“Tu ‘o vuo’ sape’ qual è ‘o segreto per sta buono nella vita?”
“Eh”
“’A palestra”
(Padre Gabrielli e Biascica)
Oggi mi impegno, mi imbarco, in un’impresa impossibile, improbabile, improponibile:
amalgamare
Hegel con Boris. A tutti coloro che me lo hanno cercato di impedire, io dico:
“Avete fatto bene, ma avete fallito”. Ma cosa hanno in comune una serie TV sulla
TV italiana ed il padre della filosofia contemporanea (mi scuso in anticipo per
le ampissime generalizzazioni, ma sono rese necessarie da forma e contesto di
questo articolo)? La risposta naturale, ed inoltre corretta, è “poco o niente”.
Ed è una risposta che sarebbe meglio accogliere di buon grado, senza sprecare
ulteriori e preziosi istanti in un’indagine al massimo assurda, al minimo
demenziale. Eppure, io, qui, non mi posso arrestare: devo andare oltre (“verso
l’infinito e oltre”: direbbero Buzz Lightyear o Stanley Kubrick: dipende dai
riferimenti culturali). Lavoriamo, perciò, su quel “poco” (che, comunque,
ancora niente non è). La nuova soluzione, la mia soluzione (quella sbagliata)
è: la dialettica, ossia il procedere triadico del pensiero e delle cose. Cos’è
la storia di Boris, infatti, se non la riaffermazione di un’affermazione negata?
Renè Ferretti è un regista sconfitto, che si è arreso a fare TV spazzatura.
“Gli occhi del cuore” è il peggio che ci sia in circolazione: lui ne è
consapevole. Da tale insoddisfazione, però, Renè trae la forza necessaria per
cambiare. L’obiettivo è uno: qualità. Attraverso Medical Dimension, il soggetto
esce da sé, e trapassa nel suo opposto: il regista arreso si fa regista
impegnato. Eppure, lo stesso Medical Dimension, non completa la sua persona. Il lavoro del servo non è capace di emancipare lo stesso dalla propria
condizione. Egli è insoddisfatto sia dalla sola non-qualità, sia dalla sola
qualità. Ed è ora che interviene l’aufheben, il superamento, la tesaurizzazione:
dopo il fallimento di “Medical Dimension” (di cui qui non svelerò i
particolari), Renè è finalmente capace di emanciparsi, attraverso l’opera delle
sue mani e del suo intelletto, dalla limitatezza della sua condizione. Il
regista, con “Gli occhi del cuore 3”, riafferma il postulato della non-qualità,
eppure, contemporaneamente, ne elimina le debolezze: la svogliatezza diviene
gioiosa voglia di essere svogliati; impera la locura. Renè, e con esso lo
spettatore, raggiunge finalmente l’autocoscienza. Sono pienamente consapevole del fatto che una
piccola percentuale dei lettori abbia visto Boris, una percentuale ancora
minore abbia studiato Hegel, ed una percentuale infinitesimale abbia compreso
pienamente l’uno o l’altro (soprattutto i misteri gnostici celati nel primo).
Confido che queste parole siano state buttate al vento, sentenze inudite di
Zarathustra. Eppure, forse, qualcuno riuscirà ad atterrarle mentre sono ancora
in aria, come una quaglia della festa del Grazie.
Tancredi Bendicenti
Del "si stava meglio quando si stava peggio" e del "peggio" di oggi che è sempre "meglio" del "peggio" di ieri. Forse.
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