Negli ultimi anni, sono stati tanti i casi di Challenge-killer
(sfide assassino), che hanno causato non poche morti tra i più giovani.Le challenge sono, ormai, una delle forme più diffuse per andare ‘virali’ sui social. Possono variare: ricreare la scena di un film, cucinare un piatto particolare o fare scherzi di ogni genere. Si parte con uno scopo divertente, positivo, ma ci vuole poco perché esse diventino assai pericolose.
Subentrano la fama, i like, il desiderio di essere ammirati. Persone, soprattutto adolescenti, che pur di vedere salire il numero di visualizzazioni, sarebbero disposte a mettere a rischio la propria vita. Ora che la generazione Z è completamente assorbita dal potere dei social network, molti possono trovare nella ‘sfida’ la risposta al desiderio di riscattarsi socialmente, volendo ottenere riconoscimento e popolarità attraverso di essi, mossi spesso dal voler imitare semplicemente ciò che hanno visto.
Da poco è cominciata ad andare virale la Hot Chip Challenge. La sfida consiste nel comprare la patatina più piccante al mondo, mangiarla e resistere il più a lungo possibile senza mangiare o bere nient’altro che possa attutire l’effetto del piccante. Essa, poteva essere acquistata solamente su Amazon, ma, da poco, in alcune catene di negozi americani, è stata messa in vendita.
Un mese fa un ragazzo di quattordici anni, proveniente dal Massachusetts, non è sopravvissuto alla challenge. La storia ha fatto il giro dei media americani raccontata dalla madre del ragazzo. Al momento, si dice che i NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità dei Carabinieri) si stia muovendo per rimuovere dalla vendita il prodotto online e non.
Purtroppo, questo caso è solo uno di una lunga serie.
La Planking, ad esempio, consisteva nello sdraiarsi sulla strada, farsi selfie o video, finché non passava la prima macchina in corsa e quindi cercare di scansarsi in tempo.
Oppure anche il Binge Drinking: bere almeno cinque alcolici in meno di due ore a digiuno.
Infine, la peggiore e più famosa, verificatasi tra il 2016 e il 2017: la Blue Whale Challenge, 50 sfide per 50 giorni. La sfida spingeva gli adolescenti all’autolesionismo e, al cinquantesimo giorno, al suicidio. Essa, al tempo, è stata inopportunamente chiamata ‘gioco’ e consisteva nel compiere una serie di gesti al limite (come camminare sull’orlo dei binari) e condividerlo sui social. Ad orchestrare il tutto, quello che è stato definito ‘il curatore’: era lui a guidare i ragazzi prova dopo prova, dopo averli convinti di possedere informazioni che potevano nuocere a loro e alla loro famiglia. Il primo caso era stato verificato in Russia per poi diffondersi per tutto il mondo.
A queste challenge-killer, gli psicologi hanno comunicato di reagire:
- dialogando con la propria famiglia o adulti di riferimento sui rischi che si possono correre
- prestando attenzione ai cambiamenti nella vita dei ragazzi (di tipo scolastico, sociale, ecc.)
- mai sottovalutare ciò che, se anche può apparire innocuo, viene raccontato da tuo figlio/a.
Sicuramente, queste challenge sono solo una piccola fetta di un social che può essere considerato nocivo, ma sicuramente bisogna soffermarcisi e parlarne.
Matilde Izzo
Nessun commento:
Posta un commento