domenica 1 ottobre 2023

Il racconto di Sophie



Stati Uniti d'America, una tra le più grandi potenze militari ed economiche del mondo che per molti anni

(e ancora oggi se dobbiamo essere sinceri) ha rappresentato per i più un desiderio, una meta da raggiungere, un trampolino di lancio per inseguire i propri sogni. Sono molti i ragazzi che sin da piccoli ambiscono di poter essere alunni delle celebri scuole americane, ampiamente descritte dalla filmografia hollywoodiana, e per alcuni il sogno diventa realtà. Gianluca Ianniccari, studente del IV scientifico B, è uno tra coloro che quest’anno stanno partecipando allo scambio culturale organizzato con la scuola lasalliana del Minnesota. Questo progetto prevede che lui, a sua volta, ospiti una ragazza di lì desiderosa di visitare e conoscere Roma e, soprattutto, pronta a raccontarci tutto quello che si cela dietro le scuole americane.

“Ciao, sono Sophie e vivo in Minnesota. Frequento il quarto anno di liceo in una scuola lasalliana che è su un’isola del fiume Mississippi a Minneapolis, connessa alla città tramite dei ponti. Pratico due arti marziali, scio e faccio arrampicata. Nel tempo libero leggo molto, soprattutto libri di filosofia, esploro le aree circostanti casa mia con i miei amici o faccio delle fotografie. Mi piace, inoltre, l’arte e adoro viaggiare: oltre all’Italia e gli USA, sono stata anche in Groenlandia, Francia, Germania, Austria, Inghilterra, Messico, Belize e Costa Rica”.

Dopo averle chiesto di presentarsi le domando come siano le scuole in America, per capire se rispecchino l’immaginario che noi europei ci siamo costruiti e lei quindi mi risponde: “Le scuole in America sono simili a quelle italiane, però il programma scolastico è sicuramente molto differente: siamo noi studenti a scegliere le lezioni da frequentare, il programma di matematica è totalmente differente, nelle lezioni di arte si predilige la parte pratica anziché la storia dell’arte e abbiamo lezioni di religione frequenti quanto quelle di matematica. Nel mio istituto abbiamo classi più numerose e ogni “grade” ha, a sua volta, molte più persone, per esempio il mio ne ha 200. Un’altra sostanziale differenza consiste nel fatto che non abbiamo prove orali o pause tra le lezioni (escludendo il pranzo). Possiamo, quindi, dire che i film rappresentano in maniera più o meno verosimile le scuole nel mio paese anche se in maniera più drammatica. Sono evidenti le differenze tra i due paesi ed io trovo interessante, a tratti affascinante, quanto la geografia abbia dato forma a società e culture diverse pur lasciando caratteristiche simili alle persone. Mi sono lasciata dietro molte cose per venire qui ma mi sta piacendo veramente molto”.

Mi sorge poi un dubbio dovuto all’incessante arrivo di notizie orride dall’oltreoceano che narrano di sparatorie e massacri proprio negli edifici dediti all’istruzione, chiedo quindi se reputi la sua scuola sicura e lei di getto mi risponde: “Penso di sì, almeno per gli standard americani, ma sono convinta che non è possibile sapere se lo sia fino al momento in cui qualcosa succederà. Il problema negli USA è che le scuole non si possono preparare alla violenza armata e, per di più, le esercitazioni essendo standardizzate non funzionano bene. Ci sono però alcune precauzioni aggiuntive, per esempio nella mia scuola media c’erano delle corde nelle aule che potevano essere usate in caso di necessità per saltare dalle finestre.”

Possiamo evincere, in conclusione, che quelle scuole qui idolatrate sono, in realtà, totalmente normali per chi le vive nella quotidianità: dopo aver saputo cosa pensa una ragazza americana delle scuole nel suo paese è necessario sapere cosa ne penserà uno studente italiano…

Filippo De Santis


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