La Turchia, il “sofagate” e l’uscita dalla Convenzione di Istanbul: cosa sarà delle donne turche?
Il 5 aprile scorso si è consumato uno dei più indisponenti e irritanti strappi diplomatici in vecchio stile degli ultimi anni. Il “caso” è stato prontamente rinominato “sofagate” dagli analisti politici; vediamo cosa è successo e perché. La settimana scorsa il presidente dell’Unione Europea, Charles Micheal, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Lyen, si sono recati in visita diplomatica ad Ankara e sono stati ricevuti dal presidente turco Erdogan il quale li ha accolti sull’uscio del palazzo presidenziale ha fatto loro strada facendoli posizionare per la foto di rito; i tre, quindi, se ne stavano in piedi in questa formazione: il presidente Erdogan al centro, alla sua destra il presidente Micheal e alla sua sinistra la presidente von der Lyen. Alle loro spalle due pompose poltrone dietro le quali le bandiere turca ed europea indicavano le relative posizioni da occupare. Peccato che le personalità ospitate fossero due e che, unite a quella ospitante producessero inevitabilmente e indiscutibilmente il risultato di tre. Ai lati delle poltrone c’erano, in posizione defilata, due divani destinati, evidentemente, alle figure considerate inferiori o comunque subordinate: la von der Lyen in quanto donna e il ministro degli esteri turco, il quale nel frattempo se ne stava defilato in quanto effettivamente sottoposto di Erdogan. Ora, questa “svista”, che poteva essere interpretata come sciatteria organizzativa, non conoscenza del protocollo, errore nell’applicazione delle regole del cerimoniale, in realtà è stata percepita come un palese atto dimostrativo. E tanto meno la cosa è piaciuta alla signora von der Lyen, che ha voluto dimostrare il suo disappunto con la fermezza e il garbo che la contraddistinguono, e a tutti i costi. Mentre i due uomini si accomodavano, infatti, la signora è rimasta, in piedi a fissarli negli occhi, immobile e impassibile fino a quando non le è stato esplicitamente indicato il posto “a latere” che le era stato riservato. Non un plissè da Erdogan, un evidente imbarazzo (velocemente superato) da Micheal.
Se le rimostranze pacate della presidente della Commissione Europea sono state chiare, è stato altrettanto chiaro l’intento voluto e ottenuto dal presidente Erdogan in un momento così delicato per il suo paese: creare attrito tra due alti rappresentanti dell’Unione Europea e raccogliere il plauso delle fazioni religiose più intransigenti all’interno dell’opinione pubblica del suo paese.
La nuova politica di Erdogan, tesa ad una islamizzazione più tradizionalista e radicale di quanto non fosse in un passato neanche troppo lontano, vede il ruolo della donna e la figura femminile in genere relegata nuovamente all’interno di confini rigidi e riduttivi.
E lo “sgarbo” inflitto alla von der Lyen come donna e come rappresentante politica di genere femminile, deve avere sicuramente a che fare con la decisione presa il 20 marzo scorso da Erdogan di uscire dalla Convenzione di Istambul, da lui stesso ratificata nel 2012 quando la sua politica era filo europeista.
Negli anni successivi alla sua ratifica Erdogan la usava come bandiera degli avanzamenti fatti dalla Turchia nel campo della parità di genere; ed in effetti la Convenzione di Istambul, è "il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza", ed è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica con l’intento di proteggere le vittime e perseguire i trasgressori. Tuttavia questo straordinario strumento di civiltà cozza con le istanze della base più conservatrice del suo elettorato, secondo la quale il contenuto della Convenzione, che combatte contro la violenza sulle donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili, sarebbe contraria alle norme dell’Islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.
E non è un caso neppure il fatto che, contestualmente alla recentissima decisione di fuoriuscita dalla Convenzione si siano intensificate le azioni violente contro gli omosessuali e i femminicidi; nei soli primi 65 giorni del 2021 in Turchia 65 donne sono state uccisi per mano di mariti o familiari.
Questo ritorno al passato e questa pericolosa nostalgia verso usi e costumi che ormai si consideravano obsoleti nella Turchia “giovane”, ha suscitato paure da parte della popolazione più progressista, che si è mobilitata in manifestazioni di denuncia e opposizione contro la restaurazione che il governo di Erdogan sta mettendo in atto. Le maggiori manifestazioni di protesta sono avvenute a Istanbul, Ankara e Smirne, sulla costa occidentale della Turchia, e sono state partecipate soprattutto da donne, con le bandiere viola della piattaforma turca “Noi fermeremo il femminicidio”. Contestualmente altrettanto disaccordo è stato manifestato di fronte alle ambasciate turche in mezza Europa dopo il caso del “sofagate”.
Il mondo non può stare a guardare inerme questo lento e inesorabile scivolamento verso un nuovo medioevo ideologico di un paese che era ad un passo dall’entrare in Europa e che ora sta facendo di tutto per allontanarsene definitivamente.
Giacomo Di Maria
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