martedì 25 febbraio 2020

Binario




On.
Sei sul divano. Ti appoggi pesantemente.
 Sfinito.
Dura giornata di lavoro. Ti sbottoni la camicia. Cominci dall’alto. Ti togli la cravatta. La avvolgi intorno a quattro dita. Poi la metti sul posto vuoto accanto a te. Divarichi le gambe. Sfili la cintura dai pantaloni.

Ti accorgi di una macchia. Prendi una bottiglia di acqua sgasata e ci bagni un fazzoletto. Si dissolve. Stai pensando a lei? Si, stai pensando a lei. Si vede dagli occhi. Sei stanco. Faresti meglio ad andare a dormire. Sono le 6 però. È troppo presto. Non si sono ancora accesi i lampioni. C’è un po’ di luce fuori. L’inverno sta finendo. Dai uno sguardo al telefono. Qualche notifica.
Hai ricevuto 7 nuovi messaggi su Whatsapp.
3 account hanno messo “mi piace” al tuo post di di Instagram.
No, non lei.
agms  Y
ysmn  O
o     U
Muovi velocemente il cursore sulla tastiera di Netflix. Vedo il tuo pollice destreggiarsi sul telecomando. Destra. Sinistra. Su. Giù. Con il calare del sole la mia luce ti illumina sempre di più. Ti abbraccia. Ti avvolge. Ti accarezza. Ti fa dimenticare gli affanni, i problemi, i pensieri di un mondo fuori controllo. Fuori dal tuo controllo. Con me puoi fermare il tempo. Saltare i momenti morti. Andare dritto al punto. Senza società. Senza ovvietà. Sento i dialoghi. Non posso vedere le immagini. Mi servirebbe uno specchio. Per riflettermi. Per riflettere.
Passa un’ora. Poi ti addormenti. Rimango acceso. Hai delle occhiaie profondissime. Ha ragione mamma. Dovresti riposarti di più. Sento le chiavi che girano nella toppa. Il mazzo tintinna come una maracas meccanica.
“Ciao Amore”
È mamma. È in silenzio. Si è accorta che dormi. Mi passa davanti. Prende il telecomando.
Off.
La mia luce non ti illumina più. Sono cieco. Mi restano solo i suoni.
Sento dei passi. Sta andando in camera sua. Credo. Chiude la porta, con leggerezza, per non svegliarti. E tu sogni. Sogni di lei. Del futuro. Ti ricordi dell’estate. Di Notre Dame. Delle rondini e dei gabbiani. Degli alberi sulla Senna. Vuoi tornare a Parigi. Un giorno. Ami quella città. Vuoi che ci crescano i tuoi figli.
E io sogno del tuo sognare. Passano i secondi. I minuti. Le ore. Sei calmo. Russi un po’. È tardi. Devi cenare.
Svegliati.
Ti alzi.
On.
E luce fu.
Vai a salutare tua madre. Poi cammini verso la cucina. Torni con un panino in un piatto di plastica. Lo mangi velocemente. Bevi acqua, frizzante.
Sono acceso ma non mi guardi.
Devi ancora finire i compiti. Vai a prendere i libri. Non ti va di studiare. Tanto c’è stata da poco la pagella. Chi vuoi che ti interroghi? Meglio essere sicuri, però. Studi per un’ora e mezza sul divano. Poi sbadigli. Ti trascini verso la lampada. Spegni le luci.
Prendi il telecomando.
Off.
Ti chiudi la porta dietro. Sei in camera tua. Sono solo. È buio. Il tempo passa lentamente. La notte è solitaria.
Il sole si fa strada attraverso le tende. Forse. Esci dalla tua stanza. Sei in pigiama. Ti sistemi i capelli. Ti vai a fare una doccia. Ti vesti di corsa. Non fai colazione, come al solito. Esci di fretta insieme a lei. Ti darà uno strappo fino a scuola. Incontrerai i tuoi amici. Parlerete di film, amore e calcio. Vi farete un giro in centro. Tornerai a casa sfinito. Immagino la tua vita. Passo per passo. Respiro per respiro.
Arriva Jamal. L’uomo delle pulizie. È anziano. Non parla italiano. Suona sempre il campanello prima di entrare. Non vuole disturbare. Mi passa davanti regolarmente. Mi tiene compagnia. Io ti aspetto. Poi mi comincia a fissare. Prende il telecomando.
On.
Guarda un film. Non capisce le parole. Eppure non sembra mai chiudere le palpebre. Mezz’ora esatta. Come ogni giorno. Cronometrata. Suona il suo cellulare. Tempo scaduto. Il suo peccato quotidiano rimandato a domani.
Off.
Finisce di spazzare il pavimento. Poi se ne va.
Apri tu la porta. Ti siedi sul divano. Ansimi. Sei andato in palestra probabilmente. Oggi c’è una cena. Famiglia. Ti devi preparare. Arriva papà.
On.
Si toglie la cravatta. Si siede sul divano accanto a te. Stessi gesti. Stesse occhiaie. Poi arriva anche mamma. Occupa il terzo posto. State per mezz’ora seduti a parlare. Io vi tengo compagnia. Un sottofondo di vita per minuti morti. È tempo di cucinare.
La cena dura molto. Sento le risate. Ma sono girato dall’altra parte. Si parla di tutto. Di politica, di scandali, di gossip. Tu segui la conversazione. Non parli però. Sei timido. Sei stanco. Domani ti aspetta una giornata faticosa. Tua cugina ventenne, agitando i braccialetti africani comprati a Porto Ercole, comincia a esporre le sue nuove teorie buddiste, apprese dal guru Manesho, nome d’arte di Rocco Favaro. Raccogli il fiato che ti rimane, con evidente sforzo, per dirle che il buddismo, lei,  non ha capito neanche cos’è, e che, come disse un uomo di una saggezza tutta emiliana, “da noi le magie di moda delle religioni orientali nascondono soltanto vuoti di pensiero”. Lei si zittisce.  Si irrita. Sento la porta che si apre. Probabilmente va a fumarsi una sigaretta sul pianerottolo, pensando ad una replica. Tu però vai a dormire. Hai sonno. Gli invitati cominciano ad andarsene. Alla fine rimangono solo i tuoi. Spengono le luci.
Off.
Sono ancora una volta solo. Mi fa compagnia il ronzio della lavastoviglie.
La mattina dopo hai la febbre. Resti a casa. Mamma e papà vanno a lavoro. Sento che ti siedi sul divano. Sei in silenzio. Guardi il tuo riflesso su di me. Ti fissi. Mi fissi. Mi accendi.
On.
Le luci ingoiano la tua ombra.
Il tuo riflesso svanisce.
Rimani ipnotizzato. Gli occhi sempre più vuoti. E penso.
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Tancredi Bendicenti

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