lunedì 23 gennaio 2023

Una ferita che si riapre

 

Le recenti notizie in merito alla battaglia legale tra i genitori del ragazzo italiano, studente liceale, morto suicida in una scuola di New York nel febbraio dello scorso anno,

risvegliano l’interesse mediatico sul toccante problema del suicidio giovanile. Claudio M. si tolse la vita all’interno del college, dopo quattro giorni di isolamento, dati come punizione per aver copiato un compito durante il test per il conseguimento del diploma IB; punizione questa considerata “spietata” da parte dei genitori e soprattutto da loro indicata come causa unica responsabile dell’insano gesto del giovane. Molto spesso in casi di morte come questo, la famiglia individua un’unica causa o addirittura riferisce che sia avvenuta “di punto in bianco” senza alcun tipo di preavviso; la maggior parte degli studi, però, che analizzano questa causa di mortalità giovanile, individuano quasi sempre la presenza di segnali d’allarme, segnali verbali e comportamentali che, se opportunamente riconosciuti, possono orientare ad un intervento di precoce prevenzione.

Il suicidio tra i giovani è un fenomeno che presenta caratteristiche molto particolari, non sovrapponibili alle problematiche dell’adulto e che molto spesso presenta dei segnali anticipatori che restano troppe volte inascoltati. Ansia e depressione sicuramente sono le condizioni che maggiormente lo sottendono ma molte volte si cela dietro comportamenti sospetti come la perdita di interesse nelle attività abituali, i tentativi di fuga dal quotidiano, un rapporto squilibrato con il cibo, l’allontanamento da amici e familiari, l’ideazione dei comportamenti suicidari che possono portare il giovane all’attuazione del suicidio. Nel riconoscimento di questi campanelli d’allarme la famiglia gioca un ruolo di primo piano ma la vicinanza e il rapporto sociale con amici e compagni sicuramente è determinante. Tante volte capita di vivere le nostre giornate senza prestare vera attenzione a chi ci sta vicino, siamo così tanto immersi nel nostro “io” che perdiamo la concezione di realtà condivisa come primaria necessità dell’individuo. Non appena l’età adolescenziale bussa alla porta due mostri ci assalgono. Da un lato la necessità di compiacere ed essere accettati dagli altri e dall’altro il compiacere e l’essere accettati da se stessi. È così che il rimbalzare da un lato all’altro genera un circolo vizioso dei nostri pensieri che orbita interrottamente nelle nostri menti, distogliendoci dal rapporto empatico con gli altri. Riconosciamo i difetti, i comportamenti anomali, alcune difficoltà, ma non ci soffermiamo e soprattutto non li consideriamo come richieste d’aiuto. Siamo sordi, frastornati dal suono delle nostre richieste e dall’eco delle nostre necessità; ciechi, abbagliati dall’illusoria luce del successo; muti, privati di suoni dolci sostituiti da acuti e taglienti; ma soprattutto inermi, incapaci di tendere una mano per un abbraccio e di far nascere un sorriso. È cosi che quei gesti restano sospesi, e soprattutto è proprio così che il suono di quei campanelli troppe volte non viene ascoltato.

Flaminia Santuari


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