Solitamente, quando si pensa ad un imperatore, si immagina una persona potente ed influente che regna su un vasto territorio, ma
oltre alle mansioni politiche e governative, per la cultura occidentale, l’imperatore, per quanto eletto possa essere, rimane comunque un uomo. Nella cultura orientale però, specificatamente in Giappone, fino al 1946 la discendenza imperiale è stata radicalmente ed imprescindibilmente definita “divina”. Fino al secondo dopoguerra, infatti, il giappone era governato da una monarchia assolutista (oggi costituzionale) e l’imperatore (ossia il “天皇” Tennou, che significa sovrano celeste ancora oggi), si diceva fosse discendente della dea del sole “amaterasu” ed il dio della tempesta “Susanoo”. Questa tradizione ha origini antichissime, per la precisione fu adottato per la prima volta nel VII secolo, dall’imperatore Tenmu che governava la zona di Nara, ai tempi la regione più potente. Prima di lui, il regnante era chiamato semplicemente “grande re che governa tutto quanto sotto il cielo”. Questa pratica andò avanti a lungo indisturbata, salvo alcune dispute durante il periodo degli shogun su chi fosse l’effettivo imperatore, finché, nel 1869, con la restaurazione meiji, il titolo divino fu rafforzato ed attribuito solo al capo assoluto dello stato, ora unificato. Oltre al potere divino, l’imperatore aveva anche potere politico, militare, legislativo ed economico. Tuttavia tutto ciò terminò nel 1946 quando l’imperatore hirohito, sconfitto della seconda guerra mondiale, non pubblicò il “ningen-sengen”, l’ufficiale dichiarazione della natura umana dell’imperatore. Questo documento è molto controverso infatti, secondo alcuni, l’imperatore è stato “spronato” dagli Stati Uniti, addirittura si pensa che il documento non l’abbia scritto il monarca in persona, bensì due americani, studiosi della cultura giapponese. Inizialmente il messaggio, non fu capito e fu mal interpretato a causa dell’alto registro linguistico in cui era stato scritto e pronunciato. I fraintendimenti furono chiariti subito, un anno dopo, quando il monarca, sottomesso ai vincitori della guerra, fu costretto a trasporre una nuova costituzione del giappone, che andasse incontro alle richieste dei capi degli stati vittoriosi. La carta in questione, innanzitutto, cambiò il sistema governativo del giappone, da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, inoltre, nel primo capitolo, viene definito il ruolo dell’imperatore stesso che, nonostante sia ancora una carica attiva, ha il semplice compito di rappresentare il simbolo dello stato e dell’unità politica e culturale, è privato da ogni potere, eccetto quello di eleggere il primo ministro, inaugurare le sedute del parlamento e garantire fondi allo stato. L’idea dell’imperatore divino in giappone era talmente radicata che, a lungo andare, persino i regnanti stessi credevano che il loro predecessore fosse di origine celeste e che, una volta saliti al potere, anche essi sarebbero stati considerati come tali. Ad oggi la carica dell’imperatore è rimasta inalterata dal 1946. Alcuni movimenti molto marginali considerano la figura dell’imperatore come superflua ed anacronistica, esprimendo la loro opposizione rispetto alla permanenza della famiglia reale in parlamento, nonostante ciò, la maggior parte dei giapponesi (giustamente) non si pone più di tanto questo problema.
Alessio Racioppi
Bei post peccato che lo vedano due gatti
RispondiEliminaDue gatti ma con il pedigree.
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