Erano passate troppe ore

 

Grafica di Giulia Yu

Questo pensava Stefano, stipato tra le gambe di sconosciuti, mentre il cemento attorno a lui tremava come fosse solo un foglio di carta sul punto di essere sfondato. Stefano aveva compiuto da poco cinque anni, sapeva che i bambini grandi non avevano paura ma lui aveva perso di vista la mamma parecchie ore prima e il rumore nella stanza gli dava sempre più fastidio. Cercò di fermarle ma le lacrime cominciarono a scendere incontrollate dai suoi occhi, piccole perle che rilucevano nella luce fioca. Mamma diceva che fuori c’erano dei mostri che davano la caccia ai bambini cattivi e che lui sarebbe stato al sicuro se fosse rimasto buono e tranquillo in questa enorme stanza e lui si aggrappò a quel pensiero, ignorando l’altra parola che aveva sentito dire da mamma mentre pensava che lui non stesse ascoltando.

Bombardamenti.

Stefano non aveva mai sentito quella parola ma quando l’aveva provata a dire da solo nella sua camera lo aveva riempito di angoscia, la stessa che si trovava a provare adesso. Si guardò di nuovo intorno, nessuno stava facendo caso a lui e si chiese per un secondo cosa avrebbe trovato quando lo avrebbero finalmente fatto uscire da lì. Stefano era un bambino, non capiva bene cosa stava succedendo, eppure era l’aria stessa a sembrare carica, come se qualunque cosa avessero fatto quei bombardamenti lì fuori non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Come se tutto stesse per cambiare e lui ne sarebbe stato trascinato via, impotente. Si mise a piangere più forte quando finalmente due occhi castani trovarono i suoi e la mamma lo prese tra le braccia così forte che anche i muri smisero di tremare. Il suo cuore di cinque anni si tranquillizzò, aveva ritrovato mamma e lei si sarebbe presa cura di lui. Stefano non vide le lacrime e la preoccupazione che scavavano il viso della donna che lo portava fuori dal bunker e nel nuovo mondo che lì attendeva.

Gaia Zavaroni

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