“The king is dead; all hail the king”
È arrivata la lieta novella, il mondo cessa di trattenere il fiato, i polmoni si riempiono di vita. Joe Biden, settantasette anni, democratico, è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. In Europa si tira un profondo sospiro di sollievo. A Mosca meno. Comunque, abbiamo un vincitore.
Mercoledì scorso mi sono svegliato alle cinque del
mattino. Ho vagamente separato le palpebre nel buio più totale, cercando l’interruttore
della luce col solo tatto, stordito da una sveglia volutamente fastidiosa. Ho
preso in mano il telefono, e, con una certa trepidazione, ho cercato su Google,
ubriaco di sonno, le fatidiche parole: “US elections results”. Ho visto la
mappa dicroma, sfumata nell’incertezza. Il mio primo pensiero è stato “Ha vinto
Trump”. Erano mesi che, personalmente, mettevo in guardia amici e conoscenti rispetto
alla possibilità di una riconferma del presidente uscente. Forse era rimasta in
me troppo bruciante la cicatrice della rovinosa sconfitta di Hillary Clinton,
ancora così recente nell’immaginario collettivo. Forse, in fondo, preferivo
poter continuare ad avere il privilegio di dire: “Almeno, in America, sono
messi peggio di noi”. Non negherò perciò di non essere stato immediatamente colto
dalla gravità di quella mia deduzione azzardata, ma anzi, quasi compiaciuto del
mio aver ragione, del mio poter dire “Ve l’avevo detto”, profeta di sventure in
tempi moderni. Trump era avanti in pressoché tutti i campi di battaglia ancora
incerti, in ampio vantaggio in Michigan e Wisconsin, gli stati della “Rust
Belt” che costituiscono quel famoso “Blue Wall” che solo quattro anni fa aveva
segnato la disfatta della Clinton, e che quest’anno avrebbe potuto segnare la
fine di Biden. A questo primo momento di narcisismo autodistruttivo se ne
sostituì un secondo, in cui presi coscienza delle effettive implicazioni di
una, allora probabile, vittoria di Trump. E così cominciai a sperare, caso raro
nella mia vita, di poter dire di avere avuto torto, di poter vedere il quarantacinquesimo
presidente degli Stati Uniti uscire stizzito dalla Casa Bianca, con i pugni
stretti e il parrucchino spettinato. E sia chiaro, non ritengo che Biden si rivelerà
un ottimo presidente, come non ho mai ritenuto che Donald Trump si sia rivelato
il male incarnato, un demone spedito su questa terra da qualche milione di
incestuosi boscaioli della profonda provincia nord-americana. Come in tutte le
cose, certo, bisogna scegliere una parte, ed io, come traspare dalle mie parole,
l’ho scelta, ma senza mai cessare di tentare di comprendere l’avversario, di
capire, in questo caso specifico, che Trump non è divenuto presidente degli
Stati Uniti perché gli americani sono ignoranti e bigotti (o meglio, non solo),
ma perché ha proposto delle soluzioni, discutibili, a dei problemi reali, o
comunque sentiti come tali da buona parte dei cittadini statunitensi. Perciò
non dirò che sono felice della vittoria di Biden, ma piuttosto che sono sollevato
dalla sconfitta di Trump. Ma ritorniamo a noi. Dopo la mattina di quel quattro
novembre ho iniziato a capire che i giochi erano, in effetti, tutt’altro che
chiusi, che, fortunatamente, ero stato frettoloso nel darmi ragione. E così, speranzoso
e spaventato, ho cominciato a compulsare il telefono ogni pochi minuti, digitando
sempre le stesse parole, come una formula magica e apotropaica, un mantra
profano e occidentale: “US elections results”. Ho visto gli stati rosa farsi
azzurri, poi blu, in una sorta di provvidenziale sortilegio cromatico. In poche
parole, era arrivato il voto per posta, dominato dai democratici, a salvare la
situazione, un deus ex machina letterale. Ed oggi, finalmente, dopo tre giorni
di attesa, possiamo dire con certezza matematica che Joe Biden ha vinto queste
elezioni. Ciò non significa però che il melodramma sia terminato. Il presidente
uscente ha già intrapreso azioni legali in più di uno stato, denunciando
irregolarità ed esigendo riconteggi. Il coinvolgimento della corte suprema è
praticamente certo. Ci troviamo davanti, insomma, ad un personaggio che, per
ora, non sembra disposto a rinunciare alla propria posizione e ad accettare il più
basilare postulato della democrazia, ossia che il potere è esercitato dal
popolo, nei limiti e nel rispetto della legge, attraverso il voto. Si para
davanti ai nostri occhi uno scenario fosco, ma comunque più limpido di quello
che si sarebbe configurato con l’eventuale vittoria di “The Donald”. Comunque,
in un momento di crisi come quello attuale, la soporifera calma di Joe Biden
potrebbe salvarci. Oggi è stata scritta una pagina importante della storia
recente. E nel vedere quest’uomo così buffo, così strano, che ha tenuto in mano
le redini del mondo negli ultimi quattro anni, non posso che immaginare cosa
stia pensando mentre scrivo, sconfitto e caduto, come un inverso e tragicomico
Riccardo III.
“I'll
make my heaven to dream upon the crown,
And,
whiles I live, to account this world but hell”
Tancredi Bendicenti
Grazie di questa riflessione non esaltata, anche se schierata... speriamo che gli americani riescano a fare altrettanto!
RispondiEliminaGrazie a lei per averla letta, prof!
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