lunedì 26 ottobre 2020

Un giallo...tra di noi - Parte seconda


 

Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 

“Qualsiasi cosa debba dirmi dovrà aspettare”, e così dicendo Edoardo si infilò la mano in tasca e prese il cellulare. Stava per far partire una chiamata quando Michele, in un brusco modo che non si addiceva al suo carattere, lo afferrò per il braccio e con l’altra mano gli tolse il telefonino. “Non hai capito, c’è dell’altro!”.

“Cosa, cosa che non possa passare in secondo piano di fronte ad un cadavere?”.

“Negli ultimi tempi Saturnino era molto cambiato. Se ne stava chiuso nella biblioteca senza più uscire per ore, si faceva addirittura portare da mangiare lì dentro. Era diventato cupo, taciturno, sospettoso, irascibile, scontroso. Abbiamo pensato che non stesse più bene, che qualche malanno dovuto all’età stesse avendo la meglio sul suo corpo fragile, abbiamo cercato di farlo visitare da un medico ma non voleva vedere più nessuno, è stato impossibile. Non era più lui”.

Edoardo, senza dire niente, compose il numero.

L’ispettore Abrami, vecchia conoscenza di Edoardo, guardava la scala che saliva al primo piano ai piedi della quale giaceva ancora il corpo. La scientifica stava facendo i rilievi.

Il corpo del povero frère Saturnino giaceva in una posizione infame, supino, con il braccio destro schiacciato sotto la schiena e il sinistro disteso lungo il busto con la mano semichiusa; le gambe erano flesse e si ricongiungevano all’altezza delle caviglie come a formare un rombo; la testa era riversa all’indietro, gli occhi aperti e la bocca spalancata. La pelle del volto cerea aveva trasfigurato la grande vitalità di un uomo alla immobilità di un oggetto.

Abrami non era un uomo che gradiva interferenze nel suo lavoro e non amava ficcanaso. “Guenzi, come mai qui? Nessuna moglie infedele da pedinare?” chiese, non facendo nulla per nascondere un ghigno sdegnato sul volto.

“Conoscevo la vittima, conosco Frère Michele, era la mia scuola. Potrei darle una mano se lo ritenesse opportuno. Ma qualcosa mi dice che lei voglia condurre le indagini da solo”.

“Ha detto bene, Guenzi, stia fuori dai piedi, stia lontano dalla mia ultima fatica. Tra un mese, poi, col mio successore potrà collaborare quanto vuole”.

“Starò lontano da lei, Abrami, e neanche con tanto dispiacere, ma non potrà impedirmi di farmi delle idee mie al riguardo”.

 La biblioteca nella quale Saturnino trascorreva tutto il suo tempo era imponente. Volumi ordinati si rincorrevano sugli scaffali delle grandi librerie e ti guardavano dall’alto, ognuno cercando di attirare la tua attenzione. Saturnino li amava, ci parlava, li curava come figlioli. In mezzo alla sala la sua scrivania, piena di appunti, fogli scritti con la sua bella calligrafia che riportavano pensieri, idee, commenti. Tutto era stato scansionato dagli agenti di Abrami, i quali avevano portato via ciò che ritenevano inerente all’indagine e lasciato quello che non lo era. Senza rispetto per la materia viva che maneggiavano, avevano ributtato alla rinfusa ciò che rimaneva di quello splendido e complesso essere umano.

La sua agenda, quella non c’era più. Edoardo aveva fatto in tempo a fotografare le pagine in cui erano annotati degli appuntamenti, orario scritto a penna sulla data evidenziata. 08 marzo alle 09:10, 09 marzo alle 19:20, il 10 aprile alle 9:10, il 12 aprile alle 20:30. Ma mai era riportato il nome della persona con cui si era visto.

Perché degli appuntamenti segnati su una agenda se Frère Michele aveva detto che si rifiutava di vedere chiunque?  E il telefonino? Non c’era più. Nessuno lo aveva trovato. Lo aveva perduto? Una persona anziana e che dà segni di confusione mentale potrebbe averlo messo ovunque.

Edoardo fece chiamare Irma, l’unica persone che si era presa cura di Saturnino nell’ultimo periodo, l’unica che Saturnino ancora tollerava.

“Era diventato così sospettoso, burbero, impaurito da tutto ciò che si trovasse al di fuori di questo suo luogo. Non rispondeva più neanche alle chiamate; anzi, per qualche giorno il cellulare era rimasto sulla scrivania a squillare invano, poi lo aveva fatto sparire. Avevamo tutti pensato all’Alzheimer, alla demenza senile, a qualche brutto male… però tutto era iniziato da una visita che aveva ricevuto.”.

“Una visita? Di chi? Quando?”, disse Edoardo.

“Un paio di mesi fa, all’inizio di marzo. Me ne accorsi perché era tardi; ero alla fine del mio solito giro di pulizie, di solito mi lascio la biblioteca per ultima, quando sono quasi sicura che non ci sia più nessuno al suo interno che io possa disturbare.

Bussai e non ebbi risposta; allora entrai e lo vidi in compagnia di un uomo”.

“Lo riconobbe? Come era?”.

“No, era una persona che non avevo mai visto, sulla quarantina, distinto, non lo vidi in viso perché era leggermente girato, mentre Saturnino era rivolto verso l’ingresso. Io chiesi scusa, ma per la prima volta lui si rivolse a me in modo aggressivo; mi disse di uscire subito e che mi avrebbe richiamata lui stesso quando il suo ospite avrebbe lasciato la stanza. Ci rimasi male, ma pensai che forse qualcosa di personale lo avesse turbato assai, era tanto buono Frère Saturnino, era tanto caro”.

“Lei è sicura che non sarebbe in grado di riconoscere questa persona?”.

“Si, non l’ho visto in volto, le ripeto”.

“E quando è rientrata come si è comportato con lei?”.

“Non mi ha dato spiegazioni. Il giorno dopo mi ha chiamata e mi ha detto che non sarei più dovuta entrare nella biblioteca, per nessuna ragione. Si fece portare delle coperte e dei cuscini e da quel momento rimase lì dentro, a dormire sul divano”.

E allora quegli appuntamenti segnati sull’agenda e che apparentemente avrebbero dovuto seguire quello con l’uomo misterioso quando erano stati presi, e con chi, e come, visto che non aveva più la possibilità di avere contatti con l’esterno?”.

A Edoardo tornò in mente il cadavere di Saturnino: la giacca pesante che indossava non era giustificata né dalla temperatura interna alla biblioteca né da quella esterna. Come se fosse rimasto fermo per tanto tempo nella stessa posizione e avesse iniziato a sentire freddo per l’immobilità prolungata. Non era solo chiuso nella biblioteca, ma era quasi di guardia a quella stanza. C’era qualcosa che lo tratteneva lì dentro impedendogli di allontanarsi anche solo per pochi minuti. Ma allora perché aveva sentito la necessità di uscire proprio quella sera per poi ruzzolare maldestramente per le scale? Quale elemento era stato tanto più importante di quello che lo tratteneva da giorni all’interno di quella che egli stesso aveva deciso essere la sua prigione? L’unica compagnia che Saturnino si era concesso era quella di Cagliostro, un gattone Maine Coon dal pelo rossiccio che gli era stato regalato tempo prima. Anche Cagliostro non si era mosso da lì, ma non poteva certo raccontare quello che aveva visto, nonostante fosse un testimone certo dei fatti.

Apparentemente non c’era nulla che non portasse sulla strada dell’incidente, del deperimento repentino di un uomo anziano che si era abbandonato al tempo che scorre inesorabile.

La stessa conclusione la raggiunse anche l’ispettore Abrami, il quale decise che era ora di chiudere un caso che non meritava altre attenzioni e altri minuti preziosi. Era alla ricerca del caso eclatante che facesse concludere la sua carriera con un successo memorabile.

“Non insista, Guenzi. Il caso è chiuso, punto. Il poveretto aveva intrapreso una china discendente, un declino fisico e mentale che lo aveva distaccato dalla realtà facendolo sprofondare in uno stato di prostrazione tale da procurargli manie di persecuzione, paure, insicurezze che lo avevano fatto rifugiare nell’unica parte di quel luogo in cui potesse ritrovare se stesso e il suo passato, la biblioteca appunto. È un profilo che coincide con una miriade di disturbi dovuti alla sua età avanzata, magari ad un trauma, magari ad un disturbo fisiologico come una piccola ischemia, un ictus”.

“Perché non ha disposto un’autopsia, allora, per toglierci ogni dubbio?”.

“Mi stupisco di lei, Guenzi. Dice di essere profondamente legato a questo luogo e a quest’uomo e pretenderebbe che ne offendessi il corpo con una pratica del tutto inutile? Perché insiste? Cosa c’è di così maledettamente ovvio che non riesca ad entrare in quel suo contorto cervello? Sempre alla ricerca della soluzione sensazionale, lei, a qualsiasi costo. Le ho detto che mi stupisce, ma in realtà il suo atteggiamento, ripensandoci, non mi stupisce affatto. Tipico di chi fa il suo mestiere.

Rimango sulle mie decisioni, non ritengo andare oltre con le indagini che, per mio conto, non avrebbero neanche dovuto iniziare”.

“Mi rimetto alla sua decisione, Dottor Abrami – sottolineando quel “dottore” con enfasi caricaturale- e le auguro di trovare, in questo mese che le rimane, quel delitto sensazionale di cui occuparsi che, evidentemente, collide con quello che lei stesso accusa me di voler scovare a tutti costi. Quindi, comunque, le nostre strade si ricongiungeranno, arrivederci”.

Edoardo non si dava pace. Continuava a gironzolare per quella stanza dalla quale la vita se ne era andata e si guardava intorno. Libri, libri, libri. Ordinati sugli scaffali, impilati sui mobili, a terra. Coste dai colori vividi, o più spesso sbiaditi dal tempo, con inserti in oro a sottolineare la cura con cui erano stati rilegati in tempi passati, preziosissimi cimeli di un tempo che fu, custodi di pensieri altrui che il Frère aveva fatto suoi. Sul divano color oro c’era ancora, ben piegato – forse Irma in un gesto di affettuosa pietà lo aveva così sistemato - il pesante plaid a scacchi nel quale Saturnino, infreddolito, si raggomitolava. Cagliostro lo fissava curioso con la folta coda che penzolava giù dalla scrivania. Si spostava con accurata delicatezza posando le zampe tra le carte del Frère, non facendole muovere neanche di un millimetro.

Edoardo si sedette sul divano, cercando di immaginare i gesti di Saturnino in quella stessa posizione, si tolse le scarpe, si adagiò sul fianco, poggiando la testa sul bracciolo duro e si coprì con il plaid. Cagliostro gli si adagiò accanto, infilandosi tra la sua schiena e il rigido divano, regalandogli un tepore piacevolissimo alle spalle. Così, si addormentarono.

Dopo un indeterminato lasso di tempo Edoardo venne svegliato da uno scricchiolio. Aprì gli occhi con difficoltà, cercando di trovare nel buio la provenienza del rumore. Allungò la mano dietro la schiena e si rese conto che il gattone si era volatilizzato. Forse la causa del rumore era lui. Poi, mentre prendeva lucidità a fatica, vide un fascio di luce bianca che si muoveva ondeggiando prima verso il pavimento e poi verso gli scaffali. Edoardo, allora, si alzò di scatto e senza infilarsi le scarpe si mosse verso la direzione della luce. Intravide allora una figura scura che aveva appena oltrepassato la soglia della biblioteca. Se la lasciò passare sulla sinistra e, appena quella gli porse le spalle, le afferrò il braccio sinistro – con la cui mano la figura impugnava la lampada - e le cinse il collo col suo braccio destro. La figura, però, reagì prontamente, mosse la testa indietro e colpì Edoardo sulla fronte e sul naso provocandogli un dolore lancinante, si divincolò e corse via da dove era venuta. Edoardo rimase per qualche istante immobile, poi partì all’inseguimento con difficoltà, perché nel corridoio era buio pesto.

“Il bastardo conosce bene la strada”, pensò…

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