Verità
“Non sarò io ad ucciderlo”
“Anche se…”
“Non vi è nulla di ipotetico nell’agire giustamente. Sta scritto: 'Non uccidere'. Tale è la legge,
tale è la Volontà”“Non capirò mai voi Crociati: un momento barbari, un
altro filosofi. Ma forse è questa l’indole dell’Occidente”
Tristano era pienamente consapevole della propria
falsità. Quante vite aveva già estinto? Quante anime aveva già sprofondato
all’inferno, o innalzato al Paradiso? Non le riusciva a contare. Anche perché,
molte, la maggior parte, le aveva dimenticate. Per la prima volta gli era stata
data la possibilità di dispensare sofferenze per evitarne di maggiori. Ma lui,
con la schiena ritta ed il petto indurito, proprio stavolta, si era tirato
indietro, in nome di regole che non aveva mai rispettato. Eppure, non era
sicuro di aver preso la scelta sbagliata. D’altronde Dio perdona molte cose per
un atto di misericordia. Ma era davvero misericordia la sua? Non sarebbe stato
forse più caritatevole terminare le sofferenze di quel vecchio folle? A quale
destino lo aveva condannato? Già riusciva a vederlo davanti ai suoi occhi,
reale e materiale più di ciò che lo circondava. Schiere di nobili, da lui non
così dissimili, con le armature tirate a lucido e le spade sguainate, che
vomitavano saliva per vedere una goccia di sangue, anche una sola, bagnare la
terra. Finti prelati, nobili anch’essi, senza Dio e senza spirito, appesantiti
da oro ingordo e seta, che sentenziavano, privi di ritegno o pensiero, sulla
vita di un uomo già morto.
“A morte il giudeo, a morte il mago”
L’urlo, pronunciato in dieci lingue diverse, gli
rimbombava senza sosta nel cranio. Ed infine la povera gente di Gerusalemme.
Sciami ignoti di creature indifese, trattate come animali, bastonate e macellate,
intente a cercare conforto nella disgrazia altrui, o ad inorridirsi. E tra loro
i preti accorsi da tutt’Europa: quelli veri. Vestiti di bianco, nero, sacco e
stoffa. Con croci di legno e preghiere sincere. E la Chiesa intorno e dentro di
loro. Tristano si chiese se mai, un giorno, il popolo avrebbe spezzato le sue
catene. Se mai, un giorno, sarebbe stata Giustizia. Ma pensò che non fossero
pensieri per gente come lui, quelli. D’altronde, era solo una spada nelle mani
dei Grandi.
“Il sole sta sorgendo, e già troppi sono svegli:
meglio andare”
E così, si incamminarono, sperando che la morte
cogliesse il vecchio prima delle guardie. La città era bellissima. Sebbene fumi
speziati ancora inondassero l’aria e scurissero il cielo, una calma innaturale abbracciava
le mura, attraversando porte, finestre e corpi. E quelle prime ore del mattino
passarono nel passeggiare, senza sforzo o fatica, per le ripide strade
invisibili che circondavano la terra.
“Dove ci stiamo dirigendo?”
“Al Monte del Teschio”
“Dove?”
“Al Golgota, ma tu forse lo conoscerai col nome di Calvario”
“Per quale motivo?”
“Già ti è stato detto, non ricordi?”
“No”
“Dannato al Flagetonte
Senza speranza alcuna
Se non del teschio il Monte
Avevi dimenticato le sue parole?”
“Non vi avevo prestato attenzione, rime e
scioglilingua non sono mai state di mio interesse”
“Conosci la storia di Re Edipo?”
“Dovrei?”
“Vittima del fato, senza saperlo, uccise il padre,
Laio, e violò la madre, Giocasta. Scoperti i suoi crimini, si cavò gli occhi”
“Una storia allegra…”
“No di certo. Condividi uno dei suoi crimini,
Tristano”
E si ricordò, non capì come, della canzone della
Morte, in ogni sua strofa, in ogni sua lettera. La ascoltò rimbombare nella sua
testa per cento e cento volte, come un’eco che diveniva più forte ad ogni ripetizione.
Da quel marasma di suoni e grida, urla e ricordi, emersero, però, chiari e
distinti questi versi:
La vera e dura sorte
Di quanti al padre antico
Fe’ l’ore già più corte.
Fu breve Laomedonte,
Il peccato tuo ignoto
E forse, il suo più grande scudo, la sua eterna
egida, era proprio l’ignorare, il trascurare. La verità delle sue tribolazioni
gli era stata resa nota prima ancora dell’impresa. La verità era sempre stata
lì, in piena vista, illuminata dal sole e nascosta dalla mente. “Breve
Laomedonte”.
“Si dice che Laio sia una forma abbreviata di
Laomedonte, Tristano”
Il Kohen sembrava leggergli i pensieri, sembrava
cogliere ogni sua domanda, ogni suo quesito, prima che venisse formulato. E
sorrideva con aria di padre, con un volto che ricordava una forma nota da
principio e da un istante. Una forma familiare, e mai conosciuta. Una forma propria.
“Perché mi hai chiamato Tristano?”
Il vecchio tacque.
“Non ti ho mai detto il mio nome”
“Non è la prima volta che ti chiamo con il tuo nome.
Come Edipo ti sei cavato gli occhi, ma non te ne sei accorto”
Il cavaliere, in quel momento, percepì quella
piacevole ed inquietante sensazione che si ha quando viene fatta luce su una
stanza buia, e tutti gli oggetti, che fino ad un momento prima erano a mala
pena distinguibili dal nulla, diventano perfettamente riconoscibili. Il volto
del Kohen era il volto del suo peccato ignoto. Non v’era dubbio alcuno.
Manfredi di Agrigento era suo padre, il ché spiegava la convoluta coincidenza
della concittadinanza. Ed il Kohen, a sua volta, era Manfredi di Agrigento.
“Tre personaggi in uno, tre aspetti in un’anima. La
verità spesso risiede nella virtù inaspettata dell’identità”
Non riusciva a muovere il proprio corpo, o a
scuotere la propria mente.
“Ho amato tua madre, Tristano, con ogni fibra di me
stesso. La ho amata incondizionatamente, infinitamente, disperatamente. La ho
amata al mattino, al meriggio, alla sera. La ho amata quando il freddo le
riempiva i polmoni e quando il sudore le imperlava il collo. La ho amata nella
stagione delle arance, e nel mare in tempesta. La ho amata ogni istante, ogni
attimo della mia gioventù. E quando non ho più potuta amarla, perché era
promessa ad un altro, ho preso l’abito che tu, solo poco tempo fa, hai
conosciuto, e che ora nascondo sotto queste vesti. Tu sei ciò che di lei
rimane. Tu sei il motivo per cui ho preso il largo da Agrigento, con la
vecchiaia fin dentro le ossa, e ho raggiunto il centro del mondo. Conoscevo
solo il nome tuo, Tristano, e gli occhi tuoi, uguali a quelli di tua madre. Eppure,
ti ho trovato Tristano. In mezzo ad un mare di strage, intento a dispensare
altra morte e sofferenza. Ho tentato di fermare la tua mano, di salvare la tua
anima”
Il cavaliere era completamente immobile, con gli
occhi purpurei e la gola contratta. Erano giunti al Calvario, e nemmeno se ne
era accorto.
“E no, non sono vivo. Ho fatto un patto con la Morte.
L’impresa, il mistero: tutta una farsa. Ho ricevuto un travestimento, e la possibilità
di starti vicino per tre giorni, di redimerti”
“Confermo la versione vostro onore”
Apparve la morte, in forma umana stavolta, vestito
con abiti mai visti ed uno strano cappio colorato al collo. Teneva delle lenti
nere sugli occhi, ed un marchingegno luminoso e coperto di tasti nella mano
destra.
“Non fate caso a come sono vestito. Si chiamano
anacronismi. Tra qualche secolo scoprirete cosa sono. Perciò, come va la
reunion padre-figlio? Ti vedo un po’ scosso Tristano. Bella botta eh? Posso
capire. Vi rimane ancora un po’ di tempo assieme. Ora non so esattamente
quanto. Questo scandaloso individuo è troppo pigro per rileggersi tutto il
racconto e vedere quanti giorni siano passati. Dico a te, si, a te che scrivi:
se non hai la scorza lascia perdere…”
Entrambi, lo spirito ed il cavaliere, erano
abbastanza perplessi.
“Comunque, Manfredi, il prezzo che avevamo stabilito
lo rammenti?”
“Si”
“Beh, lascia stare, questo giro è offerto dalla
casa, ordini del Principale… E tu, Tristano, ricorda che sono sempre dietro
l’angolo, ed il tempo per pentirsi, per redimersi, potrebbe finire da un
momento all’altro… Au revoir!”
E sparì nel nulla, come era apparso. Tristano si
tolse l’armatura, gettò via la spada, ed indossò un saio che era convenientemente
posato proprio ad i suoi piedi. Legò stretta la corda.
“Vedo che non stai perdendo tempo”
E camminarono su e giù per il calvario, per ore, forse per giorni. Tristano sentiva il suo animo alleggerito, reso intangibile come l’aria. Un sorriso sincero in volto, e la volontà di pagare il male passato col bene futuro. E parlò con suo padre, e suo padre parlò con lui. Parlarono del tempo, delle querce, degli aranci. Parlarono, parlarono, parlarono. Si accorse di essere solo un personaggio di un racconto affrettato, una pedina di un giullare annoiato. Si accorse di essere un attimo in vite centenarie, qualche foglio di carta in volumi infiniti. Si accorse che tutti siamo bozzetti in storie altre, e marmi in storie nostre. Scoprì, insomma, la verità dell’argilla.
Tancredi Bendicenti
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