“Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club”
La vita moderna può essere banale o ripetitiva. Se di certo porta tranquillità e stabilità, spesso
porta però l’individuo a rimanere incastrato in quella ragnatela fatta di routine, relazioni stantie, lavori insoddisfacenti e soprattutto il dover fare i conti con la propria persona.Edward Norton, protagonista di Fight Club, è un uomo privo di scopo, di passioni, di mascolinità e di gioia. Incarna tutto ciò che un uomo non vorrebbe essere ma allo stesso tempo è il prodotto per eccellenza di una società capitalista e consumista. Si lascia consapevolmente possedere da ciò che egli stesso possiede ed è cosciente del fatto che acquistare decine di inutili mobili Ikea non migliorerà in alcun modo la sua vita.
Norton è così combattuto fra due opposti. Da un lato è così adeso alla sua quotidianità, ripetitiva ma pur sempre confortante, da avere il terrore anche solo di separarsene o di cambiarla, trovando piuttosto conforto nell’immedesimarsi nelle vite altrui partecipando a incontri di malati di leucemia o di cancro ai testicoli, tentando maldestramente di evadere dalla sua stessa vita e di provare sentimenti diversi dalla noia. D’altra parte invece il protagonista è colto dal desiderio paradossale di essere colpito da una catastrofe o di essere parte di un devastante incidente aereo. La tensione verso il caos e la distruzione non è altro che un modo per esternare il naturale desiderio di libertà che non può essere soddisfatto nella sua vita come agente assicurativo.
In modo simile, anche Walter White, protagonista di Breaking Bad, trova in una disgrazia come il suo cancro ai polmoni, un modo per conquistare una libertà mai realmente avuta. L’iniziale volontà di “cucinare” metanfetamine per mantenere la sua famiglia una volta che sarà morto, diventa piuttosto un modo per assaggiare il potere e l’eccitazione data dal pericolo e dall’infrangere la legge. Con il procedere della vicenda, Walter passa di fatto da un estremo al suo completo opposto. Se inizialmente viene presentato come un personaggio profondamente dedito alla sua famiglia e ai suoi amici, progressivamente perderà invece questi legami, arrivando a scegliere il potere e la sua individuale libertà piuttosto che la sicurezza dei suoi familiari.
Ma perché appare così complicato tagliare i legami con la propria vita monotona? Sicuramente il vivere in una società come quella occidentale, tipicamente priva di rilevanti conflitti e caratterizzata da ordine e stabilità, non supporta quel desiderio di evasione o di adrenalina così ampiamente ricercato.
In Fight Club in particolare, il riunirsi in seminterrati polverosi per combattere in modo brutale diventa un modo per esternare il proprio io e soprattutto per tirar fuori una mascolinità oppressa da esistenze e lavori poco appaganti. In questo caso è evidente come il più grande ostacolo al raggiungimento della felicità e della libertà sia l’io stesso. Le barriere che si pone sono apparentemente insormontabili e non possono essere distrutte se non attraverso un miracoloso intervento esterno, anche se appare evidente come ciò non sia realizzabile al di fuori del mondo del cinema, dove noi stessi siamo gli artefici del nostro destino.
Walter invece dimostra come l’ostacolo da superare sia rappresentato piuttosto dall’essere parte di una tipica famiglia americana ed il dover obbedire ai doveri assillanti di padre e marito. Tuttavia, nonostante il suo cambiamento porti ad un effetto domino di delitti, omicidi e sofferenze, lo spettatore non può fare a meno di provare fino all’ultimo una certa dose di empatia, prova di come in fondo in ognuno di noi sia possibile riscontrare un desiderio latente di evasione che aspetta di emergere.
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