Una racconto per ricordare l'eccidio delle fosse ardeatine del 24 marzo 1944
Sono bionde le spighe in Baviera, e danzano e volteggiano nel vento.
Sono allegre le notti in Baviera, e incorniciano sorrisi e sospiri. Il soldato semplice Friedrich era un ragazzo giovane, ben piazzato, alto quasi due metri e con due guance rosse e piene. In paese si diceva che un giorno sarebbe stato il più grande bevitore nel giro di cento miglia. Mandava giù pinte su pinte, una dopo l'altra, riempite fino all'orlo: quasi non respirasse.Trink
Trink
Trink
La compagnia gridava, e rideva, rideva, rideva... Il vecchio Johann, con la sua camicia stretta e i suoi baffoni lisci, tutto pancia e poca testa, rosso come una bandiera, era quello che urlava più forte. Bevi, ché la vita dura poco. Bevi, ché gli aerei già volano nel cielo. Era un tipo strano il vecchio Johann. Un socialista, dicevano. Ma troppo anziano e ubriaco per fare problemi. Si parlavano spesso loro due, dopo le bevute, nelle albe grigie dell'inverno, quando la notte lasciava spazio alla luce, quando tutti se ne erano andati dalle taverne. Camminavano per i sentieri battuti solo dalle mandrie, inciampando in ciottoli e allucinazioni, inondando l'aria di parole alcoliche. Non dicevano mai niente di importante, ma andava bene così. Chissà che fine aveva fatto... Sperava non fosse morto.
L'addestramento era stato affrettato. Gli avevano messo in mano un fucile tra le mani, lo avevano spedito al fronte. Forte era la fiducia nel talento, tutto tedesco, di eseguire ordini. Ma di guerra Friedrich non aveva mai sentito parlare, la svastica non la aveva capita, il saluto lo faceva solo per non avere scocciature. Le sigarette razionate facevano schifo, ed il rancio era lontano dai pasti veraci di sua madre. Ma se doveva marciare, marciava, se doveva sparare, sparava. Si era fatto un amico, nel reparto. Uno del nord, di Berlino, tutto impettito e preciso, un soldatino prussiano. Albert. Come lui, era di stanza a Roma. Che città, e che donne! Neanche la guerra aveva scalfito lo splendore delle chiese e delle rovine. Friedrich di arte non ne capiva niente. Albert sì, invece: la studiava, su, in Germania. E tra una pattuglia e l'altra gli raccontava la storia dei palazzi, delle fontane, delle statue che si ritrovavano mangiaformaggio davanti agli occhi, camminando.
Seguiva poco, i suoi discorsi. Sei solo un bifolco, diceva, un bifolco con la zucca vuota.
Albert era morto il giorno prima, in un attentato.
Maledetti.
Ora Friedrich stava su una camionetta, diretto verso la campagna. Un'operazione su larga scala. Molti i prigionieri. Poche le voci. Arrivarono ad una cava. Entrò nel buio delle grotte, accompagnato da un tenente. Si sentivano i colpi, la puzza di sangue e polvere. In mano gli avevano messo una pistola. Una luger tutta lucida. Giunti alla fine del corridoio roccioso, illuminato da una torcia, aspettava in ginocchio un condannato. Segnato dalla tortura, giovane, con due baffi da avvocato.
Schieß
Schieß
Schieß
L'arma era puntata. Ma le dita gli si erano congelate. Un solo colpo alla nuca. Uno solo: non sente niente. Che ti importa. A casa ti aspettano le spighe bionde, e la birra, e il vecchio Johann con la sua faccia da ubriacone, e le albe grigie. Un proiettile non cambierà nulla. Hai già ucciso. Un proiettile non ti cambierà. Dai, su, spara. Trasmetti l'ordine attraverso i tuoi nervi. Falli obbedire. Sei maestro del tuo corpo, padrone delle tue azioni. Che aspetti? C'è una tabella di marcia da rispettare. Bevi, ché gli aerei già volano nel cielo. Bevi, ché non c'è tempo per essere sobri. Spara. E quello, in ginocchio, cantava una canzone.
È rossa la polvere a Roma, e non si alza perché è fango. Sono nere le notti a Roma: amore, papà a casa non tornerà.
Tancredi Bendicenti
Bravo Tancredi
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