giovedì 21 maggio 2020

Blog&Scuola - La Teoria Economica di Keynes


“Il lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti.” Con questa frase John Maynard Keynes criticava la teoria dell’economia classica, secondo la quale le leggi del mercato si regolano autonomamente, secondo un equilibrio dinamico che esisterebbe tra profitto dell’imprenditore e salari dei lavoratori.
Pur non contestando questa teoria, Keynes afferma come essa sia insufficiente per gli economisti e i lavoratori, mostrando come il lasso di tempo in cui questa logica si rivela corretta sia troppo lungo e, quindi, dannoso per il benessere della società. L’economista britannico desiderava dunque offrire un punto di vista mediano tra il protezionismo (o autarchia) dei regimi totalitari e il liberismo economico americano.

Per comprendere la teoria di Keynes è necessario innanzitutto comprendere i limiti del sistema capitalistico. Marx fu il primo studioso che intuì che le crisi di questo sistema non sarebbero state causate da una mancanza di merci disponibili per la popolazione, ma piuttosto da una crisi di sovrapproduzione. Il filosofo tedesco teorizzò il saggio del profitto (ossia un valore percentuale indicativo del guadagno di un’impresa), che equivale al rapporto tra il plusvalore (la differenza tra il lavoro offerto da un operaio e ciò che gli viene corrisposto) e la somma di capitale costante (capitale investito nei mezzi di produzione) e capitale variabile (i salari dei lavoratori). I capitalisti investendo sempre maggiormente nei settori del mercato più redditizi determinano una crisi di sovrapproduzione, ossia una situazione in cui vi è un eccesso dell’offerta rispetto alla domanda. Di conseguenza, il capitale variabile e il plusvalore rimangono costanti, mentre il capitale costante cresce, poiché l’imprenditore ha investito maggiormente nei mezzi di produzione al fine di aumentare il plusvalore (tuttavia rimasto costante), determinando così una decrescita del saggio del profitto.

Questo è ciò che è successo negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’20. Durante la guerra, il settore agricolo si era espanso notevolmente per fornire maggiori risorse alimentari, con il conseguente aumento degli investimenti degli agricoltori in strumenti (ad esempio trattori) che permettessero loro di aumentare i loro guadagni. Si determinò un diffuso benessere che portò ai Roaring Twenties, anni durante i quali la popolazione poteva permettersi nuovi beni di consumo e che vennero accompagnati da una febbre speculativa che interessò l’americano medio, adesso solito a depositare soldi in banca e ad investire in Borsa. Tuttavia, con la fine della guerra seguì anche una minore richiesta di beni alimentari e lo stesso avvenne in numerosi altri settori di produzione. Questo determinò l’incapacità degli investitori di ripagare i prestiti e, dunque, la chiusura di numerose banche. Milioni di americani si ritrovarono dunque con azioni prive di valore e ciò portò nel 29 Ottobre 1929 (chiamato Black Tuesday) alla vendita di 16 miliardi di azioni (con un rispettivo calo del loro valore di dieci miliardi di dollari), determinando così l’esplosione della “bolla speculativa” e la successiva “Grande Depressione”.

In una situazione del genere ciò che verrebbe in mente a qualsiasi capo di governo sarebbe ciò che farebbe una famiglia: se in casa non ci sono più entrate stabili è necessario ridurre le spese. Tuttavia Keynes ritenne che proprio in questo momento che lo Stato avrebbe dovuto intervenire per salvare l’economia. Poiché era la domanda stessa che mancava, l’economista escogitò una strategia per crearne di nuova: il cosiddetto multiplier effect. Il governo avrebbe dovuto indebitarsi al fine di finanziare grandi opere pubbliche, ad esempio nuove infrastrutture e servizi, le quali avrebbero portato alla creazione di nuovi posti di lavoro. Con una minore disoccupazione lo Stato avrebbe risparmiato non solo sui sussidi di disoccupazione, ma ci sarebbero state più persone pronte a spendere, dunque più domanda. Tutto ciò avrebbe portato ad aziende più stabili e forti, dalle quale lo Stato avrebbe potuto riscuotere maggiori tasse, con le quali colmare il deficit.

Grazie a Keynes sono stati istituiti la World Bank e il Fondo Monetario Internazionale. Lo studioso ha il merito di avere mostrato all’umanità intera come superare i limiti del sistema capitalista, senza rinunciare alle nostre libertà individuali che derivano da suddetto sistema. Nonostante l’economia non sia una scienza esatta, Keynes ha fornito un modello economico capace di risolvere non solo le crisi finanziarie, ma anche le crisi sociali che ne derivano. Concludendo con le parole dell’economista: “Preferisco avere all’incirca ragione, che precisamente torto.”


Massimo Zambernardi

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