The way we were, the way we are
La vita è fatta di cicli, incontri e ritorni. Un’imperturbabile rotatoria di ricordi. Perciò non c’è da stupirsi quando riaffiorano le stesse emozioni, quando ricompaiono gli stessi atteggiamenti, in due simili momenti diversi. Ho diciott’anni, e cinque anni fa ne avevo tredici: terza media, un esame. La voglia ed il timore di diventare grandi. La paura, lo studio, il lavoro, lo svago. Le ore calde di giugno, ed un maggio che sembrava non finire mai. Volevo andare avanti. Se n’è andato il liceo: rivedo le stesse cose.
Una dopo l’altra.
I miei compagni di oggi con lo stesso assortimento di espressioni di quelli di ieri; io sempre torvo e assorto, a tratti ridente.
Una accanto all’altro.
I giochi sono gli stessi, le musiche sono le stesse, i discorsi sono gli stessi.
“Eravamo bambini”
Ora siamo adulti, stiamo per diventare maturi. Pronti. Ma, oltre alla voglia di futuro, ho addosso una dolce, docile, malinconia.
Malinconia.
Le labbra si avvicinano ad ogni sillaba, fino a socchiudersi in un bacio. Malinconia. Al mattino, con un solo calzino, bambina; a scuola, amica; ovunque, compagna. Un confortevole profumo di passato. Siamo al crepuscolo della nostra spensieratezza. Inizia la vita. Scegliamo di viverla al meglio. Choose Life.
Tancredi Bendicenti
I visi più belli
Mi sono svegliata la mattina con una to do list infinita
Porta gli striscioni, ricordati il cambio per dopo, il caricabatterie dell’iPad. Avevo gli occhi carichi di lacrime, ma tutte le cose da fare trattenevano il magone malinconico bloccato in gola. Arrivata in classe e poggiati tutti i miei pacchi ho davvero realizzato e il magone si è sciolto in un pianto pieno di emozione. Mi sono guardata intorno e ho visto i visi più belli che io abbia mai visto, i miei veri compagni, la mia squadra. Nel caos e con le mani tremanti ho appeso gli striscioni e ho aspettato quel momento. Il fumo colorato che mi riempiva la gola sapeva di felicità, di spensieratezza. La nostra grande avventura è finita così, con i nostri magistrali capisquadra che ci guardavano fieri da sopra le scale. Il mio volto felice e rigato di lacrime urlava a squarciagola la canzone di Venditti.
Eugenia Elifani
Quotidiano e Straordinario
È finita una giornata di scuola, che mi pare esser cominciata con noi che tornavamo ai banchi a settembre, e che mi sembra essere finita tutta ad un tratto, con i professori che ci salutano e i miei compagni in lacrime che si abbracciano, consci di non poter condividere oramai quella quotidianità che sembrava tanto scontata fino ad una settimana prima. Al momento, lì a scuola, quei discorsi, quelle lacrime, mi sembravano solo formalità da osservare con distacco, per quanto sono corsi veloci
questi mesi, ma presto ho realizzato anche io ciò che significa essere un maturando. A pensare di dover lasciare la nostra scuola, con quelle ampie aule, quel profumo di antico, che ci sussurra la storia di chi ha occupato quei banchi prima di noi, mi sento trafitto da una lama imbevuta di ricordi
unici, che proverò a tenere stretti nel mio cuore, ma che temo rischino di morire, lontani dal loro luogo natio.
E così sono costretto a dare il mio incredulo addio al teatro, dove ho stretto inseparabili amicizie, alla settimana bianca, che tanto aspettavo impaziente ogni anno e al dare il buon giorno a coloro che sono stati accanto a me negli anni che si sono rivelati i più importanti fino adesso. Queste sono tutte cose che hanno fatto parte della mia vita quotidiana, ma che in diversi modi l’hanno resa più che straordinaria.
Marco Panzironi
Addio
The triangle tingles and the trumpet plays slow, e un altro anno, come quello prima, sta tramontando. Eppure, non mi sento commosso, non sento neanche uno spirito forte di avventura che mi anima; ambizione, energia, non le percepisco, neanche la paura di un esame ormai vicino mi spaventa.
Sento solo la grande nostalgia, la necessità di dire ciao, arrivederci, addio come si deve a quelle quattro mura portanti che cambiano di anno in anno e che mi hanno fatto da casa.
Addio a tutti i pettegolezzi cicaleggianti, alle polemiche, alle teorie, al gossip, a quei momenti di introspezione e spirito di sopravvivenza che diventano amicizia.
Addio alla divisa.
Ai panini poco economici giù in cortile e ai platani che ne restano.
Ai professori e alle materie, addio al greco, al latino, chissà tra quanto (e se) ci rivedremo.
Ai compiti in classe, quelli a sorpresa, quelli che non ti aspetti e anche se fosse non ti eri preparato.
All’amore, all’amicizia, che restino sempre con noi
Addio, arrivederci e ciao alle cose senza falso o vero e alla triste rinuncia di quello che io ero.
Livio Sacchetto
L’ultima campanella
Ci sono momenti che sembrano sospesi nel tempo.
Oggi ho sentito una campanella suonare, nel cortile bisbigliante. Ho abbracciato i miei amici, i nostri cuori battevano vicini, i nostri occhi a stento trattenevano le lacrime. Ho guardato negli occhi i miei professori e ho bisbigliato un arrivederci, mentre gli stringevo la mano. Ed è sembrata davvero, l’ultima volta. L’ho sentito come un tonfo, il suono di quell’ultima campanella, dall’alto degli spalti guardavamo nel cortile gli occhi di chi ha ancora anni di scuola davanti e per un secondo, c’è stato silenzio.
“È la nostra?” Sì, la nostra.
Siamo arrivati alla fine, questa volta per davvero.
Oggi ho detto addio ad una scuola che mi ha vista crescere: tra le colonne del quadriportico ho vissuto gli anni più pieni della mia infanzia e in quei corridoi ho conosciuto l’ansia e la felicità, l’amore e l’amicizia.
Mi mancherete: tutti. Mi mancherà aspettare la campanella del mercoledì, ridere con i professori, condividere con i miei amici, vedervi tutti i giorni e aspettare l’estate. Mi mancheranno i compiti estivi iniziati la sera prima del rientro, guardare negli occhi il mio compagno di banco, giocare a battaglia navale di nascosto e tenere un piccolo foglietto scarabocchiato sotto ad un compito per cui non ho studiato.
Siamo giunti all’inverno della nostra adolescenza, adulti davanti alle porte di una nuova primavera.
Flavia Gatti
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