Quest’anno meno che mai riesco a dare un senso a tutta quella serie di simboli che sono ormai indissolubilmente legati al Natale ma
che con esso, col suo profondo significato, col suo messaggio antico ed eterno, poco hanno a che fare. E poco riesco a sopportarli. Non riesco a comprendere come una figura come quella di Babbo Natale, creata a scopo puramente pubblicitario dalla Coca Cola nel primo trentennio del secolo scorso ispirandosi liberamente alla figura di San Nicola e a quella del dissoluto spirito del Natale futuro del racconto di Dickens, possa incarnare il senso dei fatti accaduti Medio oriente più o meno 2021 anni fa in conseguenza dei quali la storia del mondo è cambiata per sempre. E mi sento vittima di un raggiro, di una truffa, di una mistificante opera di convincimento mirata a intrappolare me e tutti coloro che hanno bisogno di sognare, nella stritolante macchina del consumismo e della mercificazione dei sentimenti. Vorrei tornare al Natale delle piccole cose, a quello dei personaggi del presepe tirati fuori dalla carta uno ad uno, al Natale del ramo di agrifoglio che simboleggia il triste destino di Nostro Signore sulla terra, al Natale della calma, della serenità, dei regali fatti con gioia e della tavola imbandita per tutti i parenti e gli amici che hanno voglia di stare con te. Al Natale dei liberi abbracci, senza tamponi preventivi, senza mascherine, senza distanziamento sociale che poi diventa emotivo. Abbiamo attraversato tempi bui e abbiamo percorso strade tortuose, abbiamo avuto paura per i nostri cari, abbiamo affrontato sfide incredibili che non sono finite. E ci siamo isolati e distanziati emotivamente oltre che socialmente l’uno dall’altro. Ma immagino anche che, attraverso questa forzata separazione, abbiamo anche realizzato quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri, e quanto atti di gentilezza, amore e comprensione possano realmente portarci conforto e sollievo in questo infinito momento di stress acuto.
E quindi ragioniamoci su e cerchiamo di regalare a noi stessi chiarezza; quanto il “falso Natale” nutre subdolamente il nostro immaginario collettivo contribuendo ad alimentare l’ingannevole bisogno di vedere le persone che ci circondano più aderenti ai nostri desideri, alle nostre aspettative in modo che le differenze non destabilizzino le nostre certezze e le nostre solide e radicalizzazioni? E se ci rendiamo conto di questo, e cioè del fatto che sono le nostre pretese di omologazione ad isolarci dal prossimo, a creare barriere che derivano dalla mancanza di accettazione, di indulgenza, di pietas, di amore, di rispetto, allora regaleremo a noi stessi una leggerezza infinita. Se saremo tutti meno giudicanti e più accoglienti, saremo anche in grado di aprirci al prossimo accettando reciprocamente peculiarità caratteriali che ameremo per quello che sono: varietà meravigliose che contribuiscono ad arricchire l’umanità e non a impoverirla.
Se comprenderemo che solo attraverso la dolcezza, la comprensione, la gentilezza potremo dire a noi
stessi e al prossimo che forse ce la faremo ad uscire da questo lunghissimo momento di stress, paura e fragilità, allora non ci sentiremo più isolati in un oceano di incertezza e inquietudine.
Cerchiamo di colmare il vuoto che ci divide nonostante il distanziamento imposto, sforziamoci di non vedere solo dolo e malafede nei comportamenti altrui ma magari insicurezza e malessere emotivo. Affrontiamo le sfide che ci attendono con un coraggio collettivo e facciamo fronte comune contro la solitudine. Ecco che allora San Nicola, quello vero, rappresenterà lo Spirito dei migliori Natali futuri. Auguri a tutti.
Giacomo Di Maria
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