domenica 23 febbraio 2020

Il sussurro del De Merode: la lacrima di un maestro


A tredici anni conoscere fr. Tiberio è un’esperienza che ti cambia la vita, soprattutto se, durante la scuola media, le voci sul temibile vicepreside del liceo hanno creato nella tua mente la chimera del controllore infaticabile, colui cui nulla sfugge e che tutto punisce, inclemente degli eccessi dell’adolescenza.

Non del tutto convinta che l’adolescenza fosse un virus da debellare, ero comunque sicura di non esserne afflitta e quindi, a differenza di alcuni miei compagni di terza media, immaginavo di essere immune alla paura del famigerato Tiberio.
Arrivò il primo giorno di liceo, sopra la scalinata del De Merode si stagliava autorevole e longilinea la figura nera, osservandolo bene, a tratti sorrideva compiaciuto ad alcuni alunni ritrovati dopo l’estate, a tratti invece scrutava con sguardo serio noi “primini”. Suonò la campanella, sciamarono le ultime voci e cominciò a rimbombare quella voce, che avevo già sentito riecheggiare nel Quadriportico anni prima, e che quella mattina sembrò ancor più roboante, ma non più chiara; pensai che fosse il microfono ad amplificare quel ruggito, poi compresi che si trattava del “marchio di fabbrica” del vice. Passandogli accanto feci appello a tutta la mia sicurezza per sostenere lo sguardo penetrante e celare il mio timore dietro un sorriso, quando mi sorrise in risposta tutta l’inspiegabile paura svanì, scoprii in seguito che si era ricordato di me è già si era informato del “mio passato”.
Diffidando delle dicerie sul suo conto da subito andai a parlare con lui scoprendo pian piano chi fosse veramente. Inizialmente avevo pensato che si curasse solo dell’apparenza, della divisa e del comportamento, senza considerare ciò che alberga dentro noi ragazzi. Non capivo perché dovesse sempre urlare: era già abbastanza difficoltoso capirlo quando parlava nel suo modo pacato, che risultava impossibile comprendere ciò che diceva, al di là delle ovvie e consuete punizioni.
Poi, un giorno, intravidi una lacrima.
Lessi in quegli occhi penetranti tutto il dolore e l’amore di un maestro, un pedagogo, un educatore e di un padre.
Fu un’epifania.
Da quel giorno ho conosciuto la persona fiera, ordinata, precisa e programmata in ogni dettaglio (sapevate che ha un file per ciascuno di noi e che programma persino le soste di una passeggiata?!?) ho compreso quanto fosse sensibile verso la sofferenza altrui, come cercasse sempre di aiutare, anche se “a modo suo”.  Fr. Tiberio ama la scuola e tutti noi sopra ogni cosa, prega per noi con fede sincera e si arrabbia perché, come ogni padre, vorrebbe solo il meglio per i propri figli.
Non condivido e forse non comprendo alcune sue scelte e alcuni suoi metodi, ma so che ogni discussione, seppur accesa, ha accresciuto la stima e l’affetto reciproco.
Quello che è accaduto a Bormio in qualche modo ha fermato per un momento il cuore di tutti, nonostante avessi visto quella sensibile dolcezza interiore, per me il vicepreside era indistruttibile, intoccabile, niente e nessuno poteva scalfirlo o tenerlo lontano da noi e dalla scuola, eppure il vuoto sulla scala ha creato un silenzio dentro ognuno di noi, manca a tutti, persino a coloro che pensavano di farla franca con la gonna corta.
Ci sentiamo tutti un po’ più indifesi, più vulnerabili e non vediamo l’ora che torni ad urlare dall’alto della scalinata frasi poco chiare ma che risuonano di amore.
Sveva

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