28 novembre 2016
Caro diario,
innanzitutto ben arrivato. Sei l’erede di migliaia di meravigliosi soldati che hanno dato la propria vita, o meglio, le proprie pagine, per conservare tutte le avventure, che anche tu presto ascolterai. Non so quanti anni hai, sulla copertina è impresso l’anno 2016/2017, ma non sono sicuro che tu sia realmente così giovane: se tu lo fossi, beh, significherebbe che non potresti capirmi fino in fondo. Di me non ti serve sapere nulla: caratteristiche fisiche e aspetto non hanno importanza, mentre per quanto riguarda il resto… non temere, avrai tempo per conoscermi. Per ora, ti basti sapere che ho sedici anni. Eh già, sono uno dei più sfortunati esponenti della tanto rimpianta cosiddetta “adolescenza”, altrimenti conosciuta come “rottura di scatole galattica, alla quale prima o poi siamo tutti costretti a partecipare”.
La mia è l’età dell’insicurezza, della gioia infinita, dei pianti colossali, delle dormite in classe, delle interrogazioni scampate, delle nottate passate in piedi a studiare e dei pomeriggi passati a guardare la pioggia fuori dalla finestra perché “il mondo fa schifo e io ci sto dentro”. Tu, forse, non capisci, perché, a meno che tu non sia un adulto sensibile, cosa difficile da trovare oggi giorno, devo ammetterlo, o un bambino prodigio, le probabilità che tu abbia la mia età sono assai scarse, una su trecentocinquantaseimilioniquattrocentoventisettemila per la precisione. Ma se tu, per un caso o un miracolo, avessi proprio la mia stessa età e fossi nato proprio tra il 1997 e il 2003, mi capiresti sicuramente. Eh già, perché noi adolescenti, seppur per motivi diversi, passiamo tutti la vita a soffrire per qualcosa. Il nostro è un mondo di oppressi, che talvolta si fingono oppressori, per imitare il modo in cui si comportano con loro i cosiddetti “adulti di riferimento”, alias “quei rompiscatole di mia madre e di mio padre”. Leggendo ciò potresti pensare che io sia tale e quale a loro, i genitori, che, invece di darsi la colpa per quello che ci hanno fatto, la danno ad altri: quasi sempre a noi; talvolta ai professori, che poi la danno a noi e fine dei giochi; e, per la maggior parte delle volte, a “questa società corrotta da politici corrotti, che vi insegna a stare sempre con quei cosi in mano…”.
Io però non penso che i “bulli” non abbiano la responsabilità delle proprie azioni: come ho scritto prima, soffriamo tutti per qualcosa. I bulli lo sanno. Lo sai perché ci risulta così difficile denunciare un “atto di bullismo”? Non per la paura, con quella siamo abituati convivere fin da quando siamo nati, tra assassinii, minacce, attacchi terroristici e confische dell’iPhone. E neanche perché non vogliamo mostrare la nostra fragilità e cavolate di questo genere che dicono gli psicologi, quando i nostri genitori ci portano da loro dicendo in tono malinconico: “Mio figlio ha dei problemi” mentre noi ci andiamo solo perché ci hanno promesso la giustifica per l’interrogazione di greco. La verità è che ci vergogniamo di condannare qualcuno che, in fin dei conti, sta duemila volte peggio di noi. Perché noi lo sappiamo perché quel ragazzo, o ragazza, ci sta trattando così: probabilmente quando torna a casa non c’è nessuno ad aspettarlo, a chiedergli se a scuola è andato tutto bene, a cercare di capire se poi quella famosa giustifica di greco era servita a qualcosa. Noi sappiamo che quel ragazzo riceve a malapena un sms malinconico che dice: “Fai i compiti, torno tardi”. Forse, neanche quello; forse, viene lasciato ad un cupo silenzio, pieno di parole non dette, a rimuginare su quel brutto voto che ha preso in latino (perché è matematico che, se hai la giustificazione in greco, poi quella ti interroga in latino) e a cercare un modo per dirlo ai genitori, perché si vergogna, ma, allo stesso tempo, non vede l’ora che loro gli facciano la solita ramanzina, perché, almeno per una volta, significa che si stanno preoccupando di lui.
Ti voglio svelare un ultimo segreto per oggi: lo sai cos’altro sanno gli adolescenti? Sanno che la peggior forma di oppressione è la noncuranza.
Adesso devo andare; mamma è appena tornata e vorrà sapere del maledetto 4 in matematica che ho preso oggi, con tanto di complimenti della professoressa: “Tu”, ha detto, “ la matematica non sai proprio dove sta di casa!”. Io non so neanche dov’è la mia di casa, figurati se so dove abita la matematica!
Comunque scialla, tutto passa, e domani è un altro giorno.
XOXOXOXO,
H.C.
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