mercoledì 29 aprile 2020

The fools who dream



L'acqua era gelida, quando immerse i piedi dentro al fiume. La neve sotto le sue mani era un manto morbido a cui si abbandonò completamente: con il corpo, con la mente. Era immersa nel mondo dei suoi pensieri, in cui quell'acqua era una fonte di giovinezza ed il bianco candore della neve era il riflesso delle nuvole in cielo.
Si alzò lentamente, stringendo con le dita dei piedi i sassolini sotto di lei e inspirò profondamente. Guardandosi intorno vide le punte degli alberi carichi di neve ondeggiare e con le cime raggiungere il cielo che, lentamente, si stava tingendo di sfumature violacee. Mentre il sole calava, le dita del tramonto si portavano via l’azzurro, lasciando al suo posto chiazze rosa e nuvole candide, che leggere si spostavano sopra la sua testa. Chiuse gli occhi, cercando di catturare per sempre quella sensazione di spazio e di libertà che si era formata intorno a lei. Non si sentiva un rumore, le macchine parevano distanti chilometri, e gli animali si erano fermati: le zampe felpate immobili e i piccoli occhi fissi sulla sua nuca. Il vento freddo le accarezzò le gambe, sollevando il suo leggero abito bianco, graffiandole con dolcezza le braccia e lasciando i segni dei suoi gelidi denti nella carne. Si sentì sollevare, verso un cielo senza confini, verso una dimensione dove non c’erano limiti, dove si era liberi di spostarsi, di parlare e creare. Dove i pensieri si trasformavano in uccelli dalle ali dorate e volavano via, verso un sole che non sarebbe mai calato. Sentì la sua pelle asciugarsi, mentre il fruscio delle piante si faceva più intenso. Cercò di aggrapparsi ad un ultimo briciolo di coscienza, mentre il folle vento la portava via con sé, in quel mondo fatato: nel suo mondo dei sogni. Non oppose resistenza, quando quell'ultimo appiglio scomparse si lasciò portare via immobile, con gli occhi chiusi. Il suo cuore si fece più leggero, mano a mano che l’aria si faceva più rarefatta, il freddo insopportabile e i piedi perdevano sensibilità. Non sentiva più niente: era tutto ovattato. Parigi era silenziosa sotto di lei, e le luci che percepiva attraverso le palpebre chiuse si affievolirono, mentre saliva ancora più su. Il vestito iniziò a muoversi sempre di più, gli arti erano congelati e la crudele morsa del freddo la teneva immobile. Non riusciva più a pensare a niente: non riusciva più a pensare al mondo vero, al mondo delle cose, dei numeri, delle domande con una risposta chiara e concisa. Si ricordava solo delle sue follie quotidiane, dei sentimenti nati dal guardare una foglia sospesa in aria, di un filo d’erba dal quale nasce un fiore. Si ricordava solo le macchioline di muschio sui bordi della strada, di quegli uccelli blu che, morbidi e paffuti, si poggiavano sul davanzale della sua finestra ad elemosinare qualche briciola di pane. Era vero? Era un sogno? Qual era la realtà, dove finiva l’immaginazione?
Il vento si fermò improvvisamente, e lei rimase sospesa nel vuoto. Aprì piano gli occhi e guardò verso il basso. Si era portata via la Senna, che scorreva nell'universo puntellato di stelle e non si riusciva a vederne la fine. Sotto di lei, oltre all'acqua, scorse il mondo: una sfera blu, illuminata da luci bianche: piccole, insignificanti luci bianche. A confronto con l’universo, non erano niente: erano formiche, briciole di pane sparse su una tovaglia.
Sbatté le palpebre e si ritrovò immersa della neve che si scuriva sotto un cielo arancione. Uscì dall'acqua, completamente congelata. Si infilò il cappotto, prese un sorso di rum dalla fialetta che aveva lasciato nascosta negli stivali e si incamminò verso casa ancora sognante.

Flavia Gatti

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