DA “THE BRICK” ALL’IPHONE - 50 ANNI DI STORIA DEL COSTUME
grafica di Linda Chen
Abbiamo da poco festeggiato l’anniversario della prima telefonata senza fili.
Cinquanta anni fa Martin Cooper, ingegnere della Motorola, usò il primo prototipo di un cellulare: il Dyna TAC, del peso di 2 kg, lungo circa una trentina di cm, chiamato scherzosamente “the Brick”.
Un’invenzione che ha rivoluzionato i sistemi di comunicazione personale e che è diventata il motore dell’evoluzione culturale e sociale del XX-XXI secolo.
La tecnologia e la ricerca da quel giorno non si sono più arrestate.
Nel 2007 veniva messo in commercio il primo iPhone: il cellulare diventava un Pc. Non solo più semplici telefonate senza fili, ma bussola, GPS, macchina fotografica, accesso alla rete incondizionato, insomma un vero e proprio hub di servizi in grado di gestire prenotazioni, appuntamenti, riunioni.
Dopo solo mezzo secolo il cellulare è diventato parte integrante di noi.
Il pollice opponibile e stato sostituito dalla tastiera del cellulare. Non usciamo più senza, non ci stacchiamo da lui neanche per un istante, contiene la nostra vita, i nostri pensieri, le nostre aspettative, come un diario segreto conserva i nostri sogni e la nostra solitudine. Ci ha aiutati anche durante la pandemia a restare in contatto con i nostri amici, con i parenti, a partecipare alle videolezioni.
Ha contribuito a creare però una realtà virtuale parallela, rendendoci più soli.
Grandezza e limite di un grande progetto.
Martin Cooper in una recente intervista ha affermato che rifarebbe tutto, l’unico suo rammarico è la diffusione che il suo prototipo ha avuto nelle fasce dei più giovani, di quella parte di popolazione che non è ancora in grado di discernere tra bene e male, tra giusto e sbagliato.
“Le persone che hanno uno smartphone si sono fatte prendere la mano – ha affermato Cooper –. Sono sconvolto quando vedo qualcuno attraversare la strada con gli occhi fissi allo schermo. Ma bisogna avere fiducia nell’umanità e io ce l’ho. Gli esseri umani prima o poi ci arrivano".
Filippo Maria Giovannini
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