lunedì 15 marzo 2021

QUANDO NEL CINEMA LA SCIENZA CONTRIBUISCE A RENDERE LA FANTASCIENZA UN CAPOLAVORO (con qualche “licenza” interpretativa)…

 



In questo articolo proveremo a ragionare sulla “accuratezza” dei film fantascientifici. Quanta precisione c’è

nell’applicare le leggi della scienza e quanto, invece, le lecite “divagazioni” da esse contribuiscono a stigmatizzare queste pellicole solo come delle grandi “fantafavole”?

Per farlo analizzeremo il capostipite della saga più famosa del genere, Star Wars, che quarantadue anni fa è sbarcato nelle sale cinematografiche di mezzo mondo suscitando commenti mediocri da parte dalla critica e, al contrario, un entusiasmo sfrenato da parte del pubblico.

George Lucas, il visionario regista che ha firmato la pellicola e ha collezionato con essa un numero notevole di premi Oscar, volle partire proprio da solide basi scientifiche; durante la stesura della sceneggiatura e dei copioni, già all’inizio degli anni settanta, radunò nel suo “Skywalker Ranch” un grande team di docenti ed esperti di argomenti, che spaziavano dalla astronomia alla fisica, alla scienza del volo, perché voleva che la sua storia fosse credibile e che desse al pubblico la sensazione di trovarsi a proprio agio nelle ambientazioni, pur se immersi in una narrazione che si svolge in un futuro lontano. Per ambientare la storia in una galassia ancora sconosciuta, Lucas e il suo staff arrivarono a studiare intensamente le teorie formulate da Albert Einstein.

Il suo obiettivo era chiaro: non voleva realizzare una fiaba in cui oggetti irreali si muovevano in mondi irreali e impossibili, ma voleva spingersi a immaginare oggetti che un giorno la scienza avrebbe realizzato e mondi che sarebbero stati magari scoperti. Lucas insomma voleva proporre una nuova idea di fantascienza.

Tutto questo ambizioso progetto traeva nutrimento dai traguardi che le esplorazioni spaziali made in USA avevano da pochissimi anni raggiunto: nel 1969 l’Apollo 11 era allunato sul nostro satellite.

Facciamo degli esempi:

per le riprese (sbalorditive per l’epoca), ingaggiò squadre intere di professionisti che inventarono di sana pianta macchinari e programmi che anticiparono di parecchi anni le tecniche oggi normalmente utilizzate. Misero a punto un innovato sistema di ripresa che utilizzava la computergrafica, il primo nella storia del cinema, nel quale vennero impiegati circuiti integrati in grado di compiere rotazioni su sette assi di ripresa interamente controllati dal computer e che vennero sfruttati per buona parte delle sequenze, soprattutto per quelle dei combattimenti tra i caccia interstellari;

 i modelli delle astronavi, le modalità del loro volo, la loro aerodinamica, le manovre possibili, erano ispirate e tarate su quelle degli aeromobili militari esistenti all’epoca: il possente B52  era l’alter ego reale del Millennium Falcon, la nave da carico, e i caccia interstellari si muovevano secondo le tecniche utilizzate dai Phantom F-4  che avevano sorvolato i cieli del Vietnam;

i droidi D-3BO e C1-P8 anticiparono gli “androidi” moderni, gli automi con sembianze umane sui quali tanto sta lavorando l’ingegneria robotica, soprattutto orientale;

l’ologramma per mezzo del quale la principessa Leila (o Leia nella versione originale del film) si palesa al Luke Skywalker, e che all’epoca sembrava il frutto di un incantesimo, è una tecnica di proiezione fotografica ottenuta per mezzo di un laser che oggi viene comunemente utilizzata ed è stata sfruttata anche recentissimamente in una puntata del festival di San Remo per “palesare” l’immagine di Vincenzo Mollica che interloquiva con Amadeus da un balconcino; 

la propulsione dei mezzi di trasporto del film non prevedevano più l’uso dei derivati del petrolio, ma combustibili “altri”.

Quindi, tutto sommato, Star Wars fu un indiscutibile concentrato di visioni profetiche sul futuro che facevano fondamento su basi scientifiche solide.

Tuttavia, col senno di poi, è inevitabile notare che, vuoi per non completa preparazione, vuoi per distrazione, vuoi per prendersi qualche “licenza”, molti furono gli errori grossolani che Lucas infilò nella pellicola. Vediamone qualcuno che sia oggi come allora suona come un affronto alle leggi della fisica:

le spade laser: armi letali che non potrebbero esistere nella realtà così come sono raffigurate. Un raggio laser, infatti, è visibile nell’aria solo se attraversa fumi, corpuscoli o polveri. Quando un  raggio laser incontra una superficie solida, allora, diviene percepibile alla vista. È impossibile, quindi, le spade di Star Wars fossero così definite e omogenee nel colore; 

le navi spaziali che esplodono trasformandosi in palle di fuoco: una fiamma ha bisogno di essere alimentata dall’ossigeno; quindi è impossibile che si crei un incendio in assenza di una atmosfera che, come noto, è assente nello spazio;

i suoni: per la stessa ragione è impossibile che i suoni si propaghino nel vuoto del cosmo. Le onde sonore hanno bisogno anch’esse di un elemento nel quale espandersi. I rumori emessi dalle astronavi che sfrecciano nello spazio sono così impossibili;

l’ambiente interno alle navi spaziali: la vita descritta da Lucas è più simile a quella a bordo di un B747, il Jumbo Jet che negli anni ’70 era il gioiello dell’aviazione civile, che quella di Armstrong, Aldrin e Collins all’interno dell’Apollo 11. Gli ambienti sono pressurizzati, nessuno utilizza tute protettive, non fluttuano nell’aria come siamo oggi abituati a vedere quando ci arrivano le immagini di Samantha Cristoforetti, Luca Parmitano o Paolo Nespoli all’interno della ISS.

Insomma, a voler cercare il pelo nell’uovo tantissime sarebbero le critiche da poter fare a questa pellicola (come ad altre non solo della stessa saga, ma dell’intero genere) per accodarci alla pletora dei tanti che, appena uscito, bollarono il film come appartenente al genere della favolistica dozzinale priva di contenuti scientifici, morali e meno che mai riferimenti letterari.

Ma è questo che vogliamo? È questo che il “genere fantascientifico” dovrebbe essere? La composizione della parola stessa ci porta verso altri intenti da parte di chi produce questo tipo di pellicole e altre aspettative da parte di chi ama il genere. La fantascienza gioca su elementi al limite del reale  e oltre il reale stesso per trasportare lo spettatore in un mondo di fiaba a lui vicino nel senso etico ma contemporaneamente lontano nel tempo, in un futuro che deve ancora venire. E a suo modo, il genere vuole comunque essere in parte poetico. Nella saga di Star Wars si parla di dame e cavalieri, del bene contrapposto al male, di eroi che si oppongono alla barbarie della dittatura. Tutto sommato, perché volerci privare per forza della possibilità di volare con la fantasia anche da grandi, pretendendo di analizzare freddamente ciò invece dovrebbe essere preso solo per quello che è: un tuffo nel fantastico mondo dell’irreale che contribuisce ad alleggerire la pesantezza della vita reale.

Giacomo Di Maria

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