Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è
puramente casuale.
“Qualsiasi cosa debba dirmi dovrà aspettare”, e così dicendo Edoardo si infilò la mano in tasca e prese il cellulare. Stava per far partire una chiamata quando Michele, in un brusco modo che non si addiceva al suo carattere, lo afferrò per il braccio e con l’altra mano gli tolse il telefonino. “Non hai capito, c’è dell’altro!”.
“Cosa,
cosa che non possa passare in secondo piano di fronte ad un cadavere?”.
“Negli
ultimi tempi Saturnino era molto cambiato. Se ne stava chiuso nella biblioteca
senza più uscire per ore, si faceva addirittura portare da mangiare lì dentro.
Era diventato cupo, taciturno, sospettoso, irascibile, scontroso. Abbiamo
pensato che non stesse più bene, che qualche malanno dovuto all’età stesse
avendo la meglio sul suo corpo fragile, abbiamo cercato di farlo visitare da un
medico ma non voleva vedere più nessuno, è stato impossibile. Non era più lui”.
Edoardo,
senza dire niente, compose il numero.
L’ispettore
Abrami, vecchia conoscenza di Edoardo, guardava la scala che saliva al primo
piano ai piedi della quale giaceva ancora il corpo. La scientifica stava
facendo i rilievi.
Il
corpo del povero frère Saturnino giaceva in una posizione infame, supino, con
il braccio destro schiacciato sotto la schiena e il sinistro disteso lungo il
busto con la mano semichiusa; le gambe erano flesse e si ricongiungevano
all’altezza delle caviglie come a formare un rombo; la testa era riversa
all’indietro, gli occhi aperti e la bocca spalancata. La pelle del volto cerea
aveva trasfigurato la grande vitalità di un uomo alla immobilità di un oggetto.
Abrami
non era un uomo che gradiva interferenze nel suo lavoro e non amava ficcanaso.
“Guenzi, come mai qui? Nessuna moglie infedele da pedinare?” chiese, non
facendo nulla per nascondere un ghigno sdegnato sul volto.
“Conoscevo
la vittima, conosco Frère Michele, era la mia scuola. Potrei darle una mano se
lo ritenesse opportuno. Ma qualcosa mi dice che lei voglia condurre le indagini
da solo”.
“Ha
detto bene, Guenzi, stia fuori dai piedi, stia lontano dalla mia ultima fatica.
Tra un mese, poi, col mio successore potrà collaborare quanto vuole”.
“Starò
lontano da lei, Abrami, e neanche con tanto dispiacere, ma non potrà impedirmi
di farmi delle idee mie al riguardo”.
La
sua agenda, quella non c’era più. Edoardo aveva fatto in tempo a fotografare le
pagine in cui erano annotati degli appuntamenti, orario scritto a penna sulla
data evidenziata. 08 marzo alle 09:10, 09 marzo alle 19:20, il 10 aprile alle
9:10, il 12 aprile alle 20:30. Ma mai era riportato il nome della persona con
cui si era visto.
Perché
degli appuntamenti segnati su una agenda se Frère Michele aveva detto che si
rifiutava di vedere chiunque? E il
telefonino? Non c’era più. Nessuno lo aveva trovato. Lo aveva perduto? Una
persona anziana e che dà segni di confusione mentale potrebbe averlo messo
ovunque.
Edoardo
fece chiamare Irma, l’unica persone che si era presa cura di Saturnino
nell’ultimo periodo, l’unica che Saturnino ancora tollerava.
“Era
diventato così sospettoso, burbero, impaurito da tutto ciò che si trovasse al
di fuori di questo suo luogo. Non rispondeva più neanche alle chiamate; anzi,
per qualche giorno il cellulare era rimasto sulla scrivania a squillare invano,
poi lo aveva fatto sparire. Avevamo tutti pensato all’Alzheimer, alla demenza
senile, a qualche brutto male… però tutto era iniziato da una visita che aveva
ricevuto.”.
“Una
visita? Di chi? Quando?”, disse Edoardo.
“Un
paio di mesi fa, all’inizio di marzo. Me ne accorsi perché era tardi; ero alla
fine del mio solito giro di pulizie, di solito mi lascio la biblioteca per
ultima, quando sono quasi sicura che non ci sia più nessuno al suo interno che
io possa disturbare.
Bussai
e non ebbi risposta; allora entrai e lo vidi in compagnia di un uomo”.
“Lo
riconobbe? Come era?”.
“No,
era una persona che non avevo mai visto, sulla quarantina, distinto, non lo
vidi in viso perché era leggermente girato, mentre Saturnino era rivolto verso
l’ingresso. Io chiesi scusa, ma per la prima volta lui si rivolse a me in modo
aggressivo; mi disse di uscire subito e che mi avrebbe richiamata lui stesso
quando il suo ospite avrebbe lasciato la stanza. Ci rimasi male, ma pensai che forse
qualcosa di personale lo avesse turbato assai, era tanto buono Frère Saturnino,
era tanto caro”.
“Lei
è sicura che non sarebbe in grado di riconoscere questa persona?”.
“Si,
non l’ho visto in volto, le ripeto”.
“E
quando è rientrata come si è comportato con lei?”.
“Non
mi ha dato spiegazioni. Il giorno dopo mi ha chiamata e mi ha detto che non
sarei più dovuta entrare nella biblioteca, per nessuna ragione. Si fece portare
delle coperte e dei cuscini e da quel momento rimase lì dentro, a dormire sul
divano”.
E
allora quegli appuntamenti segnati sull’agenda e che apparentemente avrebbero
dovuto seguire quello con l’uomo misterioso quando erano stati presi, e con chi,
e come, visto che non aveva più la possibilità di avere contatti con l’esterno?”.
A
Edoardo tornò in mente il cadavere di Saturnino: la giacca pesante che
indossava non era giustificata né dalla temperatura interna alla biblioteca né
da quella esterna. Come se fosse rimasto fermo per tanto tempo nella stessa
posizione e avesse iniziato a sentire freddo per l’immobilità prolungata. Non
era solo chiuso nella biblioteca, ma era quasi di guardia a quella stanza.
C’era qualcosa che lo tratteneva lì dentro impedendogli di allontanarsi anche
solo per pochi minuti. Ma allora perché aveva sentito la necessità di uscire
proprio quella sera per poi ruzzolare maldestramente per le scale? Quale
elemento era stato tanto più importante di quello che lo tratteneva da giorni
all’interno di quella che egli stesso aveva deciso essere la sua prigione?
L’unica compagnia che Saturnino si era concesso era quella di Cagliostro, un
gattone Maine Coon dal pelo rossiccio che gli era stato regalato tempo prima.
Anche Cagliostro non si era mosso da lì, ma non poteva certo raccontare quello
che aveva visto, nonostante fosse un testimone certo dei fatti.
Apparentemente
non c’era nulla che non portasse sulla strada dell’incidente, del deperimento
repentino di un uomo anziano che si era abbandonato al tempo che scorre
inesorabile.
La
stessa conclusione la raggiunse anche l’ispettore Abrami, il quale decise che
era ora di chiudere un caso che non meritava altre attenzioni e altri minuti
preziosi. Era alla ricerca del caso eclatante che facesse concludere la sua
carriera con un successo memorabile.
“Non
insista, Guenzi. Il caso è chiuso, punto. Il poveretto aveva intrapreso una
china discendente, un declino fisico e mentale che lo aveva distaccato dalla
realtà facendolo sprofondare in uno stato di prostrazione tale da procurargli
manie di persecuzione, paure, insicurezze che lo avevano fatto rifugiare
nell’unica parte di quel luogo in cui potesse ritrovare se stesso e il suo
passato, la biblioteca appunto. È un profilo che coincide con una miriade di
disturbi dovuti alla sua età avanzata, magari ad un trauma, magari ad un
disturbo fisiologico come una piccola ischemia, un ictus”.
“Perché
non ha disposto un’autopsia, allora, per toglierci ogni dubbio?”.
“Mi
stupisco di lei, Guenzi. Dice di essere profondamente legato a questo luogo e a
quest’uomo e pretenderebbe che ne offendessi il corpo con una pratica del tutto
inutile? Perché insiste? Cosa c’è di così maledettamente ovvio che non riesca
ad entrare in quel suo contorto cervello? Sempre alla ricerca della soluzione
sensazionale, lei, a qualsiasi costo. Le ho detto che mi stupisce, ma in realtà
il suo atteggiamento, ripensandoci, non mi stupisce affatto. Tipico di chi fa
il suo mestiere.
Rimango
sulle mie decisioni, non ritengo andare oltre con le indagini che, per mio
conto, non avrebbero neanche dovuto iniziare”.
“Mi
rimetto alla sua decisione, Dottor Abrami – sottolineando quel “dottore” con
enfasi caricaturale- e le auguro di trovare, in questo mese che le rimane, quel
delitto sensazionale di cui occuparsi che, evidentemente, collide con quello
che lei stesso accusa me di voler scovare a tutti costi. Quindi, comunque, le
nostre strade si ricongiungeranno, arrivederci”.
Edoardo
non si dava pace. Continuava a gironzolare per quella stanza dalla quale la
vita se ne era andata e si guardava intorno. Libri, libri, libri. Ordinati
sugli scaffali, impilati sui mobili, a terra. Coste dai colori vividi, o più
spesso sbiaditi dal tempo, con inserti in oro a sottolineare la cura con cui
erano stati rilegati in tempi passati, preziosissimi cimeli di un tempo che fu,
custodi di pensieri altrui che il Frère aveva fatto suoi. Sul divano color oro c’era
ancora, ben piegato – forse Irma in un gesto di affettuosa pietà lo aveva così
sistemato - il pesante plaid a scacchi
nel quale Saturnino, infreddolito, si raggomitolava. Cagliostro lo fissava
curioso con la folta coda che penzolava giù dalla scrivania. Si spostava con
accurata delicatezza posando le zampe tra le carte del Frère, non facendole
muovere neanche di un millimetro.
Edoardo
si sedette sul divano, cercando di immaginare i gesti di Saturnino in quella
stessa posizione, si tolse le scarpe, si adagiò sul fianco, poggiando la testa
sul bracciolo duro e si coprì con il plaid. Cagliostro gli si adagiò accanto,
infilandosi tra la sua schiena e il rigido divano, regalandogli un tepore
piacevolissimo alle spalle. Così, si addormentarono.
Dopo
un indeterminato lasso di tempo Edoardo venne svegliato da uno scricchiolio.
Aprì gli occhi con difficoltà, cercando di trovare nel buio la provenienza del
rumore. Allungò la mano dietro la schiena e si rese conto che il gattone si era
volatilizzato. Forse la causa del rumore era lui. Poi, mentre prendeva lucidità
a fatica, vide un fascio di luce bianca che si muoveva ondeggiando prima verso
il pavimento e poi verso gli scaffali. Edoardo, allora, si alzò di scatto e
senza infilarsi le scarpe si mosse verso la direzione della luce. Intravide
allora una figura scura che aveva appena oltrepassato la soglia della
biblioteca. Se la lasciò passare sulla sinistra e, appena quella gli porse le
spalle, le afferrò il braccio sinistro – con la cui mano la figura impugnava la
lampada - e le cinse il collo col suo braccio destro. La figura, però, reagì
prontamente, mosse la testa indietro e colpì Edoardo sulla fronte e sul naso
provocandogli un dolore lancinante, si divincolò e corse via da dove era venuta.
Edoardo rimase per qualche istante immobile, poi partì all’inseguimento con
difficoltà, perché nel corridoio era buio pesto.
“Il
bastardo conosce bene la strada”, pensò…
Scelta
1: Edoardo riesce a catturare l'uomo misterioso
Scelta
2: L'uomo misterioso riesce a fuggire
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RispondiEliminaAnonimo28 ottobre 2020 14:04
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