giovedì 11 marzo 2021

Jishuku



 Da quando la pandemia è cominciata, il mondo è cambiato. Tuttavia la situazione non è la stessa in tutto il

globo: in Italia, dopo esattamente un anno dall’annuncio del primo lockdown totale, gli avvenimenti verificatisi sono ben noti. In altri luoghi del mondo, le circostanze sono meno chiare. Il Giappone è stato ad esempio inizialmente colpito duramente dall’epidemia. Successivamente ha avuto una notevole ripresa, facendo uscire ben sei prefetture dallo stato di emergenza. Il paese del sol levante, infatti, ad oggi registra 400 mila casi e 7000 decessi circa: in totale! (con l’ultimo picco di 6000 casi quotidiani avvenuto a Gennaio). Ovviamente sorge spontaneo il dubbio: “ma la Corea del Sud, non ha avuto meno casi in tutto?”. La risposta è sì ma, la metodologia è diversa. Il Giappone, in oltre 365 giorni di pandemia, a differenza della Corea e di tanti altri stati nel mondo, non ha mai fatto alcun lockdown, né obbligato i cittadini ad installare delle applicazioni per il tracciamento dei positivi. Ciò è stato possibile grazie a due fattori fondamentali: l’aggiunta di qualche norma igienico-sanitaria (le quali obbligatoriamente sono state imposte alle altre nazioni) e la chiusura preventiva di zone pubbliche ad alto rischio. Quest’ultima, non effettuata dall’Italia che, durante i primi tempi non vedeva il covid come un rischio, è stata determinante per arginare la prima ondata di contagi del virus, avvenuta agli inizi del 2020. Inoltre, grazie a tali mosse strategiche, il Giappone ha avuto il maggior incremento del Pil in ben 40 anni! Ma come è stato possibile tutto questo? Grazie all’enorme potere di autocontrollo (jishuku nella loro lingua) dei nipponici. In primis, da novembre 2019, nessuna attività nipponica si è mai interrotta completamente, anticipando solamente gli orari a seconda delle necessità. Le uniche zone bloccate della nazione erano quelle nominate scherzosamente: “luoghi 3 C” (Closed Space, Crowded Place e Close-contact Setting). Questi ultimi però, sono stati chiusi solo in quanto luoghi pubblici. Infatti, grazie al virtuale, buona parte delle attività con strutture chiuse, sono andate avanti quasi imperterrite. In questo periodo il governo giapponese sta promuovendo la digitalizzazione di gran parte della società la quale, grazie ad una ligia mentalità, è sottoposta ad un severo tracciamento dei contagi. Un altro elemento che favorisce il rispetto delle norme è la diffusa abitudine ad indossare la mascherina. Non sarebbere raro, recandosi d’inverno in Giappone, trovare persone con mascherine chirurgiche o FFP2. Questo per prevenire, o più comunemente per evitare di trasmettere, eventuali raffreddori e febbri da fieno. D’altro canto in Italia, essendo la cultura della mascherina completamente assente, coloro che la indossano sono definiti ipocondriaci. In Giappone, inoltre, determinate abitudini considerate insolite in altri paesi, sono fortemente radicate nella cultura nipponica. Per esempio evitare il contatto fisico per salutarsi oppure levarsi le scarpe prima di entrare in casa. Probabilmente un altro punto a favore del paese del sol levante è che aveva già sperimentato una situazione analoga, durante il disastro nucleare di Fukushima. Quest’ultimo, anche se incredibilmente più dannoso, è stato arginato in soli 10 giorni. Ultimo elemento, ma non per importanza, è l’efficienza delle infrastrutture sanitarie del Giappone. Quest’ultime erano sempre disposte di posti letto liberi e, addirittura, strutture ad hoc per il contenimento di eventuali contagi. In più una politica di sensibilizzazione al rispetto delle norme, definite dall’ex ministro giapponese Shinzo Abe: “così comprensibili che anche i bambini sanno di evitare certe cose”, ha garantito un numero di contagi e decessi molto basso. Inoltre, come menzionato all’inizio dell’articolo, la rimozione dello stato di emergenza nelle prefetture di Osaka, Kyoto, Hyogo, Aichi, Gifu e Fukuoka le quali hanno avuto un calo così basso che, il 22 febbraio, si sono registrati soltanto 77 casi suddivisi tra le 6 regioni!

Alessio Racioppi

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