Edoardo appoggiò la schiena ad una delle colonne del porticato. Piegò la gamba destra e mise la suola contro il marmo del piedistallo. Tirò fuori dalla tasca il suo mezzo sigaro già tagliato e lo portò alla bocca.
Lo accese con calma, emise un cerchio di fumo che si librò nell’aria; sospirò, si aggiustò il cappello. Si stava guardando intorno quando sentì aprirsi la serratura del vecchio portone malandato che si trovava davanti a lui; si affacciò una donna che tentava di spingere fuori dalla pesante anta in legno verniciato di verde un passeggino con un bimbo paffuto che dormiva coperto con un panno sdrucito; la donna faceva una certa fatica a effettuare la manovra con una sola mano e allora Edoardo gettò via il sigaro e balzò verso di lei afferrando il pomello d’ottone e permettendo alla signora di uscire comodamente. Al "grazie" della donna Edoardo rispose un veloce "non c’è di che" mentre scivolava all’interno dell’androne con una velocità fulminea.Salì
tre rampe di scale e si fermò davanti ad una porta anonima; un pezzo di nastro
isolante nero copriva il nome del vecchio inquilino e mostrava che il nuovo non
avesse alcuna intenzione di comunicare la sua presenza, esattamente come aveva
detto il senzatetto la sera prima.
Bussò
alla porta e si spostò sul lato sinistro. La porta si aprì leggermente e un
naso adunco si affacciò precedendo un viso scarnito, emaciato, con degli
stopposi capelli corvini che scendevano lungo gli zigomi sporgenti. La testa
dell’uomo sporse dall’uscio e si girò a guardare dalla parte opposta a quella
in cui si trovava Edoardo, ricordando una testuggine che scruta l’ambiente
circostante.
Allora
Edoardo, non volendo ripetere l’esperienza già vissuta con quel personaggio,
non si fece cogliere impreparato stavolta; infilò un piede nella soglia, mise
il braccio destro sotto il collo della testuggine e col sinistro afferrò la sua
camicia denim, dandogli una forte spinta che lo buttò all’indietro e lo fece
cadere all’interno dell’appartamento; poi si chiuse la porta alle spalle.
Il
mezz’uomo cercò di afferrare una bottiglia dal tavolo accanto al quale era
rovinato, ma l’investigatore gli saltò addosso bloccandogli il braccio con il
ginocchio sinistro e facendo in modo che lasciasse la presa dall’arma
improvvisata.
"Ragioniamo",
disse mentre lo teneva schienato a terra in modo niente affatto gentile.
"Sai
chi sono?".
"No,
cosa vuoi da me?".
"Ti aiuto" disse Edoardo con atteggiamento
glaciale, per nulla coerente con le parole che aveva pronunciato. "Sono la
persona che ti ha mandato in fumo i piani ieri sera all’interno della scuola".
E mentre parlava spinse nuovamente sul
pavimento l’omuncolo che nel frattempo aveva provato a divincolarsi.
"Vedi,…. Come ti chiami?" "Stefano". "Ecco, vedi,
Stefano, sei in una pessima situazione. Ti faccio un quadretto: sei un
ladruncolo da quattro soldi, hai bisogno di liquidi per comperarti qualche
schifezza che ti brucerai in un paio di giorni. Sei disposto a tutto. Sai che
lì dentro ci sono cose di valore, magari antiche, pensi che non ci sia alcun
tipo di sorveglianza; entri la prima volta nell’istituto, ti trovi davanti una
persona che non ti aspettavi, la spingi per le scale, la ammazzi. Ma la
facilità di intrufolarti lì dentro ti ha fatto gola e ci hai riprovato. E
stavolta hai trovato me. Evidentemente è un posto che non ti porta troppa
fortuna. Verrai accusato di omicidio e siccome sei un pezzente non potrai
neanche permetterti un buon avvocato, sei fregato. Come sono arrivato io a te
ci starà arrivando anche la polizia, non hai molte possibilità. Ora, vedi, se
avessi qualcosa da dire, se la storia fosse leggermente differente, io sarei
disposto ad ascoltarti e forse, dico forse, potrei fare in modo che ti
ascoltasse anche il mio amico ispettore che altrimenti non sarà così disposto a
venirti incontro. Sei solo; un balordo solo che non sa dove sbattere la testa…
che mi dici di questa mia analisi?".
Stefano buttò la testa all’indietro e si lasciò
andare. Edoardo allentò allora la presa
e consentì all’omuncolo di cedere. Aveva rotto la sua resistenza e lo aveva
reso ancora più fragile di quanto già non fosse.
"No, non è andata così. Non del tutto. Non sono stato
io, non da solo. Non ci avrei mai pensato, non mi interessava. Quando ho
bisogno di soldi rubo qualcosa qua e là, cerco di non fare neanche scippi, non
mi piace fare male alla gente. Mi ci sono ritrovato. Mi ha promesso soldi,
tanti soldi. Sembrava una cosa facile, dovevo entrare, prendere quei quattro
maledetti quaderni vecchi e consegnarli. Che ne sapevo? Che ne sapevo che avrei
trovato quello lì dentro pronto a difendersi? Che ne sapevo che avrebbe reagito
così?".
"Chi? Chi è che ti ha commissionato questa
idiozia?".
"Non posso dirtelo, non capisci?. Mi ha detto che
conosce gente importante, che mi farà cercare se parlo".
"Ma non ti rendi conto delle assurdità che stai
dicendo? Non ti rendi conto che se fosse vero quello che dici avrebbe
contattato un professionista? Ha preso il primo idiota ricattabile che ha
trovato, cioè te. È solo uno che non voleva fare le cose da solo, ragiona. E
comunque, se fosse giusto quello che sostieni, allora saresti molto più al
sicuro a Regina Coeli piuttosto che in questa squallida stanzetta dove ti può
raggiungere chiunque".
"Va bene, ma devi promettermi che non mi succederà
niente, né fuori né dentro".
"Parlerò con chi si sta occupando dell’indagine",
disse Edoardo, non promettendo volutamente nulla di ciò che gli era stato
chiesto da Stefano. Sapeva che qualsiasi richiesta fatta ad Abrami avrebbe
potuto prendere una piega inaspettata.
"È stato uno che ha una galleria importante; voleva quei quaderni a tutti i costi. Gli ho detto cento volte che avrei potuto procurargli roba più importante; so di case facili lì intorno con bei pezzi interessanti, ma lui non ha voluto sentire ragioni. Mi ha promesso tanto. Poi quel maledetto mi ha detto che mi avrebbe pagato dopo la consegna, ma quando ha sentito quello che è successo non mi ha voluto dare un soldo".
"Chi è? Dai, ora sto perdendo la pazienza".
"Chiama prima i tuoi amici della polizia, non esco
da qui se non con loro".
Edoardo fece il numero.
"È un inglese. Thorpe, si chiama Thorpe. L’ho
visto l’ultima volta quando gli ho dato il quaderno che mi è rimasto in mano
quando il prete è caduto dalle scale. Mi aveva spiegato tutto nei minimi
particolari, cosa dovevo prendere, dov’era, chi aveva le chiavi di quel mobile
antico e come aprirlo. Avrei dovuto entrare, costringere il prete ad aprire,
prendere i quaderni e andarmene, solo questo. Invece me lo sono trovato
davanti, in cima alle scale, mi ha spinto, mi ha urlato che non li avrei mai
avuti; ho visto che teneva in mano un libricino che dalla descrizione che
Thorpe mi aveva fatto doveva essere quello che cercavo, l’ho afferrato, abbiamo
lottato e lui è caduto giù. Quando mi sono reso conto di quello che era
successo sono scappato via, ho portato il quaderno a Thorpe e gli ho detto che non volevo avere
più nulla a che fare con lui, e lui non mi ha pagato.".
"E
gli altri quaderni? Dove sono?".
"Non
ho preso altro, lo giuro!".
"Sei un bugiardo, un assassino bugiardo. La fine che hai fatto fare agli altri tre quaderni la racconterai alla polizia. Sono stato fin troppo disponibile con te, ora basta". E mentre diceva queste parole si sentì la sirena della volante che arrivava a prelevarlo.
Edoardo era seduto sulla sedia di fronte alla
scrivania di Abrami.
"Ragioni, Guenzi", disse l’ispettore, "sono stato
in quella galleria personalmente, ho parlato a lungo con il titolare, persona
affabile e distintissima. È vero, la galleria è specializzata in manoscritti,
ma il suo atteggiamento è stato meno che sospetto. Mi ha offerto tutta la
disponibilità possibile, mi ha spiegato in grandi linee come funziona
quell’ambiente, come reperiscono i pezzi; insomma, se avesse avuto qualcosa da
nascondere avrebbe tagliato corto, mi avrebbe liquidato in breve tempo, invece
sembrava quasi avesse piacere a trattenermi.
Deve avere apprezzato il mio interesse per il materiale che tratta e che
prescinde dall’indagine in sé. Direi che lei si è fatto circuire da un poco di
buono che ha voluto tirare in ballo un nome conosciuto per sviare le indagini e
alleggerire la sua posizione. Non capisco perché debba rendere le cose più
complesse di quanto in realtà non siano…".
Edoardo guardava Abrami incredulo. Possibile che
avesse tanta fretta di chiudere il caso pur di andare in pensione senza
lasciare indagini aperte al suo successore? Voleva proprio chiudere in bellezza
a costo di chiudere male? Del resto chi ci avrebbe fatto mai caso? La storia,
tutto sommato, reggeva, un colpevole c’era ed era perfetto: nessuno di
importante che avrebbe potuto trascinare all’infinito la cosa con l’aiuto di un
pull di avvocati di peso, nessuna conoscenza altolocata, l’indagato perfetto.
"Abrami,
mi scusi, ma non è neanche interessato a scoprire che fine abbiano fatto i
manoscritti? Non ha prove tangibili in questo modo e comunque non restituirà
mai la refurtiva all’Istituto".
"Non
è un problema, Guenzi. Ormai i diari saranno passati di mano in mano almeno due
volte, magari saranno già all’estero; ci penseranno i colleghi carabinieri
della tutela del patrimonio artistico, sono cose lunghissime, queste; chissà
quando e se salteranno fuori… allora io mi starò godendo la libertà…".
"Abrami,
facciamo almeno un tentativo… non le fa gola la possibilità di assicurare alla
giustizia un pezzo un po’ più grosso di quell’omuncolo senza né arte né parte?
Ci pensi, non le darebbe più prestigio andare in pensione con un encomio
recente?".
"Non
voglio rogne, Guenzi. Ora basta, vada pure, mi auguro che lei possa andare più
a genio al mio successore. Credo non le possa essere sfuggita la mia poca
considerazione nei suoi confronti, questo mi premeva proprio dirglielo visto
che probabilmente non ci vedremo più.".
Edoardo
uscì da quell’ultimo incontro con un senso di insoddisfazione profonda; un
nulla di fatto, un caso risolto a metà, una nuvola di fumo denso che nascondeva, probabilmente per sempre, la
verità che si celava dietro quella serie di elementi sparpagliati. Un caso-non
caso, una soluzione-non soluzione, un colpevole parziale. E una serie di
insulti gratuiti e francamente eccessivi da parte di un uomo tronfio e pieno di
protervia che Edoardo faticava a mandare giù.
Il
senso di colpa che Edoardo provava nei confronti di Saturnino era grande, il
senso di inadeguatezza che provava nei confronti di se stesso ancora più
pressante. Era quello stesso dolore, quella stessa mortificazione che solo quella
scuola riusciva a dargli. Il suo pensiero tornò per un istante al momento in
cui si lasciò l’istituto alle spalle per l’ultima volta tanti anni prima. Il
desiderio di redenzione era troppo grande. Questa era stata la sua seconda
opportunità e non poteva credere al fatto di aver fallito anche stavolta. Come
avrebbe potuto guardare Michele negli occhi comunicandogli la chiusura del
caso? Come avrebbe dormito sereno sapendo che un colpevole, il mandante, c’era
e non era stato assicurato alla giustizia?
Il
mattino dopo Edoardo si alzò frastornato.
Si
guardò allo specchio mentre si faceva la barba e non si riconobbe più. Poteva
lasciare che le cose andassero da sole in quel modo? Poteva permettere che pur
sapendo, Edoardo Guenzi non intervenisse a modo suo, autonomamente?
Aprì
l’armadio, si vestì di tutto punto. Sostituì l’amato collo alto in soffice lana
chiara con un completo blu notte, fece il nodo alla cravatta di Marinella a cui
era tanto affezionato, si appoggiò il trench sulle spalle e si presentò
all’orario di apertura sulla soglia della incriminata casa d’aste.
Spinse
la porta all’interno e un trillo gradevole e un po’ retrò, in perfetta armonia
con il materiale trattato nell’atelier, segnalò al proprietario l’ingresso del
primo cliente della giornata.
Edoardo
si presentò e venne fatto accomodare in un bel salottino con delle poltroncine
anni ’50 in acciaio e pelle maculata. Tra le due poltroncine un tavolino in
cristallo su cui un gentile inserviente appoggiò un vassoio con due tazzine di
caffè e un piattino con dei pasticcini.
"Mi
chiamo Thorpe, ho l’onore di dirigere questa azienda, come posso aiutarla,
signor Guenzi?".
"La
sua gentilezza mi confonde, signor Thorpe. Sono un inguaribile collezionista di
libri antichi e manoscritti, sempre in cerca di novità. Credo, francamente,
data la sua fama, di essere nel posto giusto". Nello sguardo infido e mellifluo
di Thorpe Edoardo ebbe la sensazione di rivedere qualcosa di già conosciuto.
Scelta
1: Edoardo continua a fingere di essere un cliente nel tentativo di farsi
mostrare il manoscritto.
Scelta2:
Edoardo gioca a carte scoperte, gli dice di sapere cosa ha fatto e finge di
essere un ricattatore.
Nessun commento:
Posta un commento