lunedì 30 marzo 2020

Machines like me



La domanda più importante è:
“Cos’è il lavoro?”
Un secolo fa la maggior parte della popolazione, nei paesi industrializzati, lavorava in fabbrica. Oggi si potrebbe dire che lo sviluppo di un paese è tanto maggiore quanto minore è la percentuale della forza lavoro impiegata nel settore secondario.
Le macchine hanno reso il processo produttivo più veloce, efficiente, omogeneo. L’alienazione di cui scriveva Marx, quella distanza tra il prodotto dell’operaio e il proprietario  del prodotto, oggigiorno, in Europa almeno, è un fenomeno relativamente poco diffuso. Il lavoro è diventato un’attività prevalentemente “intellettuale”. I nuovi operai sono chiusi in uffici davanti a computer, con contratti a tempo determinato. E tornati a casa, oppure già in metropolitana, accendono il cellulare, si mettono le cuffie, e “passano del tempo libero”. Eppure libero non è. Ogni nostra azione digitale è catalogata, registrata, trasformata in dati utili all’inserimento di pubblicità. Il tempo che dedichiamo a noi stessi attraverso il web diviene tempo di altri, una serie innumerabile di uno e zero che poi si traduce in uno spot, o in un annuncio, o in una notizia. È l’alienazione di oggi. In un mondo dove le macchine si avvicinano sempre di più alla copertura totale del fabbisogno produttivo, cosa resta dell’uomo? Quella che una volta era puro intrattenimento (visione di  film, o di video su YouTube, lettura di un articolo online, et cetera) è diventato, de facto, anch’esso, lavoro. Un giovane disoccupato, magari laureato, mantenuto dalla famiglia, tramite internet partecipa attivamente al ciclo produttivo. Esso diviene un ingranaggio di un’enorme macchina ben oliata. Attraverso i suoi desideri, le sue preferenze, le sue passioni, la produzione proteiforme si modella, “live”, sulla nuova domanda. O così sembra. In effetti il mercato, nel mondo occidentale o occidentalizzato, comincia a basarsi sempre meno sulle necessità, e sempre più sui desideri. I beni essenziali, ormai accessibili, più o meno facilmente, alla maggior parte della popolazione sono diventati un business meno lucroso di quello che potremmo definire del “lusso massificato”. Qual è la più grande società del mondo? Apple. È veramente necessario possedere un i-phone oggi? Anche ammesso che gli smartphone siano diventati “bisogni”, di certo non lo sono gli i-phone. Comprare prodotti Apple, però, supera il concetto di necessità. Un prodotto Apple è un simbolo. È un’esternazione di ciò che riteniamo di essere. Alieniamo parte di noi stessi in tale oggetto. Non siamo più ciò che possediamo, ma il significato di ciò che possediamo. Usciamo da noi stessi per renderci oggetti. Nel rientrare però ci sorprendiamo cambiati. Viviamo in un mondo mistico, sciamanico, in cui ogni oggetto ha un valore simbolico, prima che un valore materiale. Un mondo in cui proiettiamo parti del nostro Io in oggetti altri da noi. E questi oggetti, queste macchine, a partire da internet stesso, che erano nostri servi, sono ora divenute nostri padroni. La dialettica di Hegel si manifesta  chiaramente nel nostro vivere tecnologico, nel nostro vivere digitale. Instagram dipende da noi. Da Instagram noi dipendiamo. Eppure talvolta sembra che forse sia il contrario. La macchina è il padrone. La macchina dirige. Ma  necessita l’input umano per sussistere.
Tornando all’alienazione, però. Ne potremmo identificare quattro tipologie:
I)      La prima, già citata, è l’alienazione del tempo “personale” cioè extra-lavorativo, che diventa, anch’esso, lavoro.
II)    La seconda è l’alienazione delle proprie caratteristiche, dei propri “predicati logici”, negli oggetti che si possiedono.
III)   La terza è l’alienazione dell’uomo dal concetto di uomo, il decadere dallo stato di padrone delle macchine, a quello di servo delle macchine.
IV)    La quarta infine, non dissimile dalla terza, vede l’uomo trasformarsi in plasmato da che era plasmatore. Le nostre passioni, i nostri desideri, i nostri pensieri, le nostre opinioni vengono dirette,  modificate, distorte dall’agire passivo della macchina. Si arriva al punto in cui non si può più dire che la domanda fa l’offerta, o viceversa, ma che esse, simbioticamente, si fondono, si influenzano e creano vicendevolmente.

Tancredi Bendicenti

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