mercoledì 12 agosto 2020

Il sussurro del De Merode: Salsedine


 Il treno è partito. 

Chiudo gli occhi e penso solamente al ghiaccio delle tue iridi, le striature dorate vicino alla pupilla che a malapena vedevo, che quando mi guardi i tuoi occhi- che sono il mare d’inverno- diventano neri come l’onice e brillano e sono profondi e mi hanno fatto capire cosa vuol dire davvero perdersi nello sguardo di qualcuno. Sento il cuore battermi nel petto, e so, perché l’ho studiato, che il mio battito si sincronizza con il tuo.

Ti ho già detto che sei cresciuto dalla prima volta che ti ho visto. 

Cambia la luce negli occhi, oltre che l’ombra della barba che ora ti colora il viso. Sai quando me ne sono accorta? Eravamo a Trastevere, ed era notte, ed eravamo io e te, ed avevi quella camicia bianca che non mi piaceva finché non l’hai messa, che tenevi sbottonata. Le luci di Roma incorniciavano il cielo, e le lucine appese del locale nascosto tra le vie incorniciavano il tuo volto, mentre mi parlavi della vita che avevi al di fuori di me, che non avrei mai immaginato, mentre tenevi un rosato in mano. Il cameriere ci ha dato del lei; tu hai abbassato gli occhi sorridendo, dicendo che mi aveva guardato troppo a lungo per avere dieci anni più di me. Nella penombra ho sentito la tua voce sicura e il profumo dolce che indossi, ed in quell’istante ho sentito che era così che doveva essere. Che eravamo più grandi, solo all’inizio della vita, che tutto poteva e doveva essere, e che dovevamo essere anche noi, che per un anno ci siamo rincorsi da lontano sapendo che era il luogo e il momento sbagliato. È accaduto troppo in fretta, così in fretta che io stessa non riesco a richiamare i ricordi dell’ultima settimana in ordine preciso, così bello non riesco ancora a credere che non sia un sogno e che sei davvero mio, ed io tua. È talmente bello che anche se gli altri non possono capire cosa sentiamo possono chiamarmi ‘la tua tipa’ e la sola idea di quella innocente superficialità ci rende felici, perché la quotidianità banale fa sembrare tutto più vero. 

Come puoi essere vero? Pensavo di sapere cos’era l’amore, finché non mi sono accorta di come esistiamo insieme. Non abbiamo bisogno di imparare come amarci. Non sappiamo come sia possibile, così come non sapevo cosa significasse un bacio prima, che riesci a lasciarmi senza fiato, respirare la stessa tua aria che sa di te e che mi chiede ancora.

Sei quasi a casa, e scrivi di me su un taccuino rosso come io scrivo di te nel mio diario. 

Così come non ho realizzato il tuo arrivo, non riesco a comprendere la tua partenza; sento ancora il tuo profumo sul cuscino e il sapore di Jager sulle labbra, e i tuoi capelli spettinati tra le dita, che neanche la cera riesce a domare.

Parla di me a i tuoi amici. Sognami. Torna. 

Sveva

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