venerdì 20 dicembre 2019

La tasca - un racconto di Tancredi Bendicenti parte 1


«Τοίους γὰρ κατὰ κῦμα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης
ἔκλυσεν· οἰδαλέους δ᾽ ἀμφ᾽ ὀδύνηις᾽ ἔχομεν
πνεύμονας»
“Infatti tali sono quelli che l’onda del mare sonoro
inghiottì e per il dolore abbiamo gonfi
i polmoni”
(Archiloco, Elegia del naufragio)
I.                      


Il sentiero che portava al pozzo era tortuoso. La polvere strangolava i viaggiatori, penetrando nelle narici e nella bocca. Ricopriva la pelle di una patina asciutta e fluida, difficile da grattar via. Miseri arbusti costellavano la strada di terra, appiattita dai passi di pendolari assetati. Il ragazzo pensava a una distesa di acqua infinita, al mare. Non lo aveva mai visto. La sua terra era lontana dalla costa.

Ma immaginava ogni giorno di attraversarlo, di domarlo. Quanto poteva essere profondo? Quali pesci, quali creature brulicavano sepolte nel suo grembo? Quale furia poteva animarlo? Avevano sempre canzonato il ragazzo per questi suoi pensieri strani, astratti. Dicevano che era un poeta. Che i poeti non mangiano. Ma lui non era un poeta. La sua mente era un turbinio di numeri, formule e simboli. La sua vita era la matematica. Dietro ogni fatto, ogni avvenimento cercava una legge, un teorema, una spiegazione universale. Le lezioni di letteratura, anzi, lo annoiavano. Le parole erano rappresentazioni imprecise della realtà, specchi mostruosi che distorcono la verità e la piegano ai capricci dell’animo. Non era mai stato un bambino capriccioso. Mamma gli diceva sempre che da piccolo non piangeva mai. Mamma lo aveva sempre amato. Papà in egual misura, ma in modo diverso. Era un uomo spigoloso, serio, che rideva raramente. Ogni giorno andava a lavorare prima dell’alba. Tornava la sera, sfinito, ma con la schiena dritta. Parlava poco. Ma guardava suo figlio, con amore, con affetto. E di notte, quando il ragazzo dormiva già da almeno un’ora, lo accarezzava dietro le orecchie, e sussurrava parole difficili da capire, in un dialetto antico e quasi magico. Suo figlio era il suo orgoglio. La sua medaglia nel villaggio. Quando erano uscite le pagelle, qualche settimana prima, per primo era andato a scuola. Era tornato con una vecchia bicicletta, ed un bacio. Poi si era addormentato, quasi sorridente. Con quella stessa bicicletta il ragazzo stava percorrendo il sentiero che portava al pozzo. Si affacciò su quell'abisso artificiale, buio e stretto, ma di certo meno profondo del mare. Tirò su due taniche piene di acqua. Le legò allo scheletro della bicicletta. Si diresse verso casa. Il sole già cominciava a tramontare. Quando vide sua madre fuori dalla porta, con due fagotti sulla schiena, non capì. Chiese spiegazioni. La madre rispose vaga, schivando le domande sempre più incalzanti. Gli diede in mano la sua giacca. Gli disse di indossarla, che avrebbe cominciato a fare freddo. Obbedì. Sentì un rigonfiamento nella tasca. Infilò la mano. Toccò un foglio. Cercò di afferrarlo, ma era come incollato. continua...


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