Il 4 giugno saranno passati precisamente 32 anni dalla repressione delle proteste di Piazza Tienanmen, proteste che tuttora sono avvolte nel mistero
e forzatamente oscurate dal governo Cinese, ma facciamo ordine.Ci troviamo nel 1989 a Pechino, capitale della Repubblica Popolare Cinese, il 15 aprile Hu Yaobang, figura che, durante la sua carriera politica, era stata deposta dalle su cariche per essersi dimostrato favorevole ad una democratizzazione della Cina Continentale. La morte di Hu accende l’animo degli studenti, che vedono in lui l’esempio di oppressione attuata dal Partito e di come l’ex-presidente del Partito, Deng Xiaoping, avesse un enorme quantità di potere tale da poter essere considerato all’epoca come un imperatore. Il 22 aprile, giorno del funerale di Hu, per la prima volta gli studenti occupano Piazza Tienanmen, chiedendo di incontrare il primo ministro Li Peng, la protesta fu generalmente ignorata dal partito, visto che il primo ministro, Zhao Ziyang, si trovava in visita in Corea del Nord. A far scoppiare la scintilla fu un editoriale, pubblicato sul Quotidiano del Popolo e attribuito a Deng Xiaoping, in cui si accusava i protestanti di voler soltanto creare scompiglio e di complottare contro lo Stato, il 27 aprile circa cinquantamila persone si riverseranno nelle strade di Pechino, richiedendo Democrazia e libertà, ad aggiungersi saranno poi altre centomila persone, che il 4 maggio (data simbolica che rimanda ai movimenti anti-imperialisti del 1919), si stabiliranno in Piazza Tienanmen. La piazza diventa una baraccopoli, migliaia di studenti sono ammassati all’interno di essa, molti di essi inizieranno uno sciopero della fame, incitando gli animi di ulteriori protestanti che si riverseranno nella piazza. Gli studenti non si vogliono arrendersi, sotto il simbolo della Dea della Democrazia la piazza sembra essere diventata la roccaforte degli oppositori del governo. La risposta arriverà il 19 maggio, quando viene promulgata la legge marziale, ad opporsi a questa decisione ci sarà il segretario generale Zhao Ziyang, che sfida apertamente Deng Xiaoping presentandosi in mezzo agli studenti per richiedere la fine dello sciopero della fame (mossa che gli costerà l’arresto). I manifestanti non ascoltano l’appello di Ziyang e continuano con la loro occupazione, fronteggiando l’esercito che per adesso si rifiutava di usare la forza. Lo stallo si interrompe la notte del 3 giugno, a Pechino le sirene iniziano a suonare chiedendo ai cittadini di rimanere nelle proprie case, l’Esercito Popolare di Liberazione si mobilita dalla periferia verso il centro della città, alle 10:30 del mattino seguente scoppiano i primi colpi, l’esercito inizia indiscriminatamente a sparare colpi sui rivoltosi che, increduli, iniziano la fuga. In meno di una giornata da Pechino vengono epurati i manifestanti, diverse sono le versioni di cosa successe il 4 giugno 1989, la BBC parlerà di massacro mentre il governo non rilascerà mai una versione ufficiale, il numero di vittime non sarà mai accertato, con numeri che partono da poche centinaia e arrivano a diverse migliaia, l’unico avvenimento certo è che la piazza è ora sotto controllo dell’esercito. La repressione sanguinosa ha funzionato, il Partito Comunista è riuscito a cancellare una generazione di studenti che si opponeva ad esso, sostituendoli con ragazzi che riponevano piena fiducia sullo stato. Quello che successe a Pechino fu la prima sperimentazione di un metodo che il partito tuttora utilizza per opprimere i dissidenti, un sistema che uccide ciò su cui si basa la libertà umana, un sistema che, pur subdolamente, può arrivare a colpire anche noi.
Giuseppe Cirimele
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