“Welcome,
welcome, little stranger,
Fear no harm, and fear no danger;
We are glad to see you here,
For you sing, "Sweet Spring is near."
Questo è l’inizio della
prima poesia che scrisse. Era solo una bambina e viveva a stretto contatto con
la natura, per questo l’ha dedicata al pettirosso nel suo giardino.
Poi è
cresciuta e il suo interesse si è spostato dalla natura, con tutti i suoi fiori
e le creature magiche che lei immaginava vivessero in essa, al genere gotico.
Oh come amava scrivere storie di castelli spettrali con creature spaventose e
spargimenti di sangue! Una delle storie che scrisse si intitolava “Il fantasma
e l’abate”. Ma inevitabilmente quel giorno arrivò, quel giorno in cui i suoi
sogni si scontrarono con la realtà: voleva che i suoi racconti venissero
pubblicati. Quando sei donna e vivi nella periferia di Washington intorno alla
metà dell’Ottocento, desiderare qualcosa del genere è quasi presunzione. Ancora
di più se ciò che scrivi è tutt'altro che convenzionale e ti aspetti di aiutare
la tua famiglia con il ricavato delle vendite. Di cosa aveva bisogno il
pubblico? Di storie d’amore ad effetto. E dunque quelle lei avrebbe scritto e
pubblicato con lo pseudonimo A. M. Barnard. Poi il suo editore le chiese di
scrivere un romanzo “adatto alle ragazze” con degli insegnamenti morali. Lei
rifiutò. A suo padre venne promessa la pubblicazione di un altro suo libro se lei
avesse scritto quel romanzo “per ragazze”. Lui fece pressioni. Lei accettò.
Venne pubblicato a puntate e divenne un successo incredibile ed inaspettato. Le
ragazze lo amavano. Arrivò l’ultima settimana, quella in cui avrebbe dovuto
scrivere e pubblicare il finale e lei andò ad incontrare il suo editore. “La
tua protagonista deve o sposarsi o morire, questo è l’unico finale possibile
per le ragazze. È certo che altrimenti non venderebbe nemmeno una copia” le
disse. “Ebbene il matrimonio è una questione economica anche nei romanzi” fu la
sua risposta. La sua protagonista, colei che si può considerare come il suo
alter ego, colei che non si doveva sposare perché la stessa autrice non avrebbe
mai accettato di perdere la sua libertà in un vincolo matrimoniale, alla fine
si sposò. Fu il finale che tutti volevano, ma per la nostra giovane scrittrice
fu come vendere una parte di sé stessa. “Le donne hanno menti brillanti,
un’anima, come anche dei pensieri. Hanno ambizioni e talento, non solo bellezza
e sono stanca di sentirmi dire che l’amore e tutto ciò per cui sono fatte le
donne, non ne posso più” è quello che pensava. Recentemente quel suo famoso
libro è stato reso in un nuovo adattamento cinematografico che rende onore agli
ideali di questa donna che precedeva i suoi tempi, in particolare con il
seguente discorso: “Sono solo una donna e come tale non ho nessun modo per
guadagnarmi i miei soldi, non abbastanza per mantenere me stessa o la mia
famiglia. Se anche avessi dei soldi, che non ho, apparterrebbero a mio marito
dal momento del matrimonio. Se poi avessimo dei figli sarebbero suoi, non miei,
sarebbero sua proprietà. Dunque non provare a dirmi che il matrimonio non è una
questione economica perché lo è”. Il sogno di questa autrice era quello di
essere libera e anche di amare, ma liberamente. Al suo tempo fu definita
attivista e femminista in quanto si batteva perché le donne avessero gli stessi
diritti degli uomini e perché i neri avessero gli stessi diritti dei bianchi.
Davvero è necessario creare termini come “femminismo” e “attivismo” per
spiegare l’impegno di una persona che cerca di far capire che siamo tutti
semplicemente e soltanto umani? Che è naturale che ogni essere umano abbia gli
stessi diritti di un altro essere umano? Cosa penserebbe la nostra autrice se
oggi, 8 marzo 2020, a 151 anni dalla sua morte potesse vedere com'è diventato il
mondo? Che abbiamo molto da lavorare se ancora parliamo di diritti “delle
donne” come di una categoria a parte di diritti, ma che siamo sulla buona
strada. Ed in gran parte è grazie a grandi donne come lei che siamo arrivati
dove siamo oggi. Grandi donne come Louisa May Alcott.
Liliana Gaddi
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