i polmoni si riempiono di vita. Joe Biden, settantasette anni, democratico, è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. In Europa si tira un profondo sospiro di sollievo. A Mosca meno. Comunque, abbiamo un vincitore.

Mercoledì scorso mi sono svegliato alle cinque del mattino. Ho vagamente separato le palpebre nel buio più totale, cercando l’interruttore della luce col solo tatto, stordito da una sveglia volutamente fastidiosa. Ho preso in mano il telefono, e, con una certa trepidazione, ho cercato su Google, ubriaco di sonno, le fatidiche parole: “US elections results”. Ho visto la mappa dicroma, sfumata nell’incertezza. Il mio primo pensiero è stato “Ha vinto Trump”. Erano mesi che, personalmente, mettevo in guardia amici e conoscenti rispetto alla possibilità di una riconferma del presidente uscente. Forse era rimasta in me troppo bruciante la cicatrice della rovinosa sconfitta di Hillary Clinton, ancora così recente nell’immaginario collettivo. Forse, in fondo, preferivo poter continuare ad avere il privilegio di dire: “Almeno, in America, sono messi peggio di noi”. Non negherò perciò di non essere stato immediatamente colto dalla gravità di quella mia deduzione azzardata, ma anzi, quasi compiaciuto del mio aver ragione, del mio poter dire “Ve l’avevo detto”, profeta di sventure in tempi moderni. Trump era avanti in pressoché tutti i campi di battaglia ancora incerti, in ampio vantaggio in Michigan e Wisconsin, gli stati della “Rust Belt” che costituiscono quel famoso “Blue Wall” che solo quattro anni fa aveva segnato la disfatta della Clinton, e che quest’anno avrebbe potuto segnare la fine di Biden. A questo primo momento di narcisismo autodistruttivo se ne sostituì un secondo, in cui presi coscienza delle effettive implicazioni di una, allora probabile, vittoria di Trump. E così cominciai a sperare, caso raro nella mia vita, di poter dire di avere avuto torto, di poter vedere il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti uscire stizzito dalla Casa Bianca, con i pugni stretti e il parrucchino spettinato. E sia chiaro, non ritengo che Biden si rivelerà un ottimo presidente, come non ho mai ritenuto che Donald Trump si sia rivelato il male incarnato, un demone spedito su questa terra da qualche milione di incestuosi boscaioli della profonda provincia nord-americana. Come in tutte le cose, certo, bisogna scegliere una parte, ed io, come traspare dalle mie parole, l’ho scelta, ma senza mai cessare di tentare di comprendere l’avversario, di capire, in questo caso specifico, che Trump non è divenuto presidente degli Stati Uniti perché gli americani sono ignoranti e bigotti (o meglio, non solo), ma perché ha proposto delle soluzioni, discutibili, a dei problemi reali, o comunque sentiti come tali da buona parte dei cittadini statunitensi. Perciò non dirò che sono felice della vittoria di Biden, ma piuttosto che sono sollevato dalla sconfitta di Trump. Ma ritorniamo a noi. Dopo la mattina di quel quattro novembre ho iniziato a capire che i giochi erano, in effetti, tutt’altro che chiusi, che, fortunatamente, ero stato frettoloso nel darmi ragione. E così, speranzoso e spaventato, ho cominciato a compulsare il telefono ogni pochi minuti, digitando sempre le stesse parole, come una formula magica e apotropaica, un mantra profano e occidentale: “US elections results”. Ho visto gli stati rosa farsi azzurri, poi blu, in una sorta di provvidenziale sortilegio cromatico. In poche parole, era arrivato il voto per posta, dominato dai democratici, a salvare la situazione, un deus ex machina letterale. Ed oggi, finalmente, dopo tre giorni di attesa, possiamo dire con certezza matematica che Joe Biden ha vinto queste elezioni. Ciò non significa però che il melodramma sia terminato. Il presidente uscente ha già intrapreso azioni legali in più di uno stato, denunciando irregolarità ed esigendo riconteggi. Il coinvolgimento della corte suprema è praticamente certo. Ci troviamo davanti, insomma, ad un personaggio che, per ora, non sembra disposto a rinunciare alla propria posizione e ad accettare il più basilare postulato della democrazia, ossia che il potere è esercitato dal popolo, nei limiti e nel rispetto della legge, attraverso il voto. Si para davanti ai nostri occhi uno scenario fosco, ma comunque più limpido di quello che si sarebbe configurato con l’eventuale vittoria di “The Donald”. Comunque, in un momento di crisi come quello attuale, la soporifera calma di Joe Biden potrebbe salvarci. Oggi è stata scritta una pagina importante della storia recente. E nel vedere quest’uomo così buffo, così strano, che ha tenuto in mano le redini del mondo negli ultimi quattro anni, non posso che immaginare cosa stia pensando mentre scrivo, sconfitto e caduto, come un inverso e tragicomico Riccardo III.

“I'll make my heaven to dream upon the crown,

And, whiles I live, to account this world but hell”

Tancredi Bendicenti

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