A tredici anni
conoscere fr. Tiberio è un’esperienza che ti cambia la vita, soprattutto se, durante
la scuola media, le voci sul temibile vicepreside del liceo hanno creato nella
tua mente la chimera del controllore infaticabile, colui cui nulla sfugge e che
tutto punisce, inclemente degli eccessi dell’adolescenza.
Non del tutto
convinta che l’adolescenza fosse un virus da debellare, ero comunque sicura di
non esserne afflitta e quindi, a differenza di alcuni miei compagni di terza
media, immaginavo di essere immune alla paura del famigerato Tiberio.
Arrivò il primo
giorno di liceo, sopra la scalinata del De Merode si stagliava autorevole e
longilinea la figura nera, osservandolo bene, a tratti sorrideva compiaciuto ad
alcuni alunni ritrovati dopo l’estate, a tratti invece scrutava con sguardo
serio noi “primini”. Suonò la campanella, sciamarono le ultime voci e cominciò
a rimbombare quella voce, che avevo già sentito riecheggiare nel Quadriportico anni
prima, e che quella mattina sembrò ancor più roboante, ma non più chiara;
pensai che fosse il microfono ad amplificare quel ruggito, poi compresi che si
trattava del “marchio di fabbrica” del vice. Passandogli accanto feci appello a
tutta la mia sicurezza per sostenere lo sguardo penetrante e celare il mio
timore dietro un sorriso, quando mi sorrise in risposta tutta l’inspiegabile
paura svanì, scoprii in seguito che si era ricordato di me è già si era
informato del “mio passato”.
Diffidando delle
dicerie sul suo conto da subito andai a parlare con lui scoprendo pian piano
chi fosse veramente. Inizialmente avevo pensato che si curasse solo
dell’apparenza, della divisa e del comportamento, senza considerare ciò che
alberga dentro noi ragazzi. Non capivo perché dovesse sempre urlare: era già
abbastanza difficoltoso capirlo quando parlava nel suo modo pacato, che
risultava impossibile comprendere ciò che diceva, al di là delle ovvie e
consuete punizioni.
Poi, un giorno,
intravidi una lacrima.
Lessi in quegli
occhi penetranti tutto il dolore e l’amore di un maestro, un pedagogo, un
educatore e di un padre.
Fu un’epifania.
Da quel giorno ho
conosciuto la persona fiera, ordinata, precisa e programmata in ogni dettaglio
(sapevate che ha un file per ciascuno di noi e che programma persino le soste
di una passeggiata?!?) ho compreso quanto fosse sensibile verso la sofferenza
altrui, come cercasse sempre di aiutare, anche se “a modo suo”. Fr. Tiberio ama la scuola e tutti noi sopra
ogni cosa, prega per noi con fede sincera e si arrabbia perché, come ogni
padre, vorrebbe solo il meglio per i propri figli.
Non condivido e
forse non comprendo alcune sue scelte e alcuni suoi metodi, ma so che ogni
discussione, seppur accesa, ha accresciuto la stima e l’affetto reciproco.
Quello che è
accaduto a Bormio in qualche modo ha fermato per un momento il cuore di tutti,
nonostante avessi visto quella sensibile dolcezza interiore, per me il
vicepreside era indistruttibile, intoccabile, niente e nessuno poteva scalfirlo
o tenerlo lontano da noi e dalla scuola, eppure il vuoto sulla scala ha creato
un silenzio dentro ognuno di noi, manca a tutti, persino a coloro che pensavano
di farla franca con la gonna corta.
Ci sentiamo tutti
un po’ più indifesi, più vulnerabili e non vediamo l’ora che torni ad urlare
dall’alto della scalinata frasi poco chiare ma che risuonano di amore.
Sveva
Una storia toccante
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