L'acqua era gelida, quando immerse i piedi dentro al fiume. La neve
sotto le sue mani era un manto morbido a cui si abbandonò completamente: con il
corpo, con la mente. Era immersa nel mondo dei suoi pensieri, in cui quell'acqua
era una fonte di giovinezza ed il bianco candore della neve era il riflesso
delle nuvole in cielo.
Si alzò lentamente, stringendo con le dita dei piedi i
sassolini sotto di lei e inspirò profondamente. Guardandosi intorno vide le
punte degli alberi carichi di neve ondeggiare e con le cime raggiungere il
cielo che, lentamente, si stava tingendo di sfumature violacee. Mentre il sole
calava, le dita del tramonto si portavano via l’azzurro, lasciando al suo posto
chiazze rosa e nuvole candide, che leggere si spostavano sopra la sua testa.
Chiuse gli occhi, cercando di catturare per sempre quella sensazione di spazio
e di libertà che si era formata intorno a lei. Non si sentiva un rumore, le
macchine parevano distanti chilometri, e gli animali si erano fermati: le zampe
felpate immobili e i piccoli occhi fissi sulla sua nuca. Il vento freddo le
accarezzò le gambe, sollevando il suo leggero abito bianco, graffiandole con
dolcezza le braccia e lasciando i segni dei suoi gelidi denti nella carne. Si
sentì sollevare, verso un cielo senza confini, verso una dimensione dove non
c’erano limiti, dove si era liberi di spostarsi, di parlare e creare. Dove i
pensieri si trasformavano in uccelli dalle ali dorate e volavano via, verso un
sole che non sarebbe mai calato. Sentì la sua pelle asciugarsi, mentre il
fruscio delle piante si faceva più intenso. Cercò di aggrapparsi ad un ultimo
briciolo di coscienza, mentre il folle vento la portava via con sé, in quel
mondo fatato: nel suo mondo dei sogni. Non oppose resistenza, quando
quell'ultimo appiglio scomparse si lasciò portare via immobile, con gli occhi
chiusi. Il suo cuore si fece più leggero, mano a mano che l’aria si faceva più
rarefatta, il freddo insopportabile e i piedi perdevano sensibilità. Non
sentiva più niente: era tutto ovattato. Parigi era silenziosa sotto di lei, e
le luci che percepiva attraverso le palpebre chiuse si affievolirono, mentre
saliva ancora più su. Il vestito iniziò a muoversi sempre di più, gli arti
erano congelati e la crudele morsa del freddo la teneva immobile. Non riusciva
più a pensare a niente: non riusciva più a pensare al mondo vero, al mondo
delle cose, dei numeri, delle domande con una risposta chiara e concisa. Si
ricordava solo delle sue follie quotidiane, dei sentimenti nati dal guardare
una foglia sospesa in aria, di un filo d’erba dal quale nasce un fiore. Si
ricordava solo le macchioline di muschio sui bordi della strada, di quegli
uccelli blu che, morbidi e paffuti, si poggiavano sul davanzale della sua
finestra ad elemosinare qualche briciola di pane. Era vero? Era un sogno? Qual
era la realtà, dove finiva l’immaginazione?
Il vento si fermò improvvisamente, e lei rimase sospesa nel vuoto.
Aprì piano gli occhi e guardò verso il basso. Si era portata via la Senna, che
scorreva nell'universo puntellato di stelle e non si riusciva a vederne la
fine. Sotto di lei, oltre all'acqua, scorse il mondo: una sfera blu, illuminata
da luci bianche: piccole, insignificanti luci bianche. A confronto con
l’universo, non erano niente: erano formiche, briciole di pane sparse su una
tovaglia.
Sbatté le palpebre e si ritrovò immersa della neve che si scuriva
sotto un cielo arancione. Uscì dall'acqua, completamente congelata. Si infilò
il cappotto, prese un sorso di rum dalla fialetta che aveva lasciato nascosta
negli stivali e si incamminò verso casa ancora sognante.
Flavia Gatti
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