Verso le 15:50 del 23 marzo 1944 un attentato dinamitardo causato da 18 kg di esplosivo nascosti in un bidone della spazzatura posizionato lungo via Rasella dai Gruppi di Azione Patriottica della Resistenza Romana,
uccideva nell’immediato 28 militari tedeschi di una colonna in marcia e due civili romani. Altri cinque soldati sarebbero morti nelle 24 ore successive.All’esplosione seguì il lancio di quattro bombe a mano dai terrazzi delle palazzine che affacciavano sul luogo. Questo fece sì che i primi prigionieri ad essere arrestati furono gli ignari abitanti dei palazzi circostanti.
La notizia dell’attentato suscitò una reazione violentissima dei massimi vertici tedeschi tanto che lo stesso Hitler chiese al Feldmaresciallo Kesserling, responsabile del fronte meridionale, “una rappresaglia che avrebbe dato una lezione al mondo intero”: fino a cinquanta italiani per ogni soldato tedesco deceduto. Il tutto nel giro di ventiquattro ore.
Kesserling, consultatosi con Herbert Kappler, appena nominato capo della Gestapo di Roma, riuscì ad accordarsi con Hitler sul numero di 10 italiani per ogni tedesco, non per umanità, ma per la semplice difficoltà di reperire tanti prigionieri già condannati a morte nelle carceri della capitale.
Iniziò allora un frenetico lavoro di compilazione di liste di condannati per motivi politici già reclusi nelle prigioni di Via Tasso e Regina Coeli, ma presto ci si rese conto che i numeri non tornavano. Kappler si affidò allo zelante capitano Erick Priebke. Si aggiunsero allora settantacinque ebrei rastrellati e inizialmente destinati alla deportazione nei campi di concentramento. Kappler chiese aiuto al questore di Roma Caruso, che si impegnò a fornire altri nomi da aggiungere alla lista. Capi della Resistenza, loro simpatizzanti, sacerdoti, antifascisti a vario titolo, insegnanti, militari italiani che avevano aderito alla resistenza stessa vennero inseriti ad uno ad uno tra le righe di quel foglio maledetto.
A complicare le cose arrivarono nelle ore le morti di altri cinque militari tedeschi. Altre cinquanta vittime da cercare. Si aggiunsero allora gli arrestati a via Rasella nell’immediatezza dell’attentato avvenuto poche ore prima e, sommariamente, alti uomini rastrellati in fretta e furia.
A circa ventiquattrore dal fatto di Via Rasella, i primi camion di condannati partivano da Via Tasso, distante pochissimi chilometri, e Regina Coeli diretti verso quello che Kappler aveva individuato come il luogo perfetto per la rappresaglia: le cave di tufo di Via Ardetina. Centinaia di metri di cunicoli facilmente occultabili situati vicino all’Appia Antica, di fronte alle Catacombe di San Callisto e accanto a quelle di Santa Domitilla.
Alle 15:30 iniziarono le esecuzioni. Molti soldati tedeschi non ce la fecero a sparare e vennero sostituiti. Per dare l’esempio Kappler e Priebke parteciparono personalmente alle uccisioni che vennero organizzate in turni e terminarono a sera tarda. Man mano che i prigionieri ignari del loro destino arrivavano, venivano fatti entrare nei cunicoli illuminati a stento. Gli ultimi passi da vivi di uomini vittime della ferocia, della barbarie e della disumanità di esseri umani come loro che si erano tramutati in macchine bestiali, senza Dio né coscienza. Mostri spietati privi di ogni scrupolo.
I cadaveri delle vittime venivano accatastati gli uni sugli altri con tecnica raccapricciante. Chi arrivava a morire prendeva così coscienza in pochi secondi del prossimo destino. Un colpo dietro la nuca e il suo corpo esanime era in un attimo in cima al cumulo. Alla fine Kappler si rese conto che c’erano cinque condannati in più. Comunque testimoni che non potevano essere lasciati in vita. Vennero trucidati anche loro.
A notte fonda l’ingresso delle cave venne fatto crollare con dell’esplosivo.
Le anime di trecentotrentacinque uomini, vennero inghiottite dalla polvere che si alzava densa a causa delle esplosioni.
Quando la polvere si posò di nuovo leggera a terra, un gruppo di salesiani custodi delle catacombe di San Callisto e di francescani custodi di quelle di San Sebastiano, che avevano assistito all’andirivieni di camion e avevano sentito le esplosioni, si recarono a notte fonda sul luogo dell’eccidio. Riuscirono ad insinuarsi all’interno dei cunicoli illuminando il cammino con delle torce e si trovarono di fronte alla più raccapricciante visione che mai avrebbero potuto immaginare. Una rappresentazione statica dell’Apocalisse, una serie di gruppi marmorei composti, però, da corpi di esseri umani in carne e ossa. La più perfetta rappresentazione del male assoluto, la più riuscita opera di Satana.
I religiosi diedero l’allarme e il resto è storia conosciuta.
Ieri, 24 marzo, come ogni anno al mausoleo delle Fosse Ardeatine, che nel frattempo sono divenute un sacrario in cui, nel 1948, è stata data degna sepoltura alle povere vittime, si è tenuta una commemorazione solenne per ricordarne la storia.
Il Presidente Mattarella si è raccolto in un momento di preghiera privato e ha sottolineato, al netto delle polemiche che continuano a cavalcare le differenti interpretazioni dei fatti, che la storia, quella vera, è una sola. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è stato l’apoteosi della barbarie umana.
Giacomo Di Maria
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