lunedì 27 gennaio 2020

Vivà



Vittoria Gorizia Nenni. Il nome me lo ricordo ancora. Il numero di matricola è 31635. Vivà mi chiamava mio padre. Vivà. Tra le paludi ed il tifo mi conforta. Nous nous reverrons. Nous nous revverrons. Ultime parole ingannevoli da scrivere ad un padre. Ho piaghe sulle gambe.
Calli sulle mani. I capelli però mi sono ricresciuti. Il cammino è lungo. Le urla dei soldati poco confortevoli. Le baracche, numerate anch’esse, si ripetono a destra e a sinistra. Tutte uguali. Con puntuale squallore. Dietro di noi il filo spinato. Dietro il filo spinato la vita. Davanti a noi mattoni e cemento, ed un ultimo respiro da diventare. Mi stringo il fazzoletto sulla testa. Fa freddo. Anche se è luglio. Mi manca la Francia. Mi manca l’Italia. Una compagna l’ho lasciata in baracca. Charlotte. Charlotte Dudach. Era l’8. Credo. Poi ci fanno entrare in un edificio. Cemento. Cemento che soffoca. Ci fanno spogliare. I vestiti si ammucchiano in un angolo. Davanti a noi un porta. Chiusa. Pesante. Impenetrabile. Oltre la soglia le docce. Si sa che dalle docce non torna nessuno. Ci spingono dentro. I nostri corpi ruvidi di lavoro si feriscono tra loro. La porta si chiude. Ermeticamente. Hineni. Hineni. Hineni. Voci di ebree. Di Polonia. Di Germania. Di Russia. Di Francia. Di 20 altri lingue. Di venti altre nazioni. Non esce acqua. Forse non esce nulla. Ma il respiro mi manca. Mi manca sempre di più. Mi si appanna la vista. E ciao Vivà.

“Una giornata angosciosa. Tornato in ufficio… informato che c’è una lettera di Saragat a De Gasperi che conferma la notizia della morte di Vittoria. Ho cercato di dominare il mio schianto e di mettermi in contatto con De Gasperi che però era al Consiglio dei ministri. La conferma mi è venuta nel pomeriggio, da De Gasperi in persona, che mi ha consegnato la lettera di Saragat. La lettera non lascia dubbi. La mia Vivà sarebbe morta un anno fa nel giugno. Mi ero proposto di non dire niente a casa, ma è bastato che Carmen mi guardasse in volto per capire … Poveri noi! Tutto mi pare ora senza senso e senza scopo. I giornali sono unanimi nel rendere omaggio alla mia figliola. Da ogni parte affluiscono lettere e telegrammi. La parola che mi va più diretta al cuore è quella di Benedetto Croce: “Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come solamente si sorpassano le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore e accettarle perpetue compagne, parti inseparabili della nostra anima”. Povera la mia Vittoria! Possa tu, che fosti tanto buona e tanto infelice, essere la mia guida nel bene che vorrei poter fare in nome tuo e in tuo onore.”
Dal diario di Pietro Nenni.

Tancredi Bendicenti

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