A
Roma, il 2 luglio 1994, venne festeggiato il primo Gay Pride in Italia, sulle
orme della comunità LGTB+ americana che, il 28 giugno 1970, scese in strada
urlando: “Say it clear, say it loud. Gay
is good, gay is proud”. Quel giorno nacque la tradizione del Gay Pride.
L’origine
di questa manifestazione risale al 28 giugno 1969, quando un gruppo di
poliziotti irruppe nel club gay Stonewall
Inn di New York al fine di arrestare e malmenare chi era lì dentro. Non era
la prima volta che la polizia newyorkese si accaniva (senza un motivo
apparente) contro la comunità LGTB+, ma fu la prima volta che questa rispose
con altrettanta violenza: la leggenda vuole che sia stata Sylvia Riviera ad
iniziare la rivolta, lanciando una scarpa contro uno dei poliziotti. Il motivo
per cui ancora oggi ricordiamo l’avvenimento di Stonewall è perché questo è stato il primo passo verso un mondo in
cui ognuno è libero di esprimersi come preferisce, indossare i vestiti che
vuole e tenere per mano chi ama: indipendentemente dal suo sesso. Bisogna
infatti ricordare che dietro alla comunità LGTB+ c’è una storia di violenza, di
abusi e di paura. E per quanto, ad alcuni, questo possa sembrare assurdo,
ancora oggi molte persone sono costrette a “vivere nell’armadio”. In Italia,
nonostante ci dichiariamo un paese “aperto”, c’è ancora tanta ignoranza al
riguardo: cinque giorni fa Marco Ferrero, un influencer di orientamento
omosessuale, dichiara sui social che la sera prima, portando a spasso il cane,
tre ragazzi l’hanno fermato con il pretesto di chiedergli una sigaretta,
finendo poi per prenderlo a cazzotti in mezzo alla strada; Stefania Giardoni,
domenica 10 aprile, manda un video alla Gay Help Line in cui denuncia i suoi
vicini di casa che hanno inseguito i suoi due figli in macchina minacciandoli
di morte perché omosessuali e perché, secondo loro, erano la causa del contagio
a Roma. Stefania sottolinea: “Questo atto
di omofobia, questo atto di violenza nei confronti non solo dei gay, ma anche delle
persone malate di COVID assolutamente va denunciato (…) noi non siamo i
carnefici, noi siamo le vittime”. Non è la prima volta che vengono accusate
del contagio persone omosessuali o appartenenti alla comunità LGTB+, indicate
come la causa del virus. A Marsiglia, il 2 aprile, viene denunciato da David
Eck e dal suo compagno un loro vicino di casa che lascia il seguente messaggio
davanti alla loro porta: “Potreste
lasciare il condominio? Questo perché sappiamo che voi omosessuali siete i
primi ad essere contaminati dal COVID-19. Sia chiaro che questo è il primo
avvertimento. Grazie”. Ma la coppia francese non è l’unica a ricevere
messaggi del genere, e senza dubbio questo atteggiamento non viene scoraggiato;
l’arcivescovo Viganò, nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, dichiara: “La pandemia, come tutte le malattie e la
stessa morte, sono una conseguenza del Peccato Originale” aggiunge poi, che
oltre ai peccati del singolo, la pandemia sia una conseguenza dei peccati
commessi dalle nazioni, ed inizia un lungo elenco: “L’aborto, il divorzio, l’eutanasia, l’orrore del cosiddetto matrimonio omosessuale, la celebrazione
della sodomia e delle peggiori perversioni, la pornografia, la corruzione dei
piccoli (…)”. E dopo di lui, Joseph Ratzinger che afferma che i matrimoni
gay e l’aborto sono segno dell’Anticristo: “uno
pseudo-messianesimo mediante il quale l’uomo si glorifica al posto di Dio e del
suo Messia”. Ma non tutta la Chiesa la pensa così, sono molti i preti e i
sacerdoti (anche i frère) che sostengono che l’amore sia amore e che non si
possa giudicare chi ama. Lo ha detto Papa Francesco stesso: “L’ho detto nel mio primo viaggio e lo
ripeto, anzi ripeto il Catechismo della Chiesa cattolica: i gay non vanno
discriminati, devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente. Si può
condannare qualche manifestazione offensiva per gli altri. Ma il problema è che
con una persona in quella condizione, che ha buona volontà, che cerca Dio, chi
siamo noi per giudicare?”. Ancora oggi molti ricordano le sue parole a Juan
Carlos, un ragazzo cileno abusato sessualmente da un parroco pedofilo, Fernando
Karadima. Il Papa si rivolge al ragazzo con le seguenti parole: “Juan Carlos, che tu sia gay non importa. Dio
ti ha fatto così e ti ama così e non mi interessa. Il Papa ti ama così. Devi
essere felice di ciò che sei”.
In
Italia non esiste ancora una specifica legge contro l’omofobia ed in molti Stati
(anche Occidentali, nonostante le credenze popolari) mancano leggi che tutelino
i minori dall’orrore delle terapie di conversione, legali in gran parte
dell’America, nonostante le Serie Tv anti
body shaming e pro alla cosiddetta famiglia arcobaleno che Netflix ci
propone.
Siamo
ancora lontani da un mondo in cui siamo liberi di mostrarci così come siamo,
senza vergogna, senza paura. Siamo lontani, eppure, insieme, ci possiamo
avvicinare al traguardo: non avere paura di parlare, non avere paura di
difendere qualcuno, non avere paura di dire la tua. La vita è troppo breve per
viverla nell’ombra; e al mondo ci sono troppe persone ancora nascoste, con il
timore di essere perseguitate da una società che, ad oggi, non le accoglie.
Di’
basta all’odio, di’ basta all’omofobia: lotta per un mondo in cui tu possa
gridare chi sei.
Flavia Gatti
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