lunedì 28 dicembre 2020

La verità dell'argilla - parte finale

 


Verità

“Non sarò io ad ucciderlo”

“Anche se…”

“Non vi è nulla di ipotetico nell’agire giustamente. Sta scritto: 'Non uccidere'. Tale è la legge,

tale è la Volontà”

“Non capirò mai voi Crociati: un momento barbari, un altro filosofi. Ma forse è questa l’indole dell’Occidente”

Tristano era pienamente consapevole della propria falsità. Quante vite aveva già estinto? Quante anime aveva già sprofondato all’inferno, o innalzato al Paradiso? Non le riusciva a contare. Anche perché, molte, la maggior parte, le aveva dimenticate. Per la prima volta gli era stata data la possibilità di dispensare sofferenze per evitarne di maggiori. Ma lui, con la schiena ritta ed il petto indurito, proprio stavolta, si era tirato indietro, in nome di regole che non aveva mai rispettato. Eppure, non era sicuro di aver preso la scelta sbagliata. D’altronde Dio perdona molte cose per un atto di misericordia. Ma era davvero misericordia la sua? Non sarebbe stato forse più caritatevole terminare le sofferenze di quel vecchio folle? A quale destino lo aveva condannato? Già riusciva a vederlo davanti ai suoi occhi, reale e materiale più di ciò che lo circondava. Schiere di nobili, da lui non così dissimili, con le armature tirate a lucido e le spade sguainate, che vomitavano saliva per vedere una goccia di sangue, anche una sola, bagnare la terra. Finti prelati, nobili anch’essi, senza Dio e senza spirito, appesantiti da oro ingordo e seta, che sentenziavano, privi di ritegno o pensiero, sulla vita di un uomo già morto.

“A morte il giudeo, a morte il mago”

L’urlo, pronunciato in dieci lingue diverse, gli rimbombava senza sosta nel cranio. Ed infine la povera gente di Gerusalemme. Sciami ignoti di creature indifese, trattate come animali, bastonate e macellate, intente a cercare conforto nella disgrazia altrui, o ad inorridirsi. E tra loro i preti accorsi da tutt’Europa: quelli veri. Vestiti di bianco, nero, sacco e stoffa. Con croci di legno e preghiere sincere. E la Chiesa intorno e dentro di loro. Tristano si chiese se mai, un giorno, il popolo avrebbe spezzato le sue catene. Se mai, un giorno, sarebbe stata Giustizia. Ma pensò che non fossero pensieri per gente come lui, quelli. D’altronde, era solo una spada nelle mani dei Grandi.

“Il sole sta sorgendo, e già troppi sono svegli: meglio andare”

E così, si incamminarono, sperando che la morte cogliesse il vecchio prima delle guardie. La città era bellissima. Sebbene fumi speziati ancora inondassero l’aria e scurissero il cielo, una calma innaturale abbracciava le mura, attraversando porte, finestre e corpi. E quelle prime ore del mattino passarono nel passeggiare, senza sforzo o fatica, per le ripide strade invisibili che circondavano la terra.

“Dove ci stiamo dirigendo?”

“Al Monte del Teschio”

“Dove?”

“Al Golgota, ma tu forse lo conoscerai col nome di Calvario”

“Per quale motivo?”

“Già ti è stato detto, non ricordi?”

“No”

Dannato al Flagetonte

Senza speranza alcuna

Se non del teschio il Monte

Avevi dimenticato le sue parole?”

“Non vi avevo prestato attenzione, rime e scioglilingua non sono mai state di mio interesse”

“Conosci la storia di Re Edipo?”

“Dovrei?”

“Vittima del fato, senza saperlo, uccise il padre, Laio, e violò la madre, Giocasta. Scoperti i suoi crimini, si cavò gli occhi”

“Una storia allegra…”

“No di certo. Condividi uno dei suoi crimini, Tristano”

E si ricordò, non capì come, della canzone della Morte, in ogni sua strofa, in ogni sua lettera. La ascoltò rimbombare nella sua testa per cento e cento volte, come un’eco che diveniva più forte ad ogni ripetizione. Da quel marasma di suoni e grida, urla e ricordi, emersero, però, chiari e distinti questi versi:

La vera e dura sorte

Di quanti al padre antico

Fe’ l’ore già più corte.

Fu breve Laomedonte,

Il peccato tuo ignoto

E forse, il suo più grande scudo, la sua eterna egida, era proprio l’ignorare, il trascurare. La verità delle sue tribolazioni gli era stata resa nota prima ancora dell’impresa. La verità era sempre stata lì, in piena vista, illuminata dal sole e nascosta dalla mente. “Breve Laomedonte”.

“Si dice che Laio sia una forma abbreviata di Laomedonte, Tristano”

Il Kohen sembrava leggergli i pensieri, sembrava cogliere ogni sua domanda, ogni suo quesito, prima che venisse formulato. E sorrideva con aria di padre, con un volto che ricordava una forma nota da principio e da un istante. Una forma familiare, e mai conosciuta. Una forma propria.

“Perché mi hai chiamato Tristano?”

Il vecchio tacque.

“Non ti ho mai detto il mio nome”

“Non è la prima volta che ti chiamo con il tuo nome. Come Edipo ti sei cavato gli occhi, ma non te ne sei accorto”

Il cavaliere, in quel momento, percepì quella piacevole ed inquietante sensazione che si ha quando viene fatta luce su una stanza buia, e tutti gli oggetti, che fino ad un momento prima erano a mala pena distinguibili dal nulla, diventano perfettamente riconoscibili. Il volto del Kohen era il volto del suo peccato ignoto. Non v’era dubbio alcuno. Manfredi di Agrigento era suo padre, il ché spiegava la convoluta coincidenza della concittadinanza. Ed il Kohen, a sua volta, era Manfredi di Agrigento.

“Tre personaggi in uno, tre aspetti in un’anima. La verità spesso risiede nella virtù inaspettata dell’identità”

Non riusciva a muovere il proprio corpo, o a scuotere la propria mente.

“Ho amato tua madre, Tristano, con ogni fibra di me stesso. La ho amata incondizionatamente, infinitamente, disperatamente. La ho amata al mattino, al meriggio, alla sera. La ho amata quando il freddo le riempiva i polmoni e quando il sudore le imperlava il collo. La ho amata nella stagione delle arance, e nel mare in tempesta. La ho amata ogni istante, ogni attimo della mia gioventù. E quando non ho più potuta amarla, perché era promessa ad un altro, ho preso l’abito che tu, solo poco tempo fa, hai conosciuto, e che ora nascondo sotto queste vesti. Tu sei ciò che di lei rimane. Tu sei il motivo per cui ho preso il largo da Agrigento, con la vecchiaia fin dentro le ossa, e ho raggiunto il centro del mondo. Conoscevo solo il nome tuo, Tristano, e gli occhi tuoi, uguali a quelli di tua madre. Eppure, ti ho trovato Tristano. In mezzo ad un mare di strage, intento a dispensare altra morte e sofferenza. Ho tentato di fermare la tua mano, di salvare la tua anima”

Il cavaliere era completamente immobile, con gli occhi purpurei e la gola contratta. Erano giunti al Calvario, e nemmeno se ne era accorto.

“E no, non sono vivo. Ho fatto un patto con la Morte. L’impresa, il mistero: tutta una farsa. Ho ricevuto un travestimento, e la possibilità di starti vicino per tre giorni, di redimerti”

“Confermo la versione vostro onore”

Apparve la morte, in forma umana stavolta, vestito con abiti mai visti ed uno strano cappio colorato al collo. Teneva delle lenti nere sugli occhi, ed un marchingegno luminoso e coperto di tasti nella mano destra.

“Non fate caso a come sono vestito. Si chiamano anacronismi. Tra qualche secolo scoprirete cosa sono. Perciò, come va la reunion padre-figlio? Ti vedo un po’ scosso Tristano. Bella botta eh? Posso capire. Vi rimane ancora un po’ di tempo assieme. Ora non so esattamente quanto. Questo scandaloso individuo è troppo pigro per rileggersi tutto il racconto e vedere quanti giorni siano passati. Dico a te, si, a te che scrivi: se non hai la scorza lascia perdere…”

Entrambi, lo spirito ed il cavaliere, erano abbastanza perplessi.

“Comunque, Manfredi, il prezzo che avevamo stabilito lo rammenti?”

“Si”

“Beh, lascia stare, questo giro è offerto dalla casa, ordini del Principale… E tu, Tristano, ricorda che sono sempre dietro l’angolo, ed il tempo per pentirsi, per redimersi, potrebbe finire da un momento all’altro… Au revoir!”

E sparì nel nulla, come era apparso. Tristano si tolse l’armatura, gettò via la spada, ed indossò un saio che era convenientemente posato proprio ad i suoi piedi. Legò stretta la corda.

“Vedo che non stai perdendo tempo”

E camminarono su e giù per il calvario, per ore, forse per giorni. Tristano sentiva il suo animo alleggerito, reso intangibile come l’aria. Un sorriso sincero in volto, e la volontà di pagare il male passato col bene futuro. E parlò con suo padre, e suo padre parlò con lui. Parlarono del tempo, delle querce, degli aranci. Parlarono, parlarono, parlarono. Si accorse di essere solo un personaggio di un racconto affrettato, una pedina di un giullare annoiato. Si accorse di essere un attimo in vite centenarie, qualche foglio di carta in volumi infiniti. Si accorse che tutti siamo bozzetti in storie altre, e marmi in storie nostre. Scoprì, insomma, la verità dell’argilla.

Tancredi Bendicenti

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