C’era una volta un piccolo criceto di nome Schnaffols. Schnaffols viveva in una gabbietta in un appartamento di Salt Lake City, dove ogni giorno incontrava gli ospiti dei suoi padroni umani.
Il piccolo roditore cercava di comunicare con questi giganti un po’ strani, ma le sue parole per loro non erano altro che un “eeeh eeeh eeeh”. Squittendo da una parte del divano cercava di attirare l’attenzione e di poter giocare con questi giganti. Con dei rapidi balzi saltava sui cappelli delle signore e amava farsi un bagno nel tè e andare in barca sui cucchiaini da zucchero. La sua codina paffuta era motivo di vanto per questo cricetino e dunque saltava sul naso del padrone per mostrargli le sue nuove acconciature.
Schnaffols non era un criceto felice. Ogni notte correva sulla sua ruota solitario, immaginando un altro universo in cui poteva vivere libero ed avere degli amici che potessero comprenderlo. Non capiva perché il padrone lo sgridasse così tanto per dei comportamenti che intendevano solo essere socievoli: lui voleva solamente far parte di una famiglia, di una comunità. Più il tempo passava più il nostro amichetto si consumava nella sua stessa solitudine, eventualmente rinunciando ai suoi desideri fino ad arrivare a contemplare la fuga. Schnaffols imitando il gatto tentò anche il suicidio, ma si rese conto di non avere un collo a cui legare il cappio e dunque di essere destinato a vivere: questo era per lui il tormento eterno.
Un giorno la figlia del padrone tornò a casa più tardi del solito, comportandosi in modo bizzarro. La bambina iniziò a saltare su due zampe, digrignando i denti senza mostrare le sue sacche guanciali e squittendo in maniera spaventosa. Schnaffols era pronto per il duello: era pronto per la morte, non ne aveva paura, l’aveva cercata tutta la vita. Ma prima che il cricetino potesse saltare sui capelli della gigantessa bionda per farla fuori, quest’ultima si piegò verso lui ed aprì le zampe frontali. Schnaffols si trovò improvvisamente davanti una creatura mistica: aveva due zampette come lui, due orecchie, una codina paffuta, due occhietti, due sacche guanciali, ma non aveva…ok era una criceta!
Il nostro eroe tentò di relazionarsi con la sua nuova amica, ma aveva qualche difficoltà. Innanzitutto la criceta squittiva in una lingua scandinava, il che rendeva impossibile la comunicazione verbale. Inoltre, la compagna non condivideva le stesse aspirazioni di vita del nostro eroe: ciò che desiderava era solo mangiare e dormire. Schhnaffols tentò anche di correre con questa sulla ruota, ma venne improvvisamente schiacciato dal peso del deretano dell’amica. I sogni del criceto andarono nuovamente in frantumi: non era la differenza di specie che gli impediva di vivere una vita felice, dunque il problema doveva essere lui. Il criceto si rivolse a Dio, chiedendosi perché lui soltanto tra tutti gli esseri viventi si domandasse della propria esistenza. Perché gli uomini potevano correre insieme felici, mentre lui era destinato alla sofferenza eterna.
Il criceto infine ebbe una triste realizzazione. La vita stessa è sofferenza ed è intrisa di incomprensioni e contraddizioni. Tuttavia ciò lo aiutò a comprendere i suoi compagni umani e non. Il senso della vita non è essere compresi e amati, ma non farsi domande e vivere come se il senso della vita sia proprio il nulla cosmico. Chi l’avrebbe mai detto che un criceto avrebbe imparato ad essere tale osservando noi umani?
Massimo
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