venerdì 19 marzo 2021

Turn on the light




Quando mi è stato affidato il compito di scrivere un articolo su una scrittrice di oggi o di ieri, ho riflettuto a lungo su chi scegliere tra Mary Shelley e J.K. Rowling, due delle mie autrici preferite, entrambe inglesi, ma alla fine ho preferito la Rowling, forse perché è più vicina al mondo in cui viviamo, più presente, ha infatti 55 anni. Chi di noi non ha letto uno dei suoi romanzi oppure visto uno dei suoi film? Credo sia impossibile trovare un solo ragazzo che non sappia chi sia Harry Potter. Molto meno sappiamo però della sua scrittrice. Considerata una delle donne più ricche d’Inghilterra, è entrata addirittura nel Guinness dei primati, in quanto la sua serie si è rivelata “il più grande fenomeno editoriale di tutti i tempi”.
Ma indagando nella vita della Rowling, si comprende quanto il traguardo di fama e gloria sia stato raggiunto tra mille difficoltà e soprattutto quanto la scrittrice abbia messo in pratica la determinazione del maghetto. All’inizio la vita non è stata facile. Tra vari trasferimenti e traslochi, si innamora e si sposa, ha una figlia, ma il marito si rivela una persona violenta ed è costretta a spostarsi di nuovo. Le cose si complicano: ha una bambina piccola, non ha un lavoro fisso, vive con i sussidi finanziari dello stato, tutto sembra precipitare. La depressione la avvolge, ma è proprio in quel momento che inizia a prendere forma il suo primo romanzo: “Harry Potter e la pietra filosofale”. Anche la pubblicazione non fu cosa semplice. Sceglie un solo agente letterario a cui mandare i primi capitoli, perché “ha un nome da bambino” che la ispira, come dice La Rowling in un’intervista. Si chiama Christopher Little, ma decide subito di cestinare il manoscritto. La motivazione? I libri per bambini non vendono più. Per fortuna ci ripensa e diventa il suo agente. 
Nel 1997 viene pubblicato il primo libro della saga, ma esce con lo pseudonimo J. K. Rowling, perché la casa editrice era preoccupata che il pubblico non accettasse di buon grado una scrittrice donna. E questo, proprio in occasione della settimana della festa della donna appena trascorsa, fa pensare. Non siamo più ai tempi di George Eliot, alias Mary Anne Evans, che scelse di essere qualcun altro per essere presa sul serio, o di Mary Shelley che preferì restare anonima quando pubblicò il suo “Frankenstein”. Erano tempi diversi, una società diversa. Non è giustificabile invece alle soglie del XXI secolo. Oltretutto, nel 2013, ormai famosa, la Rowling riprende l’escamotage dello pseudonimo maschile. Con il nome di Robert Galbraith, pubblica “Il richiamo del cuculo”, un giallo che ha come protagonista il detective privato Cormoran Strike. Ad esso seguono altri quattro libri. Ma il trucco dello pseudonimo dura poco, la Rowling viene presto smascherata. In una intervista dichiarerà: "avevo sperato di mantenere questo segreto ancora un po', consideravo questa esperienza meravigliosa e liberatoria senza il clamore e le pressioni dell'aspettativa che un nuovo libro col mio nome avrebbe generato”. Ieri, come oggi.
La Rowling ha messo tutta se stessa nei libri della saga di Harry Potter; essi dipingono un mondo fantastico, ma totalmente nuovo, moderno, il suo mondo. Le pagine sono ricche di grande fantasia ma sono anche estremamente reali e attente al presente. Lo sconforto che ha colpito la scrittrice nei vari momenti della sua vita, si rispecchia nei suoi romanzi, ma è lo stesso sconforto che prova spesso ognuno di noi. Le pagine di Harry Potter consegnano al lettore, all’intero mondo (specie al “nostro” mondo) “la speranza”, quella stessa speranza che dobbiamo continuare ad avere quando crediamo di non avere più nessuna via di uscita, perché, come dice Albus Silente: “La felicità può essere trovata, anche nei tempi più bui, se uno si ricorda soltanto di accendere la luce”.
Filippo Maria Giovannini

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