martedì 3 maggio 2022

La scomparsa di Emanuela Orlandi - parte due


 Dopo uno straziante stallo nelle ricerche il 3 luglio, durante il consueto Angelus in Vaticano, Papa Giovanni Paolo II rivolse uno straordinario appello

verso i responsabili del rapimento di Emanuela, aprendo quindi il caso alla cronaca nazionale. Il 5 luglio, alla sala stampa vaticana, arrivò una chiamata da quello che verrà poi conosciuto come “l’Amerikano” (ribattezzato così per il forte accento che lo contraddistingueva), l’uomo rivendicava di tenere Emanuela in cattività e chiedeva in cambio della liberazione della ragazza il rilascio di Mehmet Ali Agca, terrorista turco famoso per aver commesso, due anni prima, un attentato alla vita del Papa. Seguirono quindi numerose telefonate da parte dell’Amerikano che, pur facendo ascoltare un paio di registrazioni che presumibilmente contenevano la voce di Emanuela (alcune ipotesi suggeriscono che una di quelle registrazioni fosse un estratto da un’intervista che Emanuela fece ad un programma televisivo), non riuscì mai a dimostrare che, né lui né i Lupi Grigi (movimento a cui apparteneva Ali Agca), avessero veramente la ragazza tra le mani, azzerando quindi ogni pista che finora si era percorsa.

Passarono anni e molte ipotesi furono considerate sul caso ma niente arrivava ad una conclusione. Un punto di svolta però arrivò. La sera dell’11 luglio 2005, durante la trasmissione del programma “Chi l’ha visto?”, arrivò alla redazione una telefonata in cui si diceva che, per risolvere il caso, bisognava andare a vedere chi fosse sepolto nella basilica di Sant’Apollinare e di verificare “il favore che Renatino fece al cardinal Poletti”. Si scoprì poi che nella basilica era sepolto Enrico “Renatino” De Pedis, un boss della Banda della Magliana; era noto infatti come diversi esponenti di organizzazioni mafiose avessero come feticcio quello di essere sepolti in chiese rinomate, restava però la domanda del come un uomo del genere fosse riuscito ad ottenere un favore simile. Negli anni successivi, cavalcando l’onda del nuovo successo del caso, l’ex-compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, partecipò a numerose interviste riguardo la scomparsa di Emanuela. La Minardi infatti affermava che la ragazza avrebbe vissuto in prigionia dentro uno scantinato di un appartamento a Monteverde, venendo poi uccisa dallo stesso De Pedis nel 1993. Le dichiarazioni della Minardi furono poi ritenute poco affidabili, sia perché il ‘93 è ben 3 anni dopo la morte di De Pedis, sia perché gli inquirenti vennero a sapere che, durante gli anni di relazione con il boss, la Minardi era solita fare utilizzo di sostanze stupefacenti, rendendo quindi questa pista completamente inattendibile. [continua]

Giuseppe Cirimele

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