mercoledì 17 febbraio 2021

Il caso Navalny


 

L’avvelenamento

    La mattina del 20 agosto 2020 Aleksej Navalny rischiò di morire a causa di un avvelenamento presumibilmente da parte dei

servizi segreti russi.

Quel giorno, Alex Navalny era diretto verso Mosca dopo aver presenziato ad una campagna elettorale in Siberia. Stando a quanto affermato da Kira Yarmysh, portavoce di Navalny, la vittima dell’avvelenamento non aveva mangiato niente, aveva solo consumato un tè acquistato all’aeroporto di Tomsk. Poche ore dopo, il leader del partito “Russia del Futuro” avvertì un senso di malessere seguito dalla perdita di conoscenza. Il pilota dell’aereo di linea cambiò prontamente direzione, dirigendosi verso l’aeroporto di Omsk, dove Navalny fu prelevato e trasportato all’ospedale n°1 della città. I medici confermarono che era entrato in coma e che era stato collegato a un ventilatore. Il 21 agosto, in seguito alla richiesta da parte della famiglia della vittima alla cancelliera Angela Merkel e al presidente Emmanuel Macron, Navalny fu trasferito all’ospedale della Charité di Berlino, nonostante il tentativo di blocco dell’operazione da parte delle autorità russe. Nei giorni successivi è stata confermata l’ipotesi di avvelenamento da Navichok, un agente nervino utilizzato nel 2018 per avvelenare l’ex spia russa Sergej Skriplal.

Il 14 dicembre 2020 fu pubblicata un’indagine congiunta di Bellingcat, CNN, The insider e Der Spiegel i quali, in  seguito a delle indagini incrociate con tabulati telefonici, furono in grado di affermare che il leader del partito “anti-Putin” era stato avvelenato dai servizi segreti russi. Lo stesso giorno, Aleksej Navalny chiamò personalmente Konstantin Kudryavtsev, membro del FSB (servizi segreti russi), affermando di essere un aiutante  Nikolai Patrushev (segretario del consiglio di sicurezza), chiedendogli i motivi per i quali l’ omicidio non fosse stato portato a termine. Dalla telefonata, di 49 minuti, emerse che se il pilota non avesse virato verso Omsk e se la vittima non fosse stata trattata in modo così professionale dai medici, il veleno si sarebbe sicuramente assorbito nel corpo in seguito al sudore con la conseguente morte di Navalny.

Dopo la telefonata, il “paziente della clinica di Berlino”, come Putin lo definirà, pubblicò un tweet affermando che il caso era chiuso.

Ovviamente, nei giorni successivi seguì  la smentita dei servizi segreti, i quali affermarono che la telefonata era un falso e che era stata pianificata con l’appoggio di servizi segreti stranieri.

Il servizio sostiene, inoltre, che Navalny era tenuto d’occhio dall’intelligence russa da circa tre anni durante i quali fu seguito in qualsiasi movimento da alcune spie, di cui si hanno anche le foto. La vittima accusa formalmente il presidente Vladimir Putin di aver architettato l’intera operazione; sostenendo inoltre di aver presentato due denunce al Comitato Investigativo, tre al Ministero dell’Interno e una all’FSB, con richiesta di accusa per tentato omicidio, danni gravi alla salute e uso  di armi chimiche. Risposta negativa da tutte e tre le parti. Inoltre, pare che Putin avesse confermato che la procura stava già indagando sull’accaduto, per poi scoprire che non stava andando così in seguito alle informazioni fornite dai rappresentanti della procura stessa.

Ma veniamo alla risposta di Putin. Il presidente russo, definisce le accuse di Navalny “ridicole”, aggiungendo che se avessero voluto avvelenarlo, avrebbero portato a termine il lavoro. Putin afferma, inoltre, che Navalny è appoggiato dall’intelligence americana e che per questo motivo deve essere monitorato dai servizi segreti russi, tuttavia ciò non significa che sia stato avvelenato.

Nonostante l’accaduto, Navalny è intenzionato a tornare a Mosca.


Ritorno in Patria

   Il 17 gennaio 2021 dopo un periodo di 5 mesi di permanenza in Germania, Navalny fece ritorno a Mosca. Da premettere che nei giorni precedenti, in seguito alla notizia del suo ritorno, il servizio penitenziario russo aveva già annunciato che sarebbe stato “costretto” ad arrestarlo, in quanto, durante i mesi in cui è rimasto in Germania, ha violato i termini di libertà vigilata emessi dalla Corte superiore di Mosca  in merito al caso Yves Rocher risalente al 30 dicembre 2014 e riguardante un’accusa di appropriazione indebita pari a quasi 4 milioni di euro. Navalny era ufficialmente ricercato dal 29 dicembre 2020.

Il principale oppositore di Putin esorta i suoi sostenitori ad incontrarlo all’aeroporto il giorno del suo arrivo, ma le autorità decidono di mandare in fumo i suoi piani annunciando che non sarebbero state tollerate manifestazioni di alcun tipo.

Navalny atterrò a Mosca alle ore 19.20 per poi essere arrestato e condannato a 30 giorni di detenzione seguiti da 3 anni di prigione effettiva. L’arresto è stato accompagnato da agenti di polizia in mimetica e caschi antisommossa per arrestare sostenitori e simpatizzanti.

 

Dalle reazioni al processo

 Le reazioni della comunità internazionale sono state immediate. Ursula Von Der Leyen, tramite un Tweet, ha esortato le autorità russe a rilasciare immediatamente Navalny e a garantire la sua sicurezza. Anche il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha definito “inaccettabile” l’azione politica ai danni dell’oppositore di Putin, mentre la Lituania ha proposto di varare sanzioni contro Mosca. Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ritiene l’arresto “totalmente incomprensibile”, l’italiano Luigi di Maio e il francese Jean-Yves Le Drian hanno chiesto il rilascio immediato.

Impossibile non nominare l’intervento di Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che durante l’incontro a Bruxelles, ha aperto la seduta sottolineando le proprie preoccupazioni in merito all’arresto di Alex Navalny al suo ritorno a Mosca, ringraziando le autorità tedesche per averlo curato. Ha inoltre specificato la gravità che sta nella violazione dei diritti umani della vittima.

Il “colpevole” è comparso durante l’udienza di convalida dell’estensione del periodo di prigionia, a quanto ne sappiamo, tenuta alla stazione di polizia dove era stato portato dopo il suo arrivo a Mosca.

Anche a causa di questo evento, Navalny, commentando il processo per direttissima in un video, avrebbe “stuzzicato” Putin, chiamandolo “Nonno-Putin” e affermando che in quel momento era probabilmente nel suo bunker e che aveva così paura di ciò che stava succedendo da modificare il sistema processuale russo, una sorta di “trattamento speciale”.

È stata bloccata ogni forma di comunicazione tra lui e i suoi legali. Non gli è stato concesso di vederli, né di sentirli telefonicamente. Gli avvocati sono stati informati della data dell’udienza il giorno stesso, impedendogli così di prepararsi adeguatamente sul caso.

Aleksej Navalny è stato privato del diritto alla difesa dal suo stesso Paese.

Migliaia di persone sono scese in piazza a protestare contro l’arresto di Navalny, otre 5000 gli arresti eseguiti nelle 300 città che si sono ribellate. Di questi, solo a Mosca 1616 dovuti, secondo l’agenzia statale, ai numerosi attacchi nei confronti delle forze dell’ordine da parte dei manifestanti. Scontri anche a San Pietroburgo, dove la polizia è stata accusata  di aver utilizzato gas lacrimogeni. Fermata Yulia Navalnaya, moglie del nemico del Cremlino, portata al dipartimento di polizia e rilasciata dopo il verbale.

Il Cremlino ha inoltre convocato i responsabili dei social network, da Facebook a TikTok, affinchè oscurassero il contenuto dei messaggi che incitavano a partecipare alle manifestazinoni.

In seguito agli arresti, sia di Navalny che dei manifestanti, anche il segretario di Stato Usa ha sottolineato il proprio dissenso condannando la violenza esercitata dalle autorità russe nei confronti di manifestanti pacifici e giornalisti, invitando nuovamente il Cremlino a rilasciare i detenuti nel rispetto dei loro diritti umani. Mosca ha prontamente contrattaccato, il ministro degli Esteri  ha invitato gli Stati Uniti a porre fine alla loro intrusione negli affari interni, sostenendo inoltre che le manifestazioni siano state in realtà orchestrate da Washington.

Anche l’Alto commissario dell’ Onu, Michelle Bachelet, ha richiesto il rilascio immediato nel rispetto de suoi diritti. In questo clima di caos, Serghei Lavrov, ministro degli esteri russo, ha commentato le sollecitazioni da parte degli altri paesi, ritenendo che “l’Occidente” stia solo cercando di trovare un modo per distogliere l’attenzione dalla “profonda crisi” in cui versa “il modello liberale”.

Rottura dei legami diplomatici

 Questa situazione ha portato a una certo astio nei rapporti tra l’UE e la Russia. Secondo Josep Borrell, l’Alto rappresentante della UE, ciò è dovuto anche a causa del caso Navalny. Al contrario, secondo Serghej Lavrov, il ministro degli esteri, le relazioni con l’Unione Europea sono dovute all’inaffidabilità di essa, riferendosi alle sanzioni lanciate negli ultimi anni da Bruxelles verso la Russia. Borrell è atterrato a Mosca il 4 febbraio, il dialogo tra i due è stato “aperto, franco e intenso”, in altre parole, totalmente in disaccordo.

Borrell ha avanzato la richiesta da parte dei 27 governi europei di rilasciare Aleksej Navalny e i suoi sostenitori. Come previsto, Levrov ha respinto la proposta. Borrell ha cercato di risollevare la situazione, sottolineando la necessità di mantenere un dialogo con la Russia, in quanto essa ricompre un ruolo importante in diversi ambiti di interesse europeo.

In questo scenario, si aggiunge la decisione di espellere tre diplomatici di Germania, Polonia e Svezia. Mosca giustifica l’intervento sostenendo che i tre Stati hanno contribuito alle manifestazioni del 23 gennaio per Navalny, considerate “illegali”, dunque “in conformità con la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961” sono stati dichiarati personae non gratae.

Lavrov ha affermato che la  Russia costruisce la sua vita basandosi sull’inaffidabilità dei partner europei, o almeno in questa fase. Ha fatto inoltre riferimento a delle possibili sanzioni da parte dell’UE mosse dagli stessi partner europei, i quali si sarebbero fatti influenzare dai pregiudizi nei confronti di Putin senza nessuna “base legittima”.

Borrell ha sottolineato che attualmente l’UE non ha preso alcun tipo di decisione in merito, per quanto nelle settimane precedenti i ministri degli Esteri degli Stati dell’Unione abbiano discusso un’enorme quantità di sanzioni nei confronti della Russia. Angela Merkel, nonostante la sua posizione accusatoria nei confronti di Putin mantenuta nei mesi precedenti, ha spinto i partner a rinviare l’incontro a marzo, nella speranza che la situazione di sblocchi prima, anche per evitare la rottura dell’accordo per il Nord Stream 2.

Durante la sua visita a Mosca, Borrell ha dovuto rinunciare alla richiesta di visitare Navalny dopo la risposta di Lavrov di rivolgersi alla Corte, la procedura avrebbe richiesto molto tempo.

Borrell ha inoltre augurato agli “amici” russi l’approvazione da parte dell’Ema (Agenzia europea del farmaco) del vaccino Sputnik per l’Europa; nonostante la Russia non abbia ancora fatto richiesta per l’avvio della rolling review – ovvero  la prima fase della procedura – che non può essere attuata in meno di due mesi.

Al suo ritorno Borrell ha dovuto fronteggiare l’ira di settori dell’Europarlamento. Alcuni deputati hanno richiesto le sue dimissioni, accusandolo di essere stato cedevole verso Serghej Lavrov e che avrebbe dovuto difendere l’Unione Europea con più decisione. Borrell si è difeso sottolineando che la discussione si è scaldata nel momento in cui ha chiesto di vedere Navalny, tuttavia, la Commissione europea ha confermato la fiducia della presidente Ursula von der Leyen a Borrell, ritenendo il viaggio a Mosca “necessario” sebbene fosse “un incontro difficile”.

La risposta dell’Unione Europea di fronte all’espulsione dei suoi diplomatici, è stata quella di espellere a sua volta tre diplomatici russi; la Germania si è appellata “all’articolo 9 della Costituzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961” in seguito all’allontanamento del diplomatico tedesco che secondo i russi aveva partecipato in maniera violenta alle manifestazioni quando in realtà era presente solo per “informarsi sullo sviluppo degli eventi con mezzi legali”.

Mosca ha risposto affermando che si tratta di decisioni prive di fondamento che si aggiungono alla lunga serie di azioni dell’Occidente contro la Russia, ritenute un’interferenza negli affari interni.

Nei giorni successivi le cose non sono esattamente migliorate. Il ministro degli Esteri russo ha alzato i toni minacciando di rompere i legami con l’UE qualora si dovessero verificare ulteriori sanzioni nei confronti della Russia. “L’obiettivo non è quello di isolarsi dalla vita globale, ma dobbiamo essere pronti. Se vuoi la pace, devi prepararti alla guerra” afferma Lavrov.

Indubbiamente, tali affermazioni hanno sconcertato i partner europei, in particolare la Germania, paese più interessato al gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2.

Intanto da Mosca il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha cercato di attenuare la tensione. Si tratta di un fraintendimento, le parole del ministro degli Esteri sono state estrapolate dal contesto e divulgate senza il consenso del ministero e senza aspettare la diffusione integrale dell’intervista. Peskov ha sottolineato che Mosca non intende rompere i legami con l’Unione Europea, sostenendo, tuttavia, che bisogna essere preparati in caso si verifichino “sviluppi insensati”.

Le forze in campo non sono soltanto la Russia e il mercato europeo, in questa situazione saranno decisive le scelte del nuovo presidente americano Joe Biden che il 19 febbraio terrà  la grande conferenza di Monaco sulla Sicurezza, al fianco di Angela Merkel, in cui si discuterà sul tema del rafforzamento de legami transatlantici.

Non possiamo fare altro che attendere nuovi sviluppi.


Samuele Oliveti

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