martedì 21 dicembre 2021

Cambiamento climatico: il costo e gli effetti sull’economia.

 


Sono passati anni dalla prima volta in cui l’ormai tristemente diffusa espressione “cambiamento climatico” aleggiava

nell’aria. Oltre che atmosferici, ambientali e sociali, i danni da esso provocati sono indirettamente di natura economica.

Il costo sociale dell’anidride carbonica (SCCO2) è uno degli indicatori più significativi secondo lo studio: “The social cost of carbon dioxide under climate-economy feedbacks and temperature variability” condotto da un gruppo di ricercatori tedeschi, austriaci e britannici guidati Jarmo Kikstra. Consiste nel costo pro capite dell’emissione di una tonnellata di CO2 nell’atmosfera.

Negli ultimi 10 anni sono molteplici gli studi effettuati in merito, testimoniano un costo variabile tra i 10 e i 1.000 dollari pro-capite, le stime recenti si attestano intorno ai 300 dollari. Nel futuro tale cifra potrebbe avvicinarsi ai 15.000 dollari.

L’anidride carbonica reca danni al clima e all’ambiente, ripercuotendosi sull’attività agricola, sul turismo, andando a ledere attività operanti in luoghi colpiti da agenti atmosferici paralizzanti, oltre che sulla sanità, aumentandone il costo a causa dell’elevata quantità di risorse necessarie alla sicurezza e alla salute umana.

Nel momento in cui si valuta un investimento, è opportuno tenere in considerazione diversi fattori:

temperature estreme, inondazioni, tempeste e uragani possono mandare in crisi gli impianti e le reti di distribuzione energetica, la comunicazione e i trasporti. Tante raffinerie di petrolio affacciano sul golfo del Messico e sono esposte a innumerevoli rischi a causa delle catastrofi ambientali. Alcuni investitori credono che tanti titoli legati all’energia siano sopravvalutati, in quanto nella loro valutazione non è tenuto conto dei pericoli ai quali sono esposti. Un eventuale crollo potrebbe portare con sé tanti altri titoli e servizi finanziari, come accaduto nel 2008 quando la recessione venne generata dai titoli creditizi ceduti indipendentemente dalla solvenza degli individui a cui venivano concessi. Anche in questo caso, il crollo sarebbe letale.

Inoltre, per quanto riguarda l’agricoltura, le catastrofi ambientali potrebbero compromettere il raccolto. In questo scenario, la diminuzione dell’offerta porterebbe inevitabilmente all’aumento dei prezzi singoli.

Da qui a 20 anni un investimento nel petrolio o nel carbone non sarà tanto profittevole quanto un investimento nel campo delle energie rinnovabili. A sostegno di questa tesi, si pensi alle politiche economiche adottate dai governi e dalle banche centrali in merito agli incentivi dedicati alle start-up nel campo della green economy; mentre le compagnie che emettono gas serra vengono tassate, si pensi alla carbon tax, per esempio. Tra le 30 strutture più inquinanti, 24 sono centrali termoelettriche, di cui 15 situate nell’ Europa nord-occidentale e 9 nell’Europa sud-orientale. La più inquinante è in Polonia. Nella maggior parte dei casi, le particelle vengono assorbite per inalazione, quelle più pesanti tramite l’assunzione di bevande o cibi contaminati.

Negli ultimi 5 anni tante aziende operanti nel settore dell’energia non rinnovabile hanno finanziato campagne di lobbying contro provvedimenti di natura fiscale nei confronti degli enti che emettono grandi quantità di gas serra, oltre che ai fondi investiti nella pubblicizzazione dei benefici legati all’utilizzo dei combustibili fossili sui social network.

Nonostante quanto discusso finora, ci sono delle notizie positive. Nella prima metà del 2020, le fonti di energia solare ed eolica hanno prodotto il 10% dell’elettricità richiesta, quasi quanto l’energia prodotta dalle centrali nucleari (10,5%), per due motivi in particolare: i nuovi impianti per la produzione di energia da fonti alternative ai combustibili fossili e la minore richiesta di carbone per alimentare le centrali a causa del rallentamento dovuto al virus. Dall’eolico e dal solare sono stati forniti 1.129 terawattora, il 14% in più rispetto ai primi mesi del 2019, in cui ne erano stati forniti 992. Tra i principali produttori di energia, l’Italia ha fornito il 18% della domanda, la Gran Bretagna il 22% , la Turchia il 13%, gli Stati Uniti il 12%.

Nonostante quanto discusso finora, credo sia possibile affermare che è del tutto reale la possibilità di costruire un futuro di prosperità grazie alle energie rinnovabili.

Samuele Oliveti


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