Vittoria
Gorizia Nenni. Il nome me lo ricordo ancora. Il numero di matricola è 31635. Vivà
mi chiamava mio padre. Vivà. Tra le paludi ed il tifo mi conforta. Nous nous
reverrons. Nous nous revverrons. Ultime parole ingannevoli da scrivere ad un
padre. Ho piaghe sulle gambe.
Calli sulle mani. I capelli però mi sono
ricresciuti. Il cammino è lungo. Le urla dei soldati poco confortevoli. Le
baracche, numerate anch’esse, si ripetono a destra e a sinistra. Tutte uguali.
Con puntuale squallore. Dietro di noi il filo spinato. Dietro il filo spinato
la vita. Davanti a noi mattoni e cemento, ed un ultimo respiro da diventare. Mi
stringo il fazzoletto sulla testa. Fa freddo. Anche se è luglio. Mi manca la
Francia. Mi manca l’Italia. Una compagna l’ho lasciata in baracca. Charlotte.
Charlotte Dudach. Era l’8. Credo. Poi ci fanno entrare in un edificio. Cemento.
Cemento che soffoca. Ci fanno spogliare. I vestiti si ammucchiano in un angolo.
Davanti a noi un porta. Chiusa. Pesante. Impenetrabile. Oltre la soglia le
docce. Si sa che dalle docce non torna nessuno. Ci spingono dentro. I nostri corpi
ruvidi di lavoro si feriscono tra loro. La porta si chiude. Ermeticamente.
Hineni. Hineni. Hineni. Voci di ebree. Di Polonia. Di Germania. Di Russia. Di
Francia. Di 20 altri lingue. Di venti altre nazioni. Non esce acqua. Forse non
esce nulla. Ma il respiro mi manca. Mi manca sempre di più. Mi si appanna la
vista. E ciao Vivà.
“Una
giornata angosciosa. Tornato in ufficio… informato che c’è una lettera di
Saragat a De Gasperi che conferma la notizia della morte di Vittoria. Ho
cercato di dominare il mio schianto e di mettermi in contatto con De Gasperi
che però era al Consiglio dei ministri. La conferma mi è venuta nel pomeriggio,
da De Gasperi in persona, che mi ha consegnato la lettera di Saragat. La
lettera non lascia dubbi. La mia Vivà sarebbe morta un anno fa nel giugno. Mi
ero proposto di non dire niente a casa, ma è bastato che Carmen mi guardasse in
volto per capire … Poveri noi! Tutto mi pare ora senza senso e senza scopo. I
giornali sono unanimi nel rendere omaggio alla mia figliola. Da ogni parte
affluiscono lettere e telegrammi. La parola che mi va più diretta al cuore è
quella di Benedetto Croce: “Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo
momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come solamente si sorpassano
le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore e accettarle perpetue
compagne, parti inseparabili della nostra anima”. Povera la mia Vittoria! Possa
tu, che fosti tanto buona e tanto infelice, essere la mia guida nel bene che
vorrei poter fare in nome tuo e in tuo onore.”
Dal
diario di Pietro Nenni.
Tancredi Bendicenti
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