Il mese di ottobre 1629 sta agli ultimi giorni di novembre dello steso anno come il mese di dicembre del
2019 sta al nove gennaio 2020.
C’è, infatti, una strana analogia di accadimenti tra il racconto della peste che colpì Milano e le zone
circostanti nel 1629 e il susseguirsi dei fatti che hanno visto l’inizio della epidemia del coronavirus in Cina.
Il Manzoni racconta infatti che il protofisico Lodovico Settala venne incaricato, insieme a Tadino, di
indagare su una serie di morti avvenute nelle zone intorno a Milano e di stendere una relazione al riguardo.
Quest’ultimo, che l’autore ci descriverà più avanti nel capitolo alle righe 234-245, come uno scienziato e
accademico poco meno che ottantenne, comprese bene ciò che stava accadendo.
Tuttavia il momento politico distraeva i governanti (sed belli graviores est curas) i quali poca attenzione
prestarono all’allarme lanciato dallo studioso nella sua relazione presentata, come dice il M., il 23
novembre e pubblicata solo il 29 dello stesso mese (r. 150). Tardi, troppo tardi, perché quel giorno “la
peste era già a Milano”.
Solo il Cardinal Federigo si rese conto dell’effettiva gravità del problema che stava per abbattersi sulla
città.
E’ innegabile, quindi, trovare una analogia assoluta con la vicenda del giovane medico di Wuhan, che per
un mese intero ha lanciato allarmi inascoltato dal governo cinese che è addirittura arrivato a minacciarlo
intimandogli di tacere. Pare infatti che i primi casi di polmoniti atipiche si fossero già verificati nella
regione dell’Hubei tra la fine di novembre e i primi di dicembre 2019 e che il giovane medico abbia
inondato i suoi superiori di mail allarmate circa la situazione. Solo dopo più casi conclamati e dopo i primi
decessi, il 9 gennaio, la Cina ha comunicato al mondo di avere un problema. Un mese intero durante il
quale ignari portatori sani hanno viaggiato seminando il virus in tutto il mondo.
Le lentezze descritte quindi da Manzoni nella prima parte del capitolo XXXI (fino più o meno al rigo
150), sono le stesse che anche alcuni politici italiani hanno provocato sminuendo il pericolo e
percependolo come cosa lontana da noi quando la Cina era flagellata da malati e decessi crescenti.
Altra forte analogia presente nel racconto di Manzoni con le vicende dei nostri giorni è la spasmodica
ricerca di quello che oggi chiamiamo il “paziente zero”.
L’autore racconta che Tadino e Ripamonti avevano teorie differenti. Ma il succo della questione è che un
soldato (o un viandante) che si era ricoverato presso alcuni familiari perché mostrava i primi sintomi della
malattia avesse infettato costoro e che da lì fosse partito quello che oggi chiamiamo “focolaio o cluster”.
In Cina non si sa esattamente come sia iniziata questa epidemia né tantomeno, alla luce degli ultime
indagini, si conosce come il virus sia entrato nel nostro paese. Si sa, però, che dopo quasi quattrocento
anni la risposta della popolazione e delle istituzioni è pressoché analoga. Il racconto del Manzoni nel
XXXI capitolo dei Promessi Sposi continua (r. 210) nella descrizione delle iniziali misure drastiche prese
dal Tribunale della Sanità secondo criteri dovuti più al panico che al reale controllo e alla reale conoscenza
della situazione. Ciò provocò reazioni scomposte degli addetti ai lavori e della popolazione. Manzoni ci
racconta che molti vennero mandati al lazzaretto pur in assenza di sintomi e che le loro cose vennero
bruciate senza motivo. Molti medici presero decisioni tali perché corrotti e altrettanto fecero i becchini.
Ciò provocò un odio profondo della popolazione milanese. Contemporaneamente, con l’aumentare dei
casi e di decessi, crebbe il caos nell’organizzazione dei malati del lazzaretto e nella gestione della
popolazione sana.
E, se torniamo indietro con i ricordi alle immagini e alle notizie che ci arrivavano da Wuhan alla fine di
gennaio sembra non sia cambiato veramente nulla. La Cina, infatti, è stata colta assolutamente
impreparata dalla situazione. Malati conclamati che erano costretti a rimanere in casa con i parenti sani
perché negli ospedali non c’era più posto, malati che venivano spostati all’insaputa dei familiari che ne
perdevano le tracce. Tuttavia la Cina dopo un primissimo momento di frastornamento ha reagito con
una decisione e una forza senza pari offrendo a tutto il mondo una lezione di coraggio e resilienza
inimmaginabili.
Situazione simile si è verificata in Italia: abbiamo perso tempo nell’illusione che i due pazienti cinesi
fossero dimostrazione del fatto che nel nostro paese potessero arrivare solo casi importati, cioè che
avevano contratto l’infezione in Cina. Nulla di più errato; si è creata nel giro di pochissimi giorni
un’epidemia incontrollata di casi generati in Italia che nessuno dei governanti si era immaginato
nonostante gli avvertimenti di numerosi virologi che continuavano ad avvertirli del fatto che sarebbe stata
solo una questione di tempo.
Fu così che nella situazione analoga a quella dei nostri giorni, il Manzoni ci racconta (v. 300) che fu il
Tribunale della Sanità e i decurioni si rivolsero ai Frati Cappuccini guidati da Padre Felice Casati il quale
rappresentava una sorta di “supercommissario” simile alla figura istituzionale di cui tanto si sta parlando
in questo momento nel nostro paese.
Ma, si sa, l’uomo non cambia e ha sempre gli stessi bisogni. Uno dei principali è quello di cercare un
responsabile “altro da sé” su cui scaricare le colpe e le responsabilità delle situazioni negative che non è
in grado di comprendere.
Ecco che quindi nella popolazione milanese del 1630 cominciano a serpeggiare voci circa l’esistenza di
uomini e donne che, spargendo liquidi giallastri e oleosi su cose e persone, infettavano gli esseri umani
con la peste: gli untori (v. 359).
E, dopo quasi quattrocento anni, nulla è cambiato. Prima la popolazione italiana è andata a “caccia” delle
persone di origine cinese. Bastava avere caratteri somatici vagamente asiatici per essere tacciati di
“spargivirus” da quasi tutte le persone che si incontravano per la strada o sui mezzi pubblici. Parole
razziste e atti violenti sono stati rivolti a cinesi di seconda generazione che mai hanno visitato il paese di
origine dei propri genitori. E mentre tutti in Italia erano intenti a cercare l’untore dei nostri giorni il virus
entrava indisturbato nel nostro paese e circolava sottotraccia senza dare alcun segnale.
Altra analogia tra il racconto di Manzoni e quello del virus del 2020 è la presenza di una certa parte di
popolazione “scettica”. “C’era, del resto, un certo numero di persone ancora non persuase che questa
peste esistesse”.
Quante, tante, troppe persone all’inizio dell’epidemia in Cina sostenevano che il virus mai sarebbe arrivato
fino a noi. E quando è arrivato quante hanno sostenuto che fosse una influenza come un’altra che non
meritava tutta l’attenzione mediatica che le si stava dedicando…
E allora Manzoni ci racconta (465) che il Tribunale della sanità dovette ricorrere ad un macabro
espediente per “svegliare” la popolazione e convincerla della gravità della situazione. Il giorno della
Pentecoste un carro caricato con i cadaveri di una famiglia intera venne mostrato alle persone in piazza
per la festività. A volte servono scene scioccanti per convincere i più scettici. Nello stesso modo da ieri
stanno circolando le immagini dei reparti di terapia intensiva pieni di poveri pazienti intubati che respirano
solo grazie all’aiuto forzato delle macchine e che forse non ce la faranno a uscire dalla malattia. Molti da
ieri, come quattrocento anni fa, hanno capito che non si tratta di uno scherzo.
Altra forte analogia tra il racconto del Manzoni e gli accadimenti dei nostri giorni è, nel capitolo XXXII,
la narrazione della crisi economica conseguente alla peste del 1630 e delle misure economiche che
vennero promulgate in aiuto della popolazione (v. 8-15) simili a quelle dei nostri giorni come, ad esempio,
la sospensione delle imposte.
Tuttavia nel XXXII capitolo del romanzo l’autore insiste sul racconto della ricerca degli untori (v- 75-
100). Non potendo confidare nelle certezze rigorose della scienza, le comunità cercano un nemico interno
sul quale sfogare le frustrazioni e le paure; e meglio è se costui è debole e indifeso (Manzoni racconta del
povero vecchio che, prima di sedersi sulla panca della chiesa, la spolverò col cappotto e venne accusato
di aver sparso il liquido appestante su di essa) o, meglio ancora, se è straniero (M. racconta dei tre studiosi
francesi che in quanto tali vennero accusati di appestare volutamente la popolazione milanese).
Noi abbiamo cercato nei cinesi in Italia la causa su cui sfogare la nostra rabbia nostra paura; il resto del
mondo ha cercato in noi la stessa causa. Il razzismo cerca sempre una vittima, un appiglio pretestuoso
per poter umiliare, mortificare, schiacciare un essere più debole erroneamente considerato inferiore e
colpevole.
Nonostante la Processione di San Carlo di cui Manzoni ci racconta nei versi 100-165 fatta sperando che
il Santo fermasse la peste, il numero dei contagi si andò incrementando nei giorni successivi all’evento
religioso. Noi, ai giorni nostri e con le nostre conoscenze avremmo detto immediatamente che
l’assembramento di persone aveva favorito il contagio; all’epoca invece preferirono nuovamente
rinfocolare l’odio contro persone inermi attribuendo la colpa della crescita dei casi e dei decessi ai soliti
untori i quali, a detta della popolazione ignorante, avrebbero approfittato della folla per spargere il male.
Ma un barlume di speranza e di umana pietà è e dal Cardinal Federigo il quale visita e consola i malati nel
lazzaretto con la stessa compassione e con lo stesso spirito di dedizione con i quali i nostri medici curano
senza sosta i malati di Covid-19 in questi giorni.
E, esattamente come ai nostri giorni, i “birboni e i malviventi” (v- 305) fingendosi monatti si approfittano
della povera gente per entrare nelle case e rubare. Esattamente come successo pochi giorni fa nella zona
rossa del milanese quando dei mascalzoni si fingevano operatori sanitari offrendo dei tamponi a domicilio
per entrare a rubare nelle case dei poveri anziani.
v. 395-505: tutti parlano ed esprimono pareri. Manzoni racconta il gran movimento di personaggi che
annaspano cercando soluzioni improbabili al dramma della peste e accusa le istituzioni e i dotti di
incompetenza. Tutti, più o meno meschinamente, cercano di mettersi in mostra sentendosi in diritto di
dare pareri e offrire soluzioni. Cosa c’è di diverso da quello che sta succedendo oggi? Ogni personaggio
che riesca a raggiungere una telecamera è esperto di virologia, di medicina e di gestione di eventi
catastrofici. Ognuno prende decisioni autonomamente in disaccordo con quanto detto e sostenuto da
altri, nessuno ha la minima idea del da farsi. Personaggi televisivi hanno cercato minuti di notorietà
contraddicendo scienziati illustri e diffondendo tra la popolazione notizie fuorvianti e che nutrono il
bisogno della gente di sentire minimizzate la cause delle sue paure.
Nulla appare più attuale del racconto di Manzoni. Ogni effetto derivante da cause simili è immutato nel
tempo. La reazione delle persone, i timori e le paure razionali e irrazionali e i comportamenti che ne
derivano indicano che l’animo umano raramente è in grado da solo di gestire le emergenze inattese.
Giacomo Di Maria
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