A partire dal 24 maggio 2020, in
Bielorussia, si sono svolte una serie di proteste in risposta alla mancanza di
misure di sicurezza per fronteggiare la pandemia di COVID-19 e alle accuse di
corruzione del governo di Alexander Lukashenko, presidente del paese dal 1994.
Le proteste hanno quindi ripreso vigore dopo le elezioni tenutesi il 9 agosto di quest’anno, quando Lukashenko ha ottenuto un’apparente vittoria schiacciante sulla sfidante Svetlana Tikhanovskaya, con l’80,10% dei consensi.
Sono state numerose le accuse di manipolazione dei voti, che tuttavia non sono estranee al panorama politico bielorusso, considerando che l’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, stima che le ultime elezioni legittime risalgano proprio al 1994, anno in cui Lukashenko fu eletto per la prima volta.Già nel 1996 fu accusato da 70
parlamentari su 110 di aver violato la costituzione e successivamente,
attraverso un referendum, riuscì a far estendere il proprio mandato da 5 a 7
anni e a cacciare 89 membri del parlamento, accusati di essere sleali.
In seguito vinse di nuovo le
elezioni nel 2001 con il 75,65% dei voti e nel 2004, attraverso un altro
referendum, ottenne l’eliminazione del limite di due mandati per il ruolo di
presidente, permettendogli di candidarsi di nuovo nel 2006, 2010 e 2015
(ottenendo rispettivamente l’82,6%, il 79,65% e l’83,48% dei voti). Ogni
elezione fu aspramente criticata dall’OSCE, dall’Unione Europea e dal
Dipartimento di Stato statunitense, accusando più volte Lukashenko di aver
condotto campagne elettorali anti-democratiche, che hanno limitato la libertà
di voto dei cittadini bielorussi.
Ciò ha quindi portato alle
elezioni del 2020, svoltesi il 9 agosto, che hanno riconfermato la candidatura
del presidente. Le reazioni sono state immediate, soprattutto nella capitale,
Minsk, e se inizialmente le proteste sono state generalmente pacifiche, la
situazione è degenerata velocemente, portando a scontri fra i manifestanti e le
forze armate e all’utilizzo di proiettili di gomma, cannoni ad acqua,
manganelli e gas lacrimogeni.
Si stima così che i dissidenti
fino ad oggi siano stati dai 200.000 ai 400.000, di cui 5 sono morti, 300 sono
rimasti feriti e 9.312 arrestati. Numerose sono infatti le testimonianze dei
soprusi da parte delle autorità nei confronti dei manifestanti e fra le tante
vittime dei metodi di terrore utilizzati, vi è Maria Kolesnikova, leader
dell’opposizione e alleata di Tikhanovskaya, che dopo il rapimento da parte di
alcuni uomini a volto coperto ed il tentativo di estradizione in Ucraina, è
stata incarcerata a Minsk con l’accusa di aver incitato ad azioni che
minacciano la sicurezza nazionale, destino apparentemente comune fra gli
oppositori del leader bielorusso.
Nel mentre l’avversaria politica
di Lukashenko, Svetlana Tikhanovskaya, moglie di Sjarhej Cichanoŭskij,
arrestato il 29 maggio per turbamento dell’ordine pubblico, continua la sua
contestazione contro le azioni del presidente. In seguito agli avvenimenti del
9 agosto e l’arresto dei suoi più stretti collaboratori, è stata costretta a
nascondersi, per poi fuggire in Lituania da dove incita i bielorussi a
continuare gli scioperi e proponendosi a capo di un governo provvisorio capace
di garantire nuove elezioni democratiche.
Il 24 settembre si è quindi
tenuto il giuramento, quasi segreto, di Lukashenko davanti a 2000 presenti, fra
militari e suoi fedeli sostenitori, prontamente dichiarato illegittimo da Stati
Uniti e Unione Europea.
La segretezza con cui è stata
gestita la cerimonia e l’assenza di qualsiasi funzionario straniero, compreso
l’ambasciatore della Russia, la principale alleata di Lukashenko, testimonia la
debolezza politica del presidente, che rimane aggrappato al potere mentre
migliaia di cittadini bielorussi si radunano da ormai da settimane nelle strade
per chiedere le sue dimissioni.
L’UE invece, nonostante abbia già
dichiarato di non riconoscere i risultati delle elezioni e abbia condannato le
azioni del governo di Lukashenko, tarda ad agire contro il leader bielorusso,
principalmente a causa dell’ostruzionismo di Cipro.
Quest’ultima, infatti, non sembra
essere disposta a supportare la causa bielorussa finché non verranno presi
provvedimenti contro la Turchia, che rivendica i diritti di trivellazione nelle
acque cipriote ed elleniche.
La situazione appare così in
stallo ed il dibattito riprenderà ai primi di ottobre, tuttavia a causa della
lentezza della burocrazia e del Consiglio Affari Esteri, le sanzioni per le
violazioni dei diritti umani rischiano di risultare inefficaci e l’opinione
pubblica si interroga sulla reale capacità dell’Unione Europea di gestire la
situazione.
I leader europei hanno infatti
espresso la loro solidarietà nei confronti del popolo bielorusso e hanno
condannato più volte le azioni di Lukashenko, eppure dopo innumerevoli
discussioni e confronti, tardano ad arrivare provvedimenti concreti che possano
riportare la democrazia in Bielorussia, in modo tale che la volontà del popolo
non venga più soffocata da colui che viene da molti definito “l’ultimo
dittatore d’Europa” che, si auspica, venga giudicato per le sue azioni.
Federico Tortorella
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