Siete mai stati sull’Altopiano del Carso, magari in autunno, quando il “sommacco”, arbusto dal fascino mediorientale, ammanta di rosso le alture privandole della loro spigolosa natura?
Se l’avete fatto avrete certamente cercato le “osmize”(l’alternativa friulana alle “fraschette” dei nostri Castelli Romani) alla ricerca di un bicchiere di “Tocai”. Sarete stati colpiti dalla bellezza selvaggia che sovrasta il blu profondo del Golfo di Trieste, avamposto a est del nostro paese. E esplorando quei posti vi sarete imbattuti in qualche cartello che indica “Basovizza”. Allora, forse, il cuore vi sarà saltato in gola, coscienti del fatto che quei luoghi, solo settanta anni fà, furono teatro di uno dei più orrendi genocidi della storia del XX secolo, testimoni della pulizia etnica delle truppe titine nei confronti degli Italiani dell’Istria, colpevoli di non voler lasciare quelle terre, la loro casa, e non voler diventare parte della neonata repubblica di Jugoslavia.Oggi, 10 febbraio, si celebra il “Giorno del Ricordo”, istituito per mantenere saldi nella memoria collettiva quei fatti che per molti anni tutti hanno voluto dimenticare. A Trieste, nel “magazzino 18” del porto vecchio, citato nello spettacolo di Simone Cristicchi, si trovano ammassati mobili, masserizie e oggetti personali che gli esuli, che si imbarcavano in fretta e furia sulle navi che li avrebbero portati in un “non dove”, un luogo sconosciuto in cambio della salvezza, lasciavano con la vana speranza di poterli un giorno recuperare. Oggi il “magazzino 18” è un percorso museale della civiltà istriana, fiumana e dalmata a testimonianza dello strazio, della desolazione, della solitudine, del terrore di chi fu costretto a tagliare il cordone ombelicale con la propria terra, con i propri cari rimasti per forza, per impossibilità di partire o per coraggio e che, nella maggior parte dei casi, sarebbero “scomparsi” di lì a poco, inghiottiti dalle montagne, cancellati dalla terra per il loro rifiuto.
Questa pagina dimenticata della nostra storia è la conseguenza del “Trattato di Pace” di Parigi del 1947; pace che venne identificata da chi lo ratificò, in una semplice linea di demarcazione che rappresentò però una lacerazione profonda nella vita di uomini, donne, bambini e ragazzi che erano certi di essere italiani di Istria e Dalmazia e poi si accorsero, semplicemente, di “non essere più”.
“Esilio”, così si intitola uno splendido libro di Enzo Bettiza, uomo diviso tra le radici italiane del padre e il sangue slavo della madre, che vive nella dicotomia della propria famiglia il dramma di un intero popolo, degli esuli istriani che sono partiti per i quattro angoli del mondo in una diaspora silenziosa.
Vi è mai capitato di camminare per le stradine sconnesse del quartiere giuliano-dalmata, alla periferia dell’Eur, e sentire la “cantilena” del dialetto triestino che viene parlato dalle persone anziane che vennero scaraventate qui da piccole, loro malgrado e con le loro famiglie, in un dedalo di palazzine tutte uguali, senza cuore, senza vita, senza identità? Nel loro accento rimane una traccia non scritta del grido di dolore di quegli esuli. Chi ha soggiornato nell’albergo Italia di Gorizia solo qualche decina di anni fa racconta la sensazione di gelo nel vedere la stella rossa che campeggiava sul tetto della stazione e sulla recinzione che rappresentava la linea di confine sorvegliata dai soldati iugoslavi. Quella vista rendeva chiaro cosa era successo in quel lembo dimenticato di Italia, le cui ferite non si sono ancora rimarginate.
Lo studio della storia non dovrebbe essere mutilato dal ricordo di avvenimenti che videro come protagonisti i nostri nonni, ed è per questo che è civile , etico e doveroso celebrare un “Giorno del Ricordo” sui massacri delle foibe e sull’esodo giuliano-dalmata. Le immagini dei corpi avvolti nei sudari che vengono issati con le carrucole dal profondo dei pozzi delle foibe, sono l’altra metà del male assoluto rispetto ai cadaveri prodotti dallo sterminio nazista. Sono Cristi immolati sull’altare della folle supremazia, della violenza insensata. E tutti meritano rispetto, pietà e restituzione della loro dignità di esseri umani violati. Non dimenticare questo eccidio, così vicino a noi nel tempo e nello spazio e così prossimo a quello che lo aveva preceduto, ci dovrebbe aiutare a capire l’orrore che deriva dagli ideologismi suprematisti, dallo scontro tra le ragioni dei popoli, dalla follia degli accordi geopolitici che disegnano coloratissime linee sulle mappe e generano odio etnico, violenza e morte. Solo una giusta critica storica può alleviare le ferite imposte dalla insensatezza delle decisioni degli uomini, perché, come dice de Gregori, “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”.
Giacomo Di Maria
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