lunedì 9 novembre 2020

Un giallo...tra di noi - parte quarta

 


Edoardo appoggiò la schiena ad una delle colonne del porticato. Piegò la gamba destra e mise la suola contro il marmo del piedistallo. Tirò fuori dalla tasca il suo mezzo sigaro già tagliato e lo portò alla bocca.

Lo accese con calma, emise un cerchio di fumo che si librò nell’aria; sospirò, si aggiustò il cappello. Si stava guardando intorno quando sentì aprirsi la serratura del vecchio portone malandato che si trovava davanti  a lui; si affacciò una  donna che tentava di spingere fuori dalla pesante anta in legno verniciato di verde un passeggino con un bimbo paffuto che dormiva coperto con un panno sdrucito; la donna faceva una certa fatica a effettuare la manovra con una sola mano e allora Edoardo gettò via il sigaro e balzò verso di lei afferrando il pomello d’ottone e permettendo alla signora di uscire comodamente. Al "grazie" della donna Edoardo rispose un veloce "non c’è di che" mentre scivolava all’interno dell’androne con una velocità fulminea.

Salì tre rampe di scale e si fermò davanti ad una porta anonima; un pezzo di nastro isolante nero copriva il nome del vecchio inquilino e mostrava che il nuovo non avesse alcuna intenzione di comunicare la sua presenza, esattamente come aveva detto il senzatetto la sera prima.

Bussò alla porta e si spostò sul lato sinistro. La porta si aprì leggermente e un naso adunco si affacciò precedendo un viso scarnito, emaciato, con degli stopposi capelli corvini che scendevano lungo gli zigomi sporgenti. La testa dell’uomo sporse dall’uscio e si girò a guardare dalla parte opposta a quella in cui si trovava Edoardo, ricordando una testuggine che scruta l’ambiente circostante.

Allora Edoardo, non volendo ripetere l’esperienza già vissuta con quel personaggio, non si fece cogliere impreparato stavolta; infilò un piede nella soglia, mise il braccio destro sotto il collo della testuggine e col sinistro afferrò la sua camicia denim, dandogli una forte spinta che lo buttò all’indietro e lo fece cadere all’interno dell’appartamento; poi si chiuse la porta alle spalle.

Il mezz’uomo cercò di afferrare una bottiglia dal tavolo accanto al quale era rovinato, ma l’investigatore gli saltò addosso bloccandogli il braccio con il ginocchio sinistro e facendo in modo che lasciasse la presa dall’arma improvvisata.

"Ragioniamo", disse mentre lo teneva schienato a terra in modo niente affatto gentile.

"Sai chi sono?".

"No, cosa vuoi da me?".

"Ti aiuto" disse Edoardo con atteggiamento glaciale, per nulla coerente con le parole che aveva pronunciato. "Sono la persona che ti ha mandato in fumo i piani ieri sera all’interno della scuola". E mentre parlava spinse nuovamente sul pavimento l’omuncolo che nel frattempo aveva provato a divincolarsi.

"Vedi,…. Come ti chiami?" "Stefano". "Ecco, vedi, Stefano, sei in una pessima situazione. Ti faccio un quadretto: sei un ladruncolo da quattro soldi, hai bisogno di liquidi per comperarti qualche schifezza che ti brucerai in un paio di giorni. Sei disposto a tutto. Sai che lì dentro ci sono cose di valore, magari antiche, pensi che non ci sia alcun tipo di sorveglianza; entri la prima volta nell’istituto, ti trovi davanti una persona che non ti aspettavi, la spingi per le scale, la ammazzi. Ma la facilità di intrufolarti lì dentro ti ha fatto gola e ci hai riprovato. E stavolta hai trovato me. Evidentemente è un posto che non ti porta troppa fortuna. Verrai accusato di omicidio e siccome sei un pezzente non potrai neanche permetterti un buon avvocato, sei fregato. Come sono arrivato io a te ci starà arrivando anche la polizia, non hai molte possibilità. Ora, vedi, se avessi qualcosa da dire, se la storia fosse leggermente differente, io sarei disposto ad ascoltarti e forse, dico forse, potrei fare in modo che ti ascoltasse anche il mio amico ispettore che altrimenti non sarà così disposto a venirti incontro. Sei solo; un balordo solo che non sa dove sbattere la testa… che mi dici di questa mia analisi?".

Stefano buttò la testa all’indietro e si lasciò andare.  Edoardo allentò allora la presa e consentì all’omuncolo di cedere. Aveva rotto la sua resistenza e lo aveva reso ancora più fragile di quanto già non fosse.

"No, non è andata così. Non del tutto. Non sono stato io, non da solo. Non ci avrei mai pensato, non mi interessava. Quando ho bisogno di soldi rubo qualcosa qua e là, cerco di non fare neanche scippi, non mi piace fare male alla gente. Mi ci sono ritrovato. Mi ha promesso soldi, tanti soldi. Sembrava una cosa facile, dovevo entrare, prendere quei quattro maledetti quaderni vecchi e consegnarli. Che ne sapevo? Che ne sapevo che avrei trovato quello lì dentro pronto a difendersi? Che ne sapevo che avrebbe reagito così?".

"Chi? Chi è che ti ha commissionato questa idiozia?".

"Non posso dirtelo, non capisci?. Mi ha detto che conosce gente importante, che mi farà cercare se parlo".

"Ma non ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo? Non ti rendi conto che se fosse vero quello che dici avrebbe contattato un professionista? Ha preso il primo idiota ricattabile che ha trovato, cioè te. È solo uno che non voleva fare le cose da solo, ragiona. E comunque, se fosse giusto quello che sostieni, allora saresti molto più al sicuro a Regina Coeli piuttosto che in questa squallida stanzetta dove ti può raggiungere chiunque".

"Va bene, ma devi promettermi che non mi succederà niente, né fuori né dentro".

"Parlerò con chi si sta occupando dell’indagine", disse Edoardo, non promettendo volutamente nulla di ciò che gli era stato chiesto da Stefano. Sapeva che qualsiasi richiesta fatta ad Abrami avrebbe potuto prendere una piega inaspettata.

"È stato uno che ha una galleria importante; voleva quei quaderni a tutti i costi. Gli ho detto cento volte che avrei potuto procurargli roba più importante; so di case facili lì intorno con bei pezzi interessanti, ma lui non ha voluto sentire ragioni. Mi ha promesso tanto. Poi quel maledetto mi ha detto che mi avrebbe pagato dopo la consegna, ma quando ha sentito quello che è successo non mi ha voluto dare un soldo".

"Chi è? Dai, ora sto perdendo la pazienza".

"Chiama prima i tuoi amici della polizia, non esco da qui se non con loro".

Edoardo fece il numero.

"È un inglese. Thorpe, si chiama Thorpe. L’ho visto l’ultima volta quando gli ho dato il quaderno che mi è rimasto in mano quando il prete è caduto dalle scale. Mi aveva spiegato tutto nei minimi particolari, cosa dovevo prendere, dov’era, chi aveva le chiavi di quel mobile antico e come aprirlo. Avrei dovuto entrare, costringere il prete ad aprire, prendere i quaderni e andarmene, solo questo. Invece me lo sono trovato davanti, in cima alle scale, mi ha spinto, mi ha urlato che non li avrei mai avuti; ho visto che teneva in mano un libricino che dalla descrizione che Thorpe mi aveva fatto doveva essere quello che cercavo, l’ho afferrato, abbiamo lottato e lui è caduto giù. Quando mi sono reso conto di quello che era successo sono scappato via, ho portato il quaderno  a Thorpe e gli ho detto che non volevo avere più nulla a che fare con lui, e lui non mi ha pagato.".

"E gli altri quaderni? Dove sono?".

"Non ho preso altro, lo giuro!".

"Sei un bugiardo, un assassino bugiardo. La fine che hai fatto fare agli altri tre quaderni la racconterai alla polizia. Sono stato fin troppo disponibile con te, ora basta". E mentre diceva queste parole si sentì la sirena della volante che arrivava a prelevarlo.

Edoardo era seduto sulla sedia di fronte alla scrivania di Abrami.

"Ragioni, Guenzi", disse l’ispettore, "sono stato in quella galleria personalmente, ho parlato a lungo con il titolare, persona affabile e distintissima. È vero, la galleria è specializzata in manoscritti, ma il suo atteggiamento è stato meno che sospetto. Mi ha offerto tutta la disponibilità possibile, mi ha spiegato in grandi linee come funziona quell’ambiente, come reperiscono i pezzi; insomma, se avesse avuto qualcosa da nascondere avrebbe tagliato corto, mi avrebbe liquidato in breve tempo, invece sembrava quasi avesse piacere a trattenermi. Deve avere apprezzato il mio interesse per il materiale che tratta e che prescinde dall’indagine in sé. Direi che lei si è fatto circuire da un poco di buono che ha voluto tirare in ballo un nome conosciuto per sviare le indagini e alleggerire la sua posizione. Non capisco perché debba rendere le cose più complesse di quanto in realtà non siano…".

Edoardo guardava Abrami incredulo. Possibile che avesse tanta fretta di chiudere il caso pur di andare in pensione senza lasciare indagini aperte al suo successore? Voleva proprio chiudere in bellezza a costo di chiudere male? Del resto chi ci avrebbe fatto mai caso? La storia, tutto sommato, reggeva, un colpevole c’era ed era perfetto: nessuno di importante che avrebbe potuto trascinare all’infinito la cosa con l’aiuto di un pull di avvocati di peso, nessuna conoscenza altolocata, l’indagato perfetto.

"Abrami, mi scusi, ma non è neanche interessato a scoprire che fine abbiano fatto i manoscritti? Non ha prove tangibili in questo modo e comunque non restituirà mai la refurtiva all’Istituto".

"Non è un problema, Guenzi. Ormai i diari saranno passati di mano in mano almeno due volte, magari saranno già all’estero; ci penseranno i colleghi carabinieri della tutela del patrimonio artistico, sono cose lunghissime, queste; chissà quando e se salteranno fuori… allora io mi starò godendo la libertà…".

"Abrami, facciamo almeno un tentativo… non le fa gola la possibilità di assicurare alla giustizia un pezzo un po’ più grosso di quell’omuncolo senza né arte né parte? Ci pensi, non le darebbe più prestigio andare in pensione con un encomio recente?".

"Non voglio rogne, Guenzi. Ora basta, vada pure, mi auguro che lei possa andare più a genio al mio successore. Credo non le possa essere sfuggita la mia poca considerazione nei suoi confronti, questo mi premeva proprio dirglielo visto che probabilmente non ci vedremo più.".

Edoardo uscì da quell’ultimo incontro con un senso di insoddisfazione profonda; un nulla di fatto, un caso risolto a metà, una nuvola di fumo denso  che nascondeva, probabilmente per sempre, la verità che si celava dietro quella serie di elementi sparpagliati. Un caso-non caso, una soluzione-non soluzione, un colpevole parziale. E una serie di insulti gratuiti e francamente eccessivi da parte di un uomo tronfio e pieno di protervia che Edoardo faticava a mandare giù.

Il senso di colpa che Edoardo provava nei confronti di Saturnino era grande, il senso di inadeguatezza che provava nei confronti di se stesso ancora più pressante. Era quello stesso dolore, quella stessa mortificazione che solo quella scuola riusciva a dargli. Il suo pensiero tornò per un istante al momento in cui si lasciò l’istituto alle spalle per l’ultima volta tanti anni prima. Il desiderio di redenzione era troppo grande. Questa era stata la sua seconda opportunità e non poteva credere al fatto di aver fallito anche stavolta. Come avrebbe potuto guardare Michele negli occhi comunicandogli la chiusura del caso? Come avrebbe dormito sereno sapendo che un colpevole, il mandante, c’era e non era stato assicurato alla giustizia?

Il mattino dopo Edoardo si alzò frastornato.

Si guardò allo specchio mentre si faceva la barba e non si riconobbe più. Poteva lasciare che le cose andassero da sole in quel modo? Poteva permettere che pur sapendo, Edoardo Guenzi non intervenisse a modo suo, autonomamente?

Aprì l’armadio, si vestì di tutto punto. Sostituì l’amato collo alto in soffice lana chiara con un completo blu notte, fece il nodo alla cravatta di Marinella a cui era tanto affezionato, si appoggiò il trench sulle spalle e si presentò all’orario di apertura sulla soglia della incriminata casa d’aste.

Spinse la porta all’interno e un trillo gradevole e un po’ retrò, in perfetta armonia con il materiale trattato nell’atelier, segnalò al proprietario l’ingresso del primo cliente della giornata.

Edoardo si presentò e venne fatto accomodare in un bel salottino con delle poltroncine anni ’50 in acciaio e pelle maculata. Tra le due poltroncine un tavolino in cristallo su cui un gentile inserviente appoggiò un vassoio con due tazzine di caffè e un piattino con dei pasticcini.

"Mi chiamo Thorpe, ho l’onore di dirigere questa azienda, come posso aiutarla, signor Guenzi?".

"La sua gentilezza mi confonde, signor Thorpe. Sono un inguaribile collezionista di libri antichi e manoscritti, sempre in cerca di novità. Credo, francamente, data la sua fama, di essere nel posto giusto". Nello sguardo infido e mellifluo di Thorpe Edoardo ebbe la sensazione di rivedere qualcosa di già conosciuto.

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Scelta 1: Edoardo continua a fingere di essere un cliente nel tentativo di farsi mostrare il manoscritto.

Scelta2: Edoardo gioca a carte scoperte, gli dice di sapere cosa ha fatto e finge di essere un ricattatore.

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