“Il
lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine
siamo tutti morti.” Con questa frase John Maynard Keynes criticava la teoria
dell’economia classica, secondo la quale le leggi del mercato si regolano
autonomamente, secondo un equilibrio dinamico che esisterebbe tra profitto
dell’imprenditore e salari dei lavoratori.
Pur non contestando questa teoria,
Keynes afferma come essa sia insufficiente per gli economisti e i lavoratori,
mostrando come il lasso di tempo in cui questa logica si rivela corretta sia
troppo lungo e, quindi, dannoso per il benessere della società. L’economista
britannico desiderava dunque offrire un punto di vista mediano tra il
protezionismo (o autarchia) dei regimi totalitari e il liberismo economico
americano.
Per
comprendere la teoria di Keynes è necessario innanzitutto comprendere i limiti
del sistema capitalistico. Marx fu il primo studioso che intuì che le crisi di
questo sistema non sarebbero state causate da una mancanza di merci disponibili
per la popolazione, ma piuttosto da una crisi di sovrapproduzione. Il filosofo
tedesco teorizzò il saggio del profitto (ossia un valore percentuale indicativo
del guadagno di un’impresa), che equivale al rapporto tra il plusvalore (la
differenza tra il lavoro offerto da un operaio e ciò che gli viene corrisposto)
e la somma di capitale costante (capitale investito nei mezzi di produzione) e
capitale variabile (i salari dei lavoratori). I capitalisti investendo sempre
maggiormente nei settori del mercato più redditizi determinano una crisi di
sovrapproduzione, ossia una situazione in cui vi è un eccesso dell’offerta
rispetto alla domanda. Di conseguenza, il capitale variabile e il plusvalore
rimangono costanti, mentre il capitale costante cresce, poiché l’imprenditore ha
investito maggiormente nei mezzi di produzione al fine di aumentare il
plusvalore (tuttavia rimasto costante), determinando così una decrescita del
saggio del profitto.
Questo
è ciò che è successo negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’20. Durante la
guerra, il settore agricolo si era espanso notevolmente per fornire maggiori
risorse alimentari, con il conseguente aumento degli investimenti degli
agricoltori in strumenti (ad esempio trattori) che permettessero loro di
aumentare i loro guadagni. Si determinò un diffuso benessere che portò ai Roaring Twenties, anni durante i quali
la popolazione poteva permettersi nuovi beni di consumo e che vennero
accompagnati da una febbre speculativa che interessò l’americano medio, adesso
solito a depositare soldi in banca e ad investire in Borsa. Tuttavia, con la
fine della guerra seguì anche una minore richiesta di beni alimentari e lo
stesso avvenne in numerosi altri settori di produzione. Questo determinò
l’incapacità degli investitori di ripagare i prestiti e, dunque, la chiusura di
numerose banche. Milioni di americani si ritrovarono dunque con azioni prive di
valore e ciò portò nel 29 Ottobre 1929 (chiamato Black Tuesday) alla vendita di 16 miliardi di azioni (con un
rispettivo calo del loro valore di dieci miliardi di dollari), determinando
così l’esplosione della “bolla speculativa” e la successiva “Grande
Depressione”.
In
una situazione del genere ciò che verrebbe in mente a qualsiasi capo di governo
sarebbe ciò che farebbe una famiglia: se in casa non ci sono più entrate
stabili è necessario ridurre le spese. Tuttavia Keynes ritenne che proprio in
questo momento che lo Stato avrebbe dovuto intervenire per salvare l’economia.
Poiché era la domanda stessa che mancava, l’economista escogitò una strategia
per crearne di nuova: il cosiddetto multiplier
effect. Il governo avrebbe dovuto indebitarsi al fine di finanziare grandi
opere pubbliche, ad esempio nuove infrastrutture e servizi, le quali avrebbero portato
alla creazione di nuovi posti di lavoro. Con una minore disoccupazione lo Stato
avrebbe risparmiato non solo sui sussidi di disoccupazione, ma ci sarebbero
state più persone pronte a spendere, dunque più domanda. Tutto ciò avrebbe portato
ad aziende più stabili e forti, dalle quale lo Stato avrebbe potuto riscuotere
maggiori tasse, con le quali colmare il deficit.
Grazie
a Keynes sono stati istituiti la World
Bank e il Fondo Monetario
Internazionale. Lo studioso ha il merito di avere mostrato all’umanità
intera come superare i limiti del sistema capitalista, senza rinunciare alle
nostre libertà individuali che derivano da suddetto sistema. Nonostante
l’economia non sia una scienza esatta, Keynes ha fornito un modello economico
capace di risolvere non solo le crisi finanziarie, ma anche le crisi sociali
che ne derivano. Concludendo con le parole dell’economista: “Preferisco avere
all’incirca ragione, che precisamente torto.”
Massimo Zambernardi
Nessun commento:
Posta un commento