Molte volte dopo incidenti o malattie gravi, chi si ritrova colpito da un handicap fisico non solo
riscontra problemi strettamente legati al proprio corpo, ma ha anche gravi ripercussioni a livello mentale: ogni piccolo ostacolo diventa una barriera insormontabile, un semplice scalino può dimostrarsi una montagna impossibile da scalare, arrivando a far credere di esser una persona di serie B. È proprio qui che entra in gioco lo sport, che si è rivelato uno strumento straordinario capace di far rinascere anche coloro che non nutrivano più speranze: esso, infatti, non solo permette una migliore salute fisica di chi lo pratica, ma fornisce anche una sensazione di fiducia nelle proprie capacità, oltre che un irrefrenabile voglia di mettersi in gioco, di sfidare se stesso e gli altri in varie manifestazioni, prime tra tutte le Paralimpiadi.La Storia dei Giochi Paralimpici
La prima volta in cui fu notata l’importanza dello sport per il recupero di persone con handicap fu nel secondo dopoguerra, dal medico e psichiatra britannico Ludwig Guttmann che arrivò a organizzare dei giochi per i pazienti adattando le regole alle loro condizioni. La prima manifestazione, chiamata Stoke Medeville Games, si disputò nel 1948 tra veterani con danni alla colonna vertebrale. Nel 1952 anche atleti olandesi parteciparono ai giochi, dando quindi a questi ultimi un carattere internazionale. Nel 1958 Antonio Maglio, dirigente del centro paraplegici dell’Istituto Nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, propose di disputare l’edizione del 1960 a Roma, dove nello stesso anno si sarebbero svolte le Olimpiadi. Gli Stoke Medeville Games divennero quindi i Giochi Internazionale per Paraplegici, per poi venir denominati nel 1984 Giochi Paraolimpici dal Comitato Internazionale Olimpico. Guttmann riuscì a far disputare i giochi successivi a Tokyo, che avrebbe ospitato anche i Giochi Olimpici. Questo abbinamento non si susseguì però nel 1968 a causa del mancato sostegno del governo del Messico, che avrebbe dovuto essere il paese ospitante. Fortunatamente Israele si offrì di ospitare quell’edizione come parte della celebrazione per il ventesimo anniversario dalla nascita dello Stato. I cambiamenti principali da quel momento furono due: le prime Paralimpiadi invernali, disputatesi nel 1976 in Svezia e la possibilità di gareggiare per atleti con disabilità diverse dalla paraplegia. Infine il 19 giugno 2001 fu siglato un accordo tra il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC), il quale garantisce che la città candidata ad ospitare le Olimpiadi debba organizzare anche i Giochi paralimpici.
Bebe Vio: se sembra impossibile, allora si può fare.
Maria Beatrice Vio, più conosciuta come Bebe Vio, nasce il 4 marzo del 1997 a Venezia. Inizia a praticare la scherma già a cinque anni, sport che risulta subito essere una grande passione. A otto anni però tutto cambia: affetta da meningite da meningococco di gruppo C viene portata all’ospedale di Padova in condizioni gravissime, che alla fine richiedono l’amputazione delle gambe da sotto le ginocchia e di entrambi gli avambracci. Bebe sopravvive ma non senza tracce profonde della malattia: non solo l’amputazione degli arti, ma anche numerose cicatrici sul volto e su altre parti del corpo. Inizia la riabilitazione a Burio, presso il Centro Protesi dell’Inail. Inizialmente si dedica all’equitazione, tuttavia il richiamo della pedana si fa sempre più forte, perciò con l’aiuto dei tecnici delle protesi e il supporto di insegnanti e famiglia Bebe ricomincia a usare il fioretto. Nei primi mesi del 2010 vengono messe a punto delle protesi per tirare di scherma e così inizia le prime prove in sedia a rotelle. Diventa la prima atleta europea con il braccio armato protesizzato. Vorrebbe partecipare già alle Paralimpiadi di Londra 2012, alle quali però su consiglio dei suoi allenatori rinuncia, ma senza arrendersi. È proprio a Londra infatti che porta la fiaccola olimpica in rappresentanza dei paralimpici del futuro. Già dal 2012 iniziano i primi successi sportivi, tra cui il primo posto individuale ai campionati italiani di Categoria B, per poi vincere il torneo di Montreal e salire per due volte sul podio in Coppa del Mondo. Il sogno si avvera poi nel 2016, alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, dove Bebe sale sul gradino più alto del podio nella competizione del fioretto, battendo la cinese Jingjing Zhou, dopo un girone già di per sé da record. Dopo la vittoria a Rio l’obbiettivo è già chiaro, il raddoppio a Tokyo 2020. È proprio in preparazione per queste olimpiadi che un altro ostacolo si pone davanti a Beatrice Vio: un’infezione da stafilococco la porta quasi alla morte. Ciononostante non molla e appena si riprende torna ad allenarsi, per poi scrivere la storia una seconda volta, battendo nuovamente in finale la cinese Jingjing Zhou e aggiudicandosi il secondo oro olimpico. È proprio dopo la vittoria che Bebe ci dà un grande insegnamento di vita con una semplice frase: “Se sembra impossibile, allora si può fare… due volte”.
Filippo Zuzolo
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