giovedì 27 gennaio 2022

Genocidi: uno sguardo al presente e al passato

 

Il 27 gennaio del 1945 le truppe russe liberavano Auschwitz, da quel giorno, ogni anno, si commemora il Giorno del Ricordo… Ma

abbiamo veramente imparato dal nostro passato?


“Dopo 10 anni vissuti in Francia, sono tornata in Cina per firmare alcuni documenti e sono stata rinchiusa. Per i due anni successivi sono stata disumanizzata, umiliata e sottoposta a lavaggio del cervello…”.


Questa è la testimonianza di Gulbahar Haitiwaji. Come lei, dal 2017 circa un milione di uiguri, etnia di religione islamica, sono stati spediti in “centri di rieducazione” nell’area dello Xinjiang con lo scopo di esorcizzarli dalla loro tradizione e cultura, attraverso una serie di provvedimenti atroci perpetrati dalle guardie su ordine del governo cinese.

Trattasi di veri e propri campi di concentramento, in cui i prigionieri vengono incatenati “come animali”, a detta di Omir Bekli, ex detenuto di 42 anni. All’inizio di tutto, venne prelevato dalla casa dei genitori e incappucciato. Una volta arrivato  nel campo di prigionia venne torturato con metodi disumani e dolorosi, in quanto Omir si era rifiutato di cantare l’inno del partito comunista cinese e di  lodare il suo leader, Xi Jinping. 

Vengono picchiati a sangue, affamati, sottomessi psicologicamente, drogati prima degli interrogatori, sottoposti alla sedia elettrica, obbligati a indossare abiti in ferro dal peso di oltre 20 chilogrammi per 12 ore, al fine di renderli “più malleabili”. Eppure questi sono solo dei “passatempo” tra un turno di lavoro e un altro. Sì, perché  oltre alle torture, i prigionieri lavorano nei campi di cotone e nelle fabbriche di mattoni. 

Una volta portati all’estremo della stanchezza fisica e mentale, vengono sottoposti al lavaggio del cervello, tramite giuramenti e lodi nei confronti della patria e di Xi Jinping. 

I cadaveri delle vittime vengono infine trascinati fuori dai campi e mai riconsegnati ai familiari. 

Le donne sono soggette a continue violenze sessuali e costrette alle sterilizzazioni obbligatorie, con lo scopo di ridurre le nascite degli uiguri.  

Secondo Tursunay Ziawundun, donna uigura che venne rilasciata dopo 9 mesi di prigionia, le sue compagne venivano prelevate durante la notte, condotte in stanze buie per poi essere violentate da due o più uomini. La prima volta che Tursunay venne prelevata, fu violentata con uno sfollagente da una guardia. Quando le prigioniere ferite si appellavano ai medici del campo per cercare aiuto, questi rispondevano: "è normale che una donna sanguini".

I fatti descritti finora rispecchiano perfettamente la definizione di “genocidio” emanata dall’Onu nel 1948,  ovvero un crimine commesso con l’intenzione  di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. 

Questa definizione può  essere utilizzata per descrivere anche la situazione del popolo dei Rohingya, la cui maggioranza lasciò il territorio del Myanmar (Birmania) per raggiungere il Bangladesh nel 2017, anno in cui la persecuzione, che iniziò nel 1962,  aveva raggiunto gli estremi del genocidio. Trattasi di un popolo di religione musulmana, che ha sempre vissuto in un territorio a maggioranza buddista. In Rakhine (stato del Myanmar) i Rohingya sono sempre stati vittime di omicidi di massa, stupri e torture. Tutt’ora la situazione è  critica, il bangladesh minaccia di chiudere i confini mentre in Myanmar vengono ancora perseguitati. È, infatti, il popolo di apolidi più  perseguitato al mondo.

Ho riportato questi due genocidi perché vorrei che questo giorno, il 27 gennaio, non fosse fine a se stesso, non fosse un semplice giorno del “ricordo”. I 6 milioni di ebrei morti nei campi di sterminio non devono essere solo un ricordo. Ogni vita spezzata durante l’olocausto è la massima espressione del fallimento dell’intera umanità. Con l’istituzione della Giornata della Memoria ci si aspettava che tutti gli uomini diventassero consapevoli, coscienti di quanto accaduto. Eppure, così non fu, così non è. Nonostante 77 anni di commemorazioni, l’uomo continua a commettere lo stesso errore, continua a fallire. Ogni anno si ripetono le stesse parole, “…bisogna ricordare, afinché non accada più…”, “…per non dimenticare…”.

Cari lettori, sembra che qui il problema non sia il ricordare, perché di una cosa sono certo:  se ciò che accadde il secolo scorso continua a ripetersi in diverse parti del mondo, negli stessi modi e per  le  stesse ragioni, vuol dire che forse il ricordo non è sufficiente. 

Samuele Oliveti


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