domenica 21 novembre 2021

“The French Dispatch” - Una rivista tutta da ridere


Dopo tre anni dal suo ultimo film animato “L’isola dei cani” e ben sette anni dall’ultimo capolavoro cinematografico “Grand Budapest Hotel”, nominato ai Premi Oscar 2015 in nove diverse categorie e vincitore di quattro, il famigerato regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, Wes Anderson, torna

al cinema con un nuovo successo, già considerato il film più bello dell’anno solo dopo pochissimi giorni dalla sua uscita negli Stati Uniti il 16 ottobre e nelle sale italiane l’11 novembre, “The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun”.


 “Un viaggio in astronave per la vostra anima cinematografica”, Jason Gorber (critico); “Il film più bello e innovativo di sempre”, Kaleem Aftab (attore e scrittore); “Esuberante, con stelle del grande schermo”, Jessica Kiang (autrice della rivista cinematografica “The Playlist”), queste sono solo alcune delle definizioni che sono state date a questa produzione, una delle migliori di questo incredibile genio del cinema.


Wes Anderson ci porta alla scoperta della rivista “The French Dispatch”, dei suoi autori e delle loro storie, per omaggiare, come rivela il regista, il suo amato “New Yorker”, uno dei giornali americani più famosi al mondo.


Con la morte del fondatore e direttore Arthur Howitzer (Bill Murray), ispirato al cofondatore del New Yorker, Harold Ross, per l’ultimo numero della rivista, che con lui s’identificava, i suoi giornalisti danno prova della loro bravura e creatività in onore del volto del settimanale, ormai purtroppo scomparso. Il giornale è redatto nell’immaginaria cittadina francese Ennui-sur-Blasé alla fine degli anni Sessanta, conosciuta semplicemente come Ennui, che è lo sfondo delle quattro storie, tante quanti gli scrittori che ci guidano come narratori di esse, che compongono l’edizione commemorativa.


Ogni capitolo del film, o meglio, articolo, è una sezione editoriale: il primo è scritto e narrato dal giornalista Herbsaint Sazerac (Owen Wilson), conosciuto come “reporter in bicicletta”, in quanto scrive e racconta un diario di viaggio in bicicletta sui quartieri malfamati della città negli anni. La seconda sezione è quella riguardante l’arte: la scrittrice J. K. L. Berensen (Tilda Swinton) compone “Il Capolavoro di Cemento” e racconta la storia di un pittore con problemi mentali rinchiuso in un carcere, Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), della sua guardia carceraria, Simone (Léa Seydoux), la quale è anche la sua musa personale e la sua amante, e degli ingombranti mercanti d’arte che scoprono il suo talento e che vogliono promuovere le sue opere (Adrien Brody, Bob Balaban e Henry Winkler).  Il terzo articolo, “Revisioni a un Manifesto”, scritto da Lucinda Krementz (Frances McDormand, doppio Premio Oscar 2021 per “Nomadland”), è una cronaca d’amore e di morte sulle barricate della rivolta studentesca guidata da Zeffirelli (Timothée Chalamet, nuovo talento che da pochi anni è entrato nel mondo del cinema, ma che lo ha conquistato in pochissimo tempo) e Juliette (Lyna Khoudri), che rappresentano le guide dei sentimenti insurrezionalisti dei loro coetanei. La scrittrice racconta di come si è evoluta la rivolta e di come lei stessa contribuì alla sua messa in atto.


L’ultima sezione è quella riguardante la cucina, redatta da Roebuck Wright (Jeffrey Wright), che con il suo articolo “La Sala da Pranzo Privata del Commissario di Polizia”, ci rende partecipi di una storia piena di suspense riguardante droghe, rapimenti e alta cucina, animata dal famoso chef Lieutenant Nescaffier (Steve Park).


Durante la narrazione da parte dei giornalisti gli eventi descritti sono proposti alternativamente in bianco e nero e a colori, hanno fare giornalistico e di cronaca e tralasciano il piano sentimentale tipico del cinema. Questa particolare caratteristica è presente anche in “Grand Budapest Hotel” ed è spesso utilizzata da Wes Anderson, il quale esaspera l’attenzione nell’inquadratura, che prevede sempre movimenti geometrici della cinepresa e riprese frontali, e tralascia appunto il lato sentimentale delle storie, producendo così dei dialoghi e delle scene molto veloci, che riescono a catturare l’attenzione dello spettatore magnificamente, creando una trama quasi surreale, molto intelligente e divertente, così come i personaggi, i quali sono quasi delle caricature di se stessi, e gli attori, allo stesso modo, sembra che prendano in giro chi li sta guardando rendendo l’atmosfera esilarante.


The French Dispatch è un film che si legge e si sfoglia ed è un’evidente ode alla scrittura e al giornalismo: l’utilizzo del bianco e nero insieme a colori vivaci e inverosimili, peculiarità andersoniana, è chiaramente un riferimento alla carta stampata, che si alterna tra la parte scritta e quella iconografica.


Si può sentire lo sfogliare delle pagine della rivista per mano di Wes Anderson, il quale per questa meraviglia cinematografica si è meritatamente guadagnato ben sette premi solo al Festival di Cannes, che ha avuto luogo nel mese di luglio.


Non fatevi spaventare dal titolo lungo e travolgente perché, credetemi, questo film vi terrà incollati allo schermo.

Francesca Argirò

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