sabato 26 settembre 2020

26 anni di Lukashenko: “l’ultimo dittatore d’Europa”


 

A partire dal 24 maggio 2020, in Bielorussia, si sono svolte una serie di proteste in risposta alla mancanza di misure di sicurezza per fronteggiare la pandemia di COVID-19 e alle accuse di corruzione del governo di Alexander Lukashenko, presidente del paese dal 1994.

Le proteste hanno quindi ripreso vigore dopo le elezioni tenutesi il 9 agosto di quest’anno, quando Lukashenko ha ottenuto un’apparente vittoria schiacciante sulla sfidante Svetlana Tikhanovskaya, con l’80,10% dei consensi.

Sono state numerose le accuse di manipolazione dei voti, che tuttavia non sono estranee al panorama politico bielorusso, considerando che l’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, stima che le ultime elezioni legittime risalgano proprio al 1994, anno in cui Lukashenko fu eletto per la prima volta.

Già nel 1996 fu accusato da 70 parlamentari su 110 di aver violato la costituzione e successivamente, attraverso un referendum, riuscì a far estendere il proprio mandato da 5 a 7 anni e a cacciare 89 membri del parlamento, accusati di essere sleali.

In seguito vinse di nuovo le elezioni nel 2001 con il 75,65% dei voti e nel 2004, attraverso un altro referendum, ottenne l’eliminazione del limite di due mandati per il ruolo di presidente, permettendogli di candidarsi di nuovo nel 2006, 2010 e 2015 (ottenendo rispettivamente l’82,6%, il 79,65% e l’83,48% dei voti). Ogni elezione fu aspramente criticata dall’OSCE, dall’Unione Europea e dal Dipartimento di Stato statunitense, accusando più volte Lukashenko di aver condotto campagne elettorali anti-democratiche, che hanno limitato la libertà di voto dei cittadini bielorussi.

Ciò ha quindi portato alle elezioni del 2020, svoltesi il 9 agosto, che hanno riconfermato la candidatura del presidente. Le reazioni sono state immediate, soprattutto nella capitale, Minsk, e se inizialmente le proteste sono state generalmente pacifiche, la situazione è degenerata velocemente, portando a scontri fra i manifestanti e le forze armate e all’utilizzo di proiettili di gomma, cannoni ad acqua, manganelli e gas lacrimogeni.

Si stima così che i dissidenti fino ad oggi siano stati dai 200.000 ai 400.000, di cui 5 sono morti, 300 sono rimasti feriti e 9.312 arrestati. Numerose sono infatti le testimonianze dei soprusi da parte delle autorità nei confronti dei manifestanti e fra le tante vittime dei metodi di terrore utilizzati, vi è Maria Kolesnikova, leader dell’opposizione e alleata di Tikhanovskaya, che dopo il rapimento da parte di alcuni uomini a volto coperto ed il tentativo di estradizione in Ucraina, è stata incarcerata a Minsk con l’accusa di aver incitato ad azioni che minacciano la sicurezza nazionale, destino apparentemente comune fra gli oppositori del leader bielorusso.

Nel mentre l’avversaria politica di Lukashenko, Svetlana Tikhanovskaya, moglie di Sjarhej Cichanoŭskij, arrestato il 29 maggio per turbamento dell’ordine pubblico, continua la sua contestazione contro le azioni del presidente. In seguito agli avvenimenti del 9 agosto e l’arresto dei suoi più stretti collaboratori, è stata costretta a nascondersi, per poi fuggire in Lituania da dove incita i bielorussi a continuare gli scioperi e proponendosi a capo di un governo provvisorio capace di garantire nuove elezioni democratiche.

Il 24 settembre si è quindi tenuto il giuramento, quasi segreto, di Lukashenko davanti a 2000 presenti, fra militari e suoi fedeli sostenitori, prontamente dichiarato illegittimo da Stati Uniti e Unione Europea.

La segretezza con cui è stata gestita la cerimonia e l’assenza di qualsiasi funzionario straniero, compreso l’ambasciatore della Russia, la principale alleata di Lukashenko, testimonia la debolezza politica del presidente, che rimane aggrappato al potere mentre migliaia di cittadini bielorussi si radunano da ormai da settimane nelle strade per chiedere le sue dimissioni.

L’UE invece, nonostante abbia già dichiarato di non riconoscere i risultati delle elezioni e abbia condannato le azioni del governo di Lukashenko, tarda ad agire contro il leader bielorusso, principalmente a causa dell’ostruzionismo di Cipro.

Quest’ultima, infatti, non sembra essere disposta a supportare la causa bielorussa finché non verranno presi provvedimenti contro la Turchia, che rivendica i diritti di trivellazione nelle acque cipriote ed elleniche.

La situazione appare così in stallo ed il dibattito riprenderà ai primi di ottobre, tuttavia a causa della lentezza della burocrazia e del Consiglio Affari Esteri, le sanzioni per le violazioni dei diritti umani rischiano di risultare inefficaci e l’opinione pubblica si interroga sulla reale capacità dell’Unione Europea di gestire la situazione.

I leader europei hanno infatti espresso la loro solidarietà nei confronti del popolo bielorusso e hanno condannato più volte le azioni di Lukashenko, eppure dopo innumerevoli discussioni e confronti, tardano ad arrivare provvedimenti concreti che possano riportare la democrazia in Bielorussia, in modo tale che la volontà del popolo non venga più soffocata da colui che viene da molti definito “l’ultimo dittatore d’Europa” che, si auspica, venga giudicato per le sue azioni.

Federico Tortorella

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