martedì 26 maggio 2020

Lacrime nella pioggia


«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: 
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, 
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. 
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, 
come lacrime nella pioggia. 
È tempo di morire.» 
-Roy Batty 

Blade Runner, pellicola dellʼ82 diretta da Ridley Scott, è sicuramente un film di culto, forse a causa di quellʼatmosfera noir e cyberpunk così caratteristica, o forse a causa del celebre monologo finale. Sta di fatto che è una delle pietre miliari della cinematografia odierna.
Il film è ambientato in una Los Angeles del 2019 fortemente tecnologizzata, dove lʼuomo ha creato i replicanti, esseri umani “nati” già adulti, che vengono utilizzati come schiavi fino alla loro morte, programmata per avvenire esattamente 4 anni dopo la loro creazione. Tuttavia sei replicanti, capeggiati da Roy Batty, riescono a sfuggire al controllo umano e tentano di penetrare nella Tyrell Corporation, azienda responsabile della creazione degli stessi replicanti, per far modificare la durata della loro vita. Il compito della loro cattura viene così affidato a Rick Deckard, un giovane Harrison Ford, appartenente allʼunità speciale Blade Runner.
Lo spettatore viene così immerso, fin da subito, in unʼuniverso fortemente distopico. Il divario fra poveri e ricchi appare abissale, mastodontici grattacieli svettano sulle baraccopoli del nuovo millennio ed il caos dilaga ovunque, risparmiano tuttavia pochi ambienti elitari, come gli uffici della Tyrell Corp, simbolo di unʼineguagliabile potere economico e sociale, dettato dalla creazione di una nuova razza di schiavi. 
I replicanti non sono tuttavia delle semplici macchine, come gli asettici cyborg in Terminator, ad esempio, ma sono dotati di una straordinaria umanità che li porta ad essere più umani dei loro stessi creatori. Non è quindi un caso che questi siano alla spasmodica ricerca delle loro origini, interrogandosi sulle ragioni della loro nascita e tentando così di superare il limite della loro breve esistenza, prova di un attaccamento alla vita tipicamente umano che sottolinea la tragicità della loro condizione. I replicanti collezionano infatti foto e ricordi di vite altrui e poco importa che non gli appartengano. La memoria è tutto ciò che possiedono ed il legame con essa è talmente forte la paura della morte non è più causata dallʼincognita che si presenta al termine della vita, ma piuttosto dallʼangoscia di dover dire addio al proprio passato e ai loro stessi ricordi e Roy Batty è un esempio lampante di ciò. Di fronte alla morte imminente non può far altro che accettare il proprio destino, rievocando per un ultima volta nella sua mente i bastioni di Orione e le porte di Tannhäuser, luoghi sconosciuti che immergono lo spettatore, anche solo per pochi istanti, nelle memorie più intime del replicante. 
Dʼaltro canto gli uomini sembrano aver perso quellʼumanità che contraddistingue le loro controparti create in laboratorio e allo appaiono così deboli e fragili rispetto ai replicanti, frutto di una nuova evoluzione dellʼessere umano. 
Il progresso morale quindi arranca rispetto al progresso tecnologico che caratterizza lʼuniverso di Blade Runner e che ha portato lʼuomo ad elevarsi al livello del divino, a diventare creatore e non più creatura, arrogandosi così il diritto di distinguere uomini schiavi da uomini padroni. 
Questo conflitto raggiunge quindi il culmine nel confronto fra Roy Batty, prototipo dellʼessere perfetto, ed il suo creatore, Tyrell, che è sì umano, ma decrepito e miope, simbolo di unʼumanità ormai in declino. 
Per la seconda volta nella storia, si vede come lʼessere umano uccida Dio. La creatura cava gli occhi al suo creatore, troppo cieco per poter vedere le conseguenze delle sue azioni o tantomeno per riconoscere lʼumanità nei replicanti, che rivendicano la loro libertà. 
Il genere umano è quindi rappresentato in modo prettamente negativo da personaggi storpi, ciechi o vecchi e lo stesso Deckard, seppur nel fiore degli anni, appare inizialmente come un personaggio vuoto, senza metà né scopo. Non sembra poter trovare un suo posto nel mondo, quasi come fosse un replicante, ed è proprio questo il dubbio che si insinua lentamente nella mente dello spettatore, culminando così in un finale aperto che lascia irrisolte numerose questioni, le quali tuttavia perdono di significato davanti al senso più profondo della pellicola. Vi è davvero una differenza fra uomini e replicanti, nonostante condividano lo stesso sangue? Ed è forse questo il futuro che ci attende? Un mondo evoluto e tecnologico, che poggia però le sue fondamenta sulla schiavitù, giustificata dalla convinzione che esistano uomini migliori di altri, aspetto di certo non estraneo storia della nostra civiltà.

Federico Tortorella

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