Avesse avuto uno specchio avrebbe visto uno straccio
zozzo; i pori intasati dall’umidità della sabbia. I granelli correvano,
piccoli, velocissimi, come le voci che sibilavano subdole e strappavano
indistintamente pezzi della sua tenera carne.
Ostia, riconosceva le baracche
sulla destra del lido. Ricordava delle corse sulla spiaggia, a mezzogiorno,
quando l’aria salmastra esalava fumi di sale e alga pungenti. “Clà, occhio ai
cocci!” urlava il papà. Quelle parole risuonavano nell’aria, rumorosa per i
cori dei gabbiani. Poi uno sguardo verso le baracche, immaginava la risposta, ma
chiedeva al papà cosa fossero. “so i zingari!”. Claudio, ad ogni respiro di
tabacco del papà, si sentiva più lontano, più al sicuro, da quella miseria, che
infondo lo incuriosiva. Ora, solo, infreddolito, non vede più niente di sublime
in quelle baracche, lo inquietano, gli provocano una stretta alla bocca dello
stomaco, che a stento gli consente di sedersi. La miseria, la sente nei capelli
pruriginosi, nelle braccia secche, nella bocca amara. Le voci dei ricordi si
fanno sempre più dure, soprattutto quella del padre. Ora nel ricordo più
recente è fredda, senza calore, senza dolore, senza dispiacere. La fredda voce
di un estraneo. Gli occhi di Claudio si gonfiano, increduli, vuole andare a
casa. Si richiude in un pianto corrosivo, pieno di desolazione, potrebbe non
terminare mai. Percorre la sabbia strusciando i piedi indolenziti, facendoli
affondare nella sabbia che lontano dalla riva è già calda. Arrivato sulla strada
una signora anzianotta gli sorride, vedendo il suo sacco malconcio e
immaginando sia tutto ciò che ha. Con le buste tronfie di pane, gli allunga una
piccola ciriola. Quel gesto gli fa male, nonostante la gentilezza della
vecchietta gobba sciolga il suo volto rigido in un sorriso. Camminando verso la
fermata del Cotral, una tristezza infinita lo pervade. Si accende una
sigaretta. Teresa, i suoi capelli profumati di estate e tabacco, del loro
balconetto soleggiato a Capena; disordinati, in cui perdeva ogni senso. Ogni
mattina fissava il suo corpo morbido, dolce, avvolto nelle lenzuola e niente lo
faceva sentire meno solo. Evidentemente lo stesso non valeva per lei. Teresa si
sarebbe sentita sola in qualunque posto, in qualunque letto, o per lo meno
questo era quello che ogni giorno la allontanava dalla vita. Ogni alba, rendeva
Teresa più vuota, e la avvicinava sempre più a quel folle volo dalla finestra
cucina. Claudio si sentiva ogni giorno più marcio, più di troppo in quella casa
che tanto avevano faticato a comprare. Ora però si rende conto di quanto quella
casa fosse il suo unico posto sicuro, ora che niente per lui è più casa.
Claudio si sentiva ripugnante nei confronti di Teresa, percepiva i propri baci
come violenti profanatori del suo tenero corpo. Il senso di inadeguatezza di
Claudio, con l’assoluta introspezione di Teresa, creavano interminabili
silenzi. Ora Claudio non sogna altro che tornare a quei silenzi, per
squarciarli con parole di conforto, per la sua piccola Teresa. Pur sapendo che
niente l’avrebbe salvata dal suo passato, incolpa se stesso per averla in
qualche modo incastrata, per essere stato il limite alla sua libertà. Teresa
aveva occhi profondissimi, Claudio cadeva in quegli abissi sperando di trovare
felicità, eppure in lei leggeva unicamente solitudine. Solitudine. Claudio si
sente solo al mondo. Arriva il Cotral, Claudio non lo prende.
Eugenia Elifani
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