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Il rumore, poi la polvere ed il silenzio. Tre auto. La prima, contenente Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, di 29, 27 e 30 anni, viene colpita in pieno dall’esplosione.
Salta in aria, atterrando in un giardino di olivi poco lontano. Nessun agente sopravvive. Ciò che resta dei corpi verrà in seguito estratto dalle lamiere. 29, 27 e 30 anni. 29, 27 e 30 anni. Tre ragazzi del sud. Tre poliziotti. Tre uomini fatti a brandelli dal tritolo, ustionati e schiacciati, frantumati e dilaniati. Assassinati da Cosa Nostra. Antonio Montinaro aveva due figli. Vito Schifani uno, di quattro mesi.
Giovanni Falcone conduce la seconda vettura. A bordo ci sono anche la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe Costanza. Dei tre sopravviverà solo Costanza. Falcone morirà alle 19:05 dello stesso giorno, tra le braccia di Paolo Borsellino, poco più di un’ora dopo l’attentato.
Giovanni Falcone mi rende orgoglioso di essere italiano. Di avere origini meridionali. Di voler studiare Diritto. Giovanni Falcone mi ricorda ogni giorno che la Mafia è una montagna di merda. Che la Mafia è un male spesso silenzioso, spesso invisibile, sempre mostruoso. Che la Mafia è assenza di stato. Che con la Mafia non si può scendere a patti, mai. Che la Mafia non è immortale. Oggi è il 23 maggio 2020. Sono passati 28 anni dalla strage di Capaci. La strada davanti a noi, noi italiani tutti, è ancora lunga. Ma deve essere percorsa. Rivolgiamo allora un pensiero, ogni giorno, e non solo oggi, ad Antonio Montinaro, a Vito Schifani, a Rocco Dicillo, a Francesca Morvillo, a Giovanni Falcone, e a tutti quelli che hanno perso la vita per curare questo nostro strano, crudele, bel paese.
Tancredi Bendicenti
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