La tragedia dovrebbe essere utilizzata come fonte di forza.
Indipendentemente da quale sorta di difficoltà, da quanto dolorosa l’esperienza sia,
se perdiamo la speranza
questo è il nostro vero disastro.
(Dalai Lama)
In questi giorni siamo rimasti tutti colpiti dalla tragedia del bambino marocchino caduto nel pozzo. È morto dopo che per tante ore i soccorritori si erano affaticati e prodigati per liberarlo. Una vicenda analoga a quella successa tanti anni fa in Italia, vicino Roma dove morì un bambino, Alfredino Rampi, che era rimasto intrappolato nel fondo del pozzo per alcuni giorni. La notizia suscitò un immenso cordoglio in Italia perché per la prima volta ci fu una diretta televisiva 24 ore al giorno che tenne gli italiani incollati allo schermo per seguire i numerosi tentativi di soccorso, che purtroppo furono vani per la difficoltà di calarsi così tanto in profondità in un ambiente così piccolo, buio, freddo e soffocante. Personalmente non ero ancora nata quando tutto questo accadde, ma ho seguito la vicenda tramite un film di recente produzione. Sono rimasta molto colpita dal tentativo fatto da eroiche persone, tentativo che è anche stato ripetuto in Marocco, di calarsi in fondo al pozzo per salvare il bambino. Ho vissuto l’angoscia di vedersi arrivare a pochi metri con immensi sforzi e fallire nell’impresa. Il dramma di chi si impegna fino a rischiare la propria vita, ma per motivi indipendenti dalla propria volontà non riesce ad avere successo. Come in un déjà vu tutto quello che è successo a Vermicino si è ripetuto in Marocco, e l’innocente creatura è stata tirata fuori sfortunatamente troppo tardi scavando un tunnel secondario. Questa vicenda avrebbe potuto scoraggiare noi tutti e farci precipitare in uno stato di buio e amarezza, come se ci fosse un tunnel dove inevitabilmente le nostre speranze si infrangeranno. Poi, per fortuna, ieri ho seguito un’intervista in cui un soccorritore italiano proponeva per questi casi la realizzazione di un piccolo robot da calare all’interno del pozzo e che fosse in grado di fornire luce, calore, di portare cibo, acqua o anche medicine per far sopravvivere più a lungo le persone evitando freddo, buio, fame e sconforto. Il soccorritore spiegava che oggigiorno è piuttosto semplice costruire tale robot con le attuali tecnologie, anzi sarebbe probabilmente anche possibile aggiungere un braccio meccanico in grado di recuperare il bambino. Ascoltavo le sue parole e sentivo fiorire in me di nuovo la speranza e la forza degli uomini di cercare e di trovare una soluzione anche agli eventi più nefasti e pensavo a noi giovani nel tunnel del Covid così ansiosi di uscire a rivedere la luce, e avevo speranza che come il robottino soccorritore, tutto ciò possa presto accadere.
Giorgia Gambarini
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